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Da Fini-Berlusconi a Conte-Renzi. Analogie e soluzioni per la crisi

Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini (2001)

Luigi Tivelli va alla ricerca di precedenti di crisi di governo in qualche modo analoghe a quella nata dalla frattura fra Italia Viva e il premier Conte. E l’occhio si posa su Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi…

Molto probabilmente nello staff di Palazzo Chigi e anche da parte degli addetti ai lavori del Pd in questi giorni, nell’andare alla ricerca di precedenti di crisi di governo in qualche modo analoghe a quella nata dalla frattura fra Italia Viva e il premier Conte, l’occhio si è posato anche sulla quasi crisi svoltasi tra il novembre e il dicembre 2010 tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi.

Per chi non lo ricordasse, già dalla fine della primavera del 2010 c’era stato quel famoso “che fai, mi cacci?” da parte di Fini a Silvio Berlusconi nel corso di un teso intervento al consiglio nazionale del Pdl, dopo che Berlusconi aveva replicato causticamente ad una dura critica di Gianfranco Fini sull’impostazione della politica economica, ad opera soprattutto di Giulio Tremonti, in risposta alla grande crisi che era maturata nel 2008, da parte del Governo. La frattura era stata tale che nei mesi successivi, Fini, in quella fase Presidente della Camera dei Deputati, aveva lavorato alla costruzione di un suo movimento politico, dal nome Futuro e Libertà, aggregando poco più di una ventina di parlamentari che, appunto, avevano abbandonato la forza guidata da Silvio Berlusconi.

Mentre si affacciava verso la fine del mese di novembre un voto di fiducia al governo, emergeva chiaramente che la truppa di parlamentari guidata dall’allora presidente della Camera, era determinante e gli esperti in contabilità parlamentare davano il governo soccombente per almeno due voti nel voto di fiducia. Senonché il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, molto sensibile agli adempimenti istituzionali nei confronti della Ue, stabilì di rinviare quel voto di fiducia a dopo l’approvazione della legge finanziaria, trattandosi di un adempimento fondamentale per il paese e verso l’Ue. Ebbene, in quelle settimane, entrò in gioco la grande forza di mobilitazione e di “convinzione” del premier Silvio Berlusconi, dotato di una forte “macchina da guerra” e guarda caso, almeno sei parlamentari di Futuro e Libertà, dopo ampi “corteggiamenti”, furono indotti a rientrare nelle fila del Pdl, tant’è che nel voto di fiducia che si svolse poi in dicembre avanzato Berlusconi e il Governo ottennero la fiducia per tre voti.

Le analogie con la situazione attuale stanno nel fatto che c’è una componente della maggioranza che anche in quel caso si era distaccata, che si sono messi in moto ampie forme di “corteggiamento” verso parlamentari “responsabili” (però già di origine Pdl) e per il resto sono ben poche. Perché il premier Conte non dispone certo della potenza di fuoco di cui ancora disponeva in quella fase il presidente Berlusconi,  che fra l’altro ha potuto godere di un periodo di circa un mese per andare alla ricerca dei “responsabili” che tornavano a privilegiare il supporto al governo rientrando dalla posizione di opposizione in cui si erano collocati insieme a Fini, per il quale da quel momento è cominciata una sorta di decadenza politica. Oggi invece per un verso i responsabili (o trasformisti) bisogna andarli a cercare fra truppe sparse e non è certo facile racchiuderli in un disegno coerente, per altro verso incombe da qua a pochi giorni il voto sulla relazione sulla

Giustizia e i tempi di azione alla ricerca di nuovi responsabili sono ben più stretti. Eppure, Renzi ed Italia Viva stanno facendo ampie aperture, avendo ottenuto soddisfazione ad alcune delle loro istanze di contenuti, quali la delega sui servizi segreti, una nuova apertura sul Recovery Fund ed altre e, anche da qualche componente del Pd, si comincia a ventilare l’ipotesi, vista la difficoltà e il rischio di andare alla ricerca di “responsabili ” sparsi, di qualche forma di ripresa di dialogo con Italia Viva.

Rimane ovviamente la chiusura ideologistica dei Cinquestelle, da Di Battista a Di Maio, su cui tende ad appoggiarsi Conte, che sembra però finalmente aver aperto all’ipotesi di un Conte ter, che in fondo era stata una finestra che Renzi aveva tenuto aperta anche nella famosa conferenza stampa in cui aveva annunciato le dimissioni delle due ministre. Alla fin fine, visto che, quali che siano le dichiarazioni, le elezioni non le vogliono nessuno, tutto sommato sembra che si possa aprire qualche opportunità.

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