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Lo stoccaggio della CO2 e il paradosso ambientalista italiano. Il commento di Bessi

Un progetto a favore dell’ambiente ma avversato dagli ecologisti, l’hub di Eni per la cattura e lo stoccaggio di CO2 a Ravenna che non ha più il suo posto nei finanziamenti del Recovery plan. L’analisi di Gianni Bessi, consigliere regionale Pd in Emilia Romagna

Un progetto che si inserisce nella filiera dell’economia circolare e comunque fa bene all’ambiente ma è avversato dagli ecologisti, sia quelli delle associazioni sia da quelli che in questo momento sostengono il governo. Vi sembra un paradosso? È perché lo è, un paradosso. Il progetto in questione è l’hub di Eni per la cattura e lo stoccaggio di CO2 di Ravenna, che lo stesso primo ministro Giuseppe Conte presentò a giugno 2020 come cosa fatta. Salvo poi fare marcia indietro ed escludere il miliardo e mezzo di euro per l’impianto dai finanziamenti del Recovery plan.

Mentre gli argomenti degli ‘ambientalisti’ – cioè che rendendo sostenibile utilizzo del gas naturale si rimanda la trasformazione delle centrali perché funzionino con fonti rinnovabili – pur viziate da un ragionamento sintetizzabile in ‘no alla transizione energetica, subito le rinnovabili’ e mancando di realismo, potrebbero anche comprensibili, molto meno lo è la posizione del governo. Il quale contraddice non solo se stesso, ma anche la direzione presa dall’Unione europea, che pochi mesi fa per bocca del vicepresidente della Commissione europea con delega al Green deal Frans Timmermans ha confermato che sostiene lo sviluppo del Carbon capture and storage. E il programma Horizon 2020 – il principale strumento finanziario per la ricerca e l’innovazione – dell’Ue ha stanziato quasi 240 milioni di euro per progetti di cattura e stoccaggio della CO2.

E l’hub che Eni vorrebbe realizzare a Ravenna è, non solo un esempio di ricerca e innovazione, ma soprattutto un investimento che permetterebbe la nascita di una filiera italiana ambientale in quella che sarà la vera rivoluzione dei servizi industriali mondiale.

La strategia migliore per essere protagonista del Green deal europeo sarebbe seguirne i contenuti, tutti, in particolare quando tratta di progetti come la Carbon capture storage, una tecnologia a cui l’Ue assegna un ruolo nel cammino verso la neutralità climatica al 2050, soprattutto nei settori industriali in cui è decisivo ridurre le emissioni. Logicamente, quindi, se l’obiettivo è procedere il più speditamente possibile verso una produzione energetica che si basi esclusivamente sulle rinnovabili occorre avere la consapevolezza dei limiti tecnologici di tale scelta causa l’intermittenza delle fonti, delle problematiche degli accumuli e delle batterie e della lievitazione dei costi complessivi di sistema, non solo in termini economici. Quindi sarebbe opportuno sostenere tutte le azioni che ci aiuteranno a raggiungere l’obiettivo finale: la decarbonizzazione. È quello che stanno facendo anche paesi fuori dall’Ue paesi quali la Norvegia e il Regno Unito (proprio con Eni coinvolta in un progetto analogo a Liverpool bay nel mar d’Irlanda), a cui si aggiungeranno gli stessi Usa, che grazie alla vittoria di Joe Biden cambieranno la propria strategia ambientale: tutti investono in metodologie di cattura stoccaggio dell’anidride carbonica con piani e budget da miliardi di corone, sterline e dollari.

L’Italia invece, nonostante i proclami ambientalisti delle compagini di governo, continua a muoversi in maniera antitetica rispetto al mondo e anche all’Europa. Quasi volesse dimostrare che esiste una sola versione del pensiero ambientalista politico, quando è chiaro che ce ne sono altri che rifiutano il pensiero unico che a quanto pare è egemone nello Stivale. O la pensi come loro oppure… Insomma, quando ci sarebbe da investire sull’ambiente il governo italiano si tira indietro, però dichiarando di volere difendere e seguire il Green deal. C’è qualcosa che non va in questo comportamento, non fosse altro che per una banale questione di coerenza.

Un atteggiamento ragionevole sarebbe quello di fare i conti con la situazione attuale, e ci comprendo anche lo shock provocato dalla pandemia, e programmare una transizione energetica sostenibile non solo ambientalmente ma anche economicamente e socialmente. Le prime indicazioni che procedendo con gradualità ce la si può fare ci sono già: in Europa nel 2020, lo conferma il rapporto di Ember e Agora Energiewende, per la prima volta è stata prodotta più elettricità da fonti rinnovabili che da combustibili fossili, nello specifico il 38 per cento rispetto al 37 per cento. Ma attenzione, ricordo, serve equilibrio nel mix energetico. Questa tendenza, questa prospettiva va sostenuta e accompagnata e il Green deal europeo ha già messo nero su bianco come fare. Utilizzare le tecnologie in grado di migliorare progressivamente l’impatto ambientale della produzione energetica fintantoché si dovranno impiegare ancora fonti fossili. Tra cui, vale la pena ricordarlo ancora una volta, il gas naturale è quella più pulita. Il premio pulitzer ed esperto di questioni energetiche Daniel Yergin ha affermato recentemente che il petrolio e il gas avranno ancora un ruolo importante nella produzione di energia ed è per questo che la cattura del carbonio sarà una chiave strategica per limitare l’impatto ambientale.

In definitiva la cattura e lo stoccaggio di CO2 è economia circolare a tutti gli effetti, perché interviene sul principale gas serra che le attività umane rilasciano nell’atmosfera; lo stesso gas che è presente in natura perché indispensabile al processo di fotosintesi delle piante.

Se fosse stato sostenuto e inserito nel Recovery plan l’impianto Carbon, capture and storage di CO2 di Ravenna si sarebbe anche sostenuta e posizionata nella parte alta della catena del valore mondiale una filiera italiana di imprese specializzata nei servizi alla decarbonizzazione. La sfida alla decarbonizzazione passa dai ‘pionieri del clima’ come è scritto nei documenti del progetto Green deal dell’Unione europea. È tempo di leggerli bene e applicarli fino in fondo. A meno che l’obiettivo non sia di mettere Eni in un angolo costringendola non solo a non lavorare in Italia, ma proprio a lasciare il nostro paese per accasarsi altrove. Ma forse è troppo ipotizzare un complotto: probabilmente si tratta solo di autolesionismo.


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