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Twitter e Facebook alla guerra contro Trump. Il punto di Antonucci

Inizia una nuova fase del complesso e significativo rapporto tra le piattaforme social e il sistema del potere politico. Che cosa accadrà ora che i social network sembrano aver vinto il braccio di ferro mediatico contro il presidente americano? L’analisi di Maria Cristina Antonucci

Con la sospensione dell’account FB e IG di Donald Trump per almeno due settimane e con la cancellazione del profilo Twitter @therealDonalTrump e di account collegati, dopo i drammatici fatti di Capitol Hill, inizia una nuova fase del complesso e significativo rapporto tra le piattaforme social e il sistema del potere politico. Alcuni commentatori internazionali (Politico) hanno presentato la tesi che la marcia organizzata da sostenitori di Trump il 6 gennaio scorso, scaturita nelle 5 morti di manifestanti e poliziotti e nelle incredibili immagini di assalto e devastazione a Capitol Hill, abbia solide radici nella costruzione di community sui social e nella possibilità di diramare messaggi, forieri di conseguenze molto reali, al di fuori del controllo delle piattaforme social.

Non si tratta di una novità, nei fatti, dal momento che, sin da una fase molto precoce, l’impatto politico reale di messaggi diramati sui social aveva costruito la narrazione, tanto semplicistica quanto ottimista, della esportazione della democrazia mediante lo sviluppo di un attivismo digitale, come nel caso delle “primavere arabe” del 2010. Quello che differisce in questo difficilissimo momento storico, è la dimensione dell’impegno e il contesto geo-politico ed istituzionale in cui si svolge la transizione dal coinvolgimento delle piattaforme alla discesa in campo di un potere di impresa che, sulla scorta di policy aziendali interne, decide di assumere su di sé un potere di natura pubblica: quello della censura.

Il passaggio dal corporate engagement (’impegno delle aziende verso temi d’attualità e che arrivano direttamente al cuore del pubblico) al corporate political activism (la discesa nel campo della politica delle imprese, che sposano o ricusano la posizione di un partito/leader), cui sono stati dedicati numerosi studi e ricerche di marketing e advocacy, non è mai stato così deciso e definitivo come nel caso di FB e Twitter che decidono, mediante regole e processi decisionali aziendali, di cancellare la presenza sui social di un soggetto politico e istituzionale potente come il Presidente degli Stati Uniti. L’ingresso in politica di FB e Twitter arriva nella più importante democrazia mondiale in un momento difficilissimo (la transizione tra la Presidenza Trump e quella Biden, durante la pandemia da Covid e le tensioni sociali che hanno caratterizzato l’ultimo anno e che sono confluite nel recente assalto al Parlamento); esso si qualifica come un intervento aziendale con un impatto significativo sul dibattito pubblico, di cui i social media sono diventati un pilastro imprescindibile; opera in una direzione di censura e limitazione dell’accesso alla sfera pubblica, nei confronti di un soggetto politico-istituzionale la cui presenza sui social non risulta legittimata sulla base delle regole e dei termini di uso delle piattaforme.

Questa decisione pone una serie di problemi molto gravi per lo spazio del dibattito pubblico e per lo sviluppo della democrazia. In primo luogo: quante e quali responsabilità pubbliche si assumono i social network nel decidere chi, dotato di una posizione di potere politico o di un incarico istituzionale, abbia diritto ad avere accesso alle piattaforme? La questione è legata alla natura stessa dei social: sempre qualificatisi come piattaforme per la condivisione, e mai assoggettati alle norme per l’informazione, anche quando svolgevano chiaramente una funzione di produttori di contenuti, ora i vertici aziendali delle imprese che detengono le piattaforme decidono di fare un passo avanti e prendere posizioni politiche nella sfera pubblica (esattamente come accadeva quando realizzavano – e in molti casi continuano a realizzare – profitti ingenti sulla scorta di post politici sponsorizzati, anche da parte di Donald Trump). Questi soggetti privati di impresa che hanno un così forte impatto sulla sfera pubblica, possono e devono rispondere, nell’assumere scelte collettive così politiche, a norme di diritto pubblico, e non solo a policy aziendali. La regola ovviamente vale per Trump (i cui legali sicuramente staranno immaginando azioni), ma vale ovviamente per ogni utente meno potente, che faccia parte della sfera pubblica. Morozov aveva già messo in guardia da anni sullo strapotere dei signori del silicio, indicando come conseguenze dell’emergere della social network society fenomeni quali: la modificazione dei comportamenti economici, sociali e politici, la privatizzazione dello spazio virtuale, con la decostruzione dello spazio pubblico fuori dai social network, la riduzione degli individui in consumatori. Che cosa accadrà ora che i social network appaiono aver vinto il braccio di ferro mediatico contro il Presidente Trump, dimostrando i riflessi politici di un potere mediatico profondo, sconfinato e privo di controlli pubblici?

In secondo luogo, il tema ci porta dentro ad una dimensione geo-politica dei social network. Chiunque sia stato in Cina o Iran avrà sperimentato l’impossibilità di accedere a FB, dovuta alla censura dei regimi politici di questi Stati nei confronti delle piattaforme. La diffusione di social network alternativi, su base nazionale, è stata la riposta che questi regimi hanno presentato. Ora che FB e Twitter decidono di passare alla fase censoria, alla stessa stregua dei regimi politici in cui la diffusione delle piattaforme è vietata, c’è da immaginare che individui e gruppi che non si riconoscono più in tali policy aziendali possano passare ad ulteriori social network in grado di offrire spazi alternativi per la condivisione. Alt-social network, alla stessa stregua degli alt-media, che hanno sostenuto posizioni vicine a Trump nel corso degli ultimi anni, prima e dopo l’elezione a Presidente degli Stati Uniti. Una alternativa imprevista per le piattaforme ormai mainstream, ma sempre un formato di concorrenza in un mercato rigidamente oligopolista e con player quotati in borsa. In altre parole, resta da valutare l’impatto del mercato finanziario a far riflettere le grandi piattaforme circa l’opportunità di continuare, dopo il caso di Trump, questa forte esposizione politica e da verificare quanto e dove la nascita di social network alternativi possa influire su un mercato globale.

Le molte tematiche emerse dallo scontro tra Trump e le piattaforme social necessitano quindi di una riflessione collettiva più profonda e scevra dalle logiche del momento, al fine di garantire la conciliazione tra diritti di espressione e condivisione dei cittadini e dei gruppi sociali e le regole di governance di imprese private quali i social network.

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