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Taiwan vuole la pace (e lo status quo). Parla l’ambasciatore Lee

“Il nostro Paese resta determinato a difendere la propria sovranità e i valori di libertà e democrazia, elementi che lo contraddistinguono”. Formiche.net raccoglie una dichiarazione dell’ambasciatore taiwanese in Italia a proposito delle minacce di Pechino

“Taiwan ha come obiettivo il mantenimento dello status quo e desidera per prima cosa mantenere la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan e nella regione dell’Indo Pacifico”, Formiche.net raccoglie in esclusiva una dichiarazione di Andrea Sing-Ying Lee, ambasciatore di Taiwan in Italia: “In ogni caso, il nostro Paese resta determinato a difendere la propria sovranità e i valori di libertà e democrazia, elementi che lo contraddistinguono”.

Il commento arriva dopo che il governo cinese – per bocca del portavoce del ministero della Difesa – ha reso chiara l’equazione semplice con cui vede la questione Taiwan. Se alla situazione attuale si dovesse sommare una dichiarazione di indipendenza formale allora il risultato sarebbe semplice: guerra. “Indipendenza significa guerra”, avverte Pechino. È una dichiarazione dura, con un linguaggio ben al di là del diplomatico.

“Purtroppo – spiega ancora Syng-Ying Lee – noi siamo abituati a questa retorica proveniente dalla Repubblica Popolare Cinese. Come giustamente ha detto anche il portavoce del Pentagono, John Kirby, non c’è alcun motivo per cui le tensioni con Taiwan debbano portare a qualcosa di simile al confronto”.

Le dichiarazioni cinesi sono arrivate durante il briefing mensile e mentre commentava il sorvolo dello Stretto di Taiwan da parte di flottiglie cinesi. Due le missioni: domenica 24 gennaio, 12 caccia, due aerei antisommergibili e un aereo da ricognizione avevano sfilato su quel tratto di mare delicatissimo per gli equilibri tra l‘Isola e il maniland e dell’intera regione dell’Indo-Pacifico; il giorno precedente era toccato a otto bombardieri cinesi a potenzialità nucleare, quattro jet da combattimento e un aereo antisommergibile.

Le parole della Difesa cinese – che è sotto il controllo del Commissione militare centrale, presieduta dal segretario del Partito comunista cinese, il capo dello Stato Xi Jinping – sono assolutamente studiate e hanno un timing esatto. Appena insediata, l’amministrazione Biden ha subito mandato messaggi importanti a sostegno di Taiwan: una posizione insostenibile per il Partito/Stato, che ritiene la Repubblica di Cina come una provincia ribelle da riannettere a tutti i costi – e non può escludere l’uso della forza, come aveva accennato Xi tempo fa.

La posizione americana è chiara, e il nuovo corso americano sembra non invertire la linea del precedente, rassicurando i taiwanesi – che erano l’unica popolazione asiatica a preferire Donald Trump in maggioranza, secondo i dati di un sondaggio di YouGov. Joe Biden, contrariamente alle preoccupazioni espresse, non sembra intenzionato a riprendere il solco dell’amministrazione Obama – che aveva provato a privilegiare la cooperazione con la Cina su questioni globali a discapito delle relazioni con Taipei.

Vale la pena ricordare prima di andare avanti che sullo schieramento dei jet cinesi sopra allo Stretto, da Washington sono uscite ben due dichiarazioni. Una del Consiglio di Sicurezza nazionale, in cui si definiva “solido come la roccia” l’appoggio Usa a Taiwan, e un’altra del dipartimento di Stato in cui si includeva chiaramente il destino della “democratica Taiwan” (attenzione al linguaggio, messo apposta contro il regime illiberale cinese) in una delle questioni che riguardano la stabilità del quadrante strategico Indo-Pacifico.

Diversi i segnali altri segnali proposito: per esempio, su Foreign Affairs, l’attuale segretario di Stato Anthony Blinken ha firmato un’analisi insieme a Kurt Cambpell (che nel National Security Council coordinerà il dossier Indo-Pacifico) in cui scrivevano che Stati Uniti dovrebbero investire in capacità per rafforzare la deterrenza nello Stretto di Taiwan – certo, senza che questo rovini il “tacito impegno a non alterare unilateralmente lo status quo“.

Missione complessa, dato che lo show of force cinese di questi giorni – aerei e dichiarazioni – potrebbe essere un modo per testare la volontà dell’amministrazione Biden di farsi coinvolgere nel dossier. Risposta arrivata con dichiarazioni critiche sui passaggi militari e dal Pentagono – come ricordato dall’ambasciatore di Taipei in Italia – sul linguaggio della Difesa cinese, definito  “parole infelici” da Kirby.

D’altronde, il nuovo capo del Pentagono, Lloyd Austin, durante le audizioni di conferma al Senato aveva detto: “Il sostegno degli Stati Uniti a Taiwan è stato solido come una roccia nel corso degli anni” e promesso che si sarebbe assicurato di “tenere fede ai nostri impegni per sostenere la capacità di Taiwan di difendersi”. Concetto – le capacità di autodifesa taiwanesi – espresso nella stessa sede da Blinken.

D’altronde ancora, che l’amministrazione Biden non mollasse la linea intrapresa negli ultimi anni al fianco di Taiwan era il messaggio incluso dietro all’accettazione della rappresentate Bi-khim Hsiao all’Inauguration. Invitata dal Congresso, confermata da Biden. Passaggio che ha ricordato la telefonata di Trump alla presidente taiwanese Tsai Ing-wen appena un paio di settimane dopo la vittoria del 2016.


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