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M5S fra l’incubo trivelle e gli interessi delle imprese. Il commento di Clò

Fallito il blitz nel Milleproroghe, il prossimo agosto scadrà la moratoria gialloverde sui nuovi permessi per la ricerca di idrocarburi nei nostri mari. Ma il Movimento (via Patuanelli) è pronto a metterci una pietra tombale sopra, congelando nuovamente tutto. L’economista ed ex ministro Clò: facciamo di tutto per far scappare chi investe, rinunciando pure al nostro petrolio. Senza le big oil, per chi lavoreranno le imprese dell’indotto?

Solo a nominarle viene in mente una telenovela, di quelle lunghe e anche un po’ stucchevoli. Eppure il 2021 iniziato da appena 4 giorni sembra essere partito anche sotto il loro segno, quello delle trivelle. Le perforazioni in mare per la ricerca di idrocarburi di cui l’Italia ha, Green new deal a parte, ancora bisogno, almeno fino a transizione energetica compiuta, tornano ad essere un caso. Bisogna avere un po’ di memoria storica per capire la vicenda.

TELENOVELA ALL’ITALIANA

Febbraio 2019, l’allora governo gialloverde approva il decreto Semplificazioni, che porta in dote tra le altre cose, una moratoria di 18 mesi sulle trivellazioni nei mari italiani, i cui fondali, è noto, sono ricchi di petrolio e gas. Da quel momento, tutti i permessi inoltrati al Mise da parte di compagnie petrolifere italiane e straniere, sono stati di fatto congelati. Ora, in previsione della scadenza della moratoria (agosto 2021), l’esecutivo aveva tentato di bloccare la ripresa delle perforazioni, una volta decaduto il blocco in estate, con una norma inserita nel decreto Milleproroghe di fine anno che puntava appunto a prolungare lo stop.

Norma però alla fine stralciata per l’assenza di fatto di un accordo politico di fondo e per la forte opposizione di Italia Viva e centro-destra. Ora, saltando questo blocco, potrebbe a questo punto riprendere la perforazione di terre e mari italiani alla ricerca di gas e petrolio, dall’Adriatico al Canale di Sicilia fino al Tirreno, da parte di big oil straniere e italiane, che attendo il via libera ai permessi.

E potrebbero, perché no, esserci anche contraccolpi nel governo, visto che lo stop alle trivelle era uno dei punti centrali del Movimento Cinque Stelle, che da sempre si batte contro le trivellazioni in mare. Il ministro dello Sviluppo, il grillino Stefano Patuanelli, ha già annunciato nuove barricate contro lo stop naturale della moratoria, paventando una norma da infilare in un provvedimento invernale per fermare ancora una volta tutte le perforazioni, congelando erga omnes tutti i permessi richiesti, circa una novantina.

AUTOLESIONISMO TRICOLORE

Ma davvero l’Italia dovrà ancora una volta rinunciare a fonti energetiche di sua proprietà, preziose dal momento che gli effetti del Green new deal si vedranno solo tra qualche anno. Nel mentre, alleggerire la bolletta rendendosi un po’ meno dipendenti dall’energia straniera, potrebbe non essere una pessima idea. Alberto Clò, economista, saggista ed ex ministro dell’Industria nel governo Dini, va se possibile ancora oltre.

“Nel 2016 c’è stato un referendum, proprio sulle trivelle, che è fallito”, spiega Clò. “E allora mi chiedo perché ne stiamo ancora parlando. Abbiamo dato alla popolazione la possibilità di decidere e un segnale dalla gente è arrivato: scarso interesse verso lo stop alle perforazioni. Poi, alcuni governi hanno sostenuto le ragioni della ricerca di idrocarburi, altri no. Il problema è insomma politico, la confusione è politica. Ma questo caos ha prodotto solo danni e le compagnie petrolifere dovrebbero chiedere i danni allo Stato. Sono state tenute in balìa dell’indecisione e degli stop and go sui permessi, rimettendosi fior di quattrini. Questo il problema. E oggi assistiamo a questo ennesimo balletto”.

L’economista punta soprattutto il dito contro i danni industriali di un simile comportamento. “Guardi che non c’è solo la compagnia petrolifera X che cerca idrocarburi nel mare, c’è anche un indotto, un settore esposto a questa schizofrenia. Voglio dire, le aziende che forniscono pezzi di ricambio alle compagnie, che fine fanno se queste ultime se ne vanno, esasperate? Ci sono diversi distretti coinvolti, mica solo le big oil. E così non solo rinunciamo al petrolio, ma facciamo anche fuggire chi investe e danneggiamo chi fornisce beni strumentali a chi investe, cioè l’indotto, la piccole e media impresa. La verità è che questo Paese preferisce importare piuttosto che produrre, non le pare un po’ folle?”


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