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I tre problemi aperti dal ban di Trump su Twitter e Facebook

Di Annita Sciacovelli

Resta attuale il pensiero di Rodotà secondo cui la Rete determina una destrutturazione/ricostruzione della sfera pubblica e di quella privata divenendo un luogo terzo, non coincidente con le due tradizionali categorie. Quest’ultimo necessita di normative statali e di accordi internazionali. L’analisi di Annita Sciacovelli, ricercatrice dell’Università di Bari

A seguito dei drammatici accadimenti di Capitol Hill, Twitter e Facebook hanno bloccato gli account di Donald Trump nel timore di ulteriori incitamenti alla violenza suscitando molteplici reazioni. Ma qualè il ruolo – e quali sono i limiti – dei social network nelle dinamiche politiche e sociali.

L’analisi di Mario Caligiuri (7 gennaio), sulle violenze conseguenti alle esternazioni diffuse via Web dal presidente Trump, induce a una riflessione sulla relazione tra social network e organi di governo. Ideati quali piattaforme digitali per favorire la comunicazione in nome della libertà di espressione, essi rappresentano uno strumento rapido ed economico per condividere, con milioni di utenti, slogan sociali e idee politiche con toni spesso “emozionali”. I fatti di Washington hanno mostrato come tali strumenti possano essere pericolosi, specie se utilizzati da leader politici (in questo caso, addirittura da un capo di Stato), fino al punto da fomentare disordini sfruttando il disagio sociale di frange di popolazione. Le problematiche derivanti dall’uso distorto dei social network sono ben note: si pensi all’incitamento alla violenza contro la minoranza Rohingya, diffuso via Facebook dall’esercito e da alti funzionari birmani nel 2017, e che ha causato la morte di 750.000 persone.

La peculiarità di quanto accaduto a Washington riguarda soprattutto la necessità dei social network di bloccare gli account di Donald Trump. Sull’onda della vicenda si è sviluppato un acceso dibattito pubblico negli Stati Uniti sulla diffusione dei discorsi d’odio attraverso le piattaforme digitali che pone una serie di problematiche. La prima verte sulla opportunità della censura di un account governativo da parte di un social network, sebbene tale scelta possa essere resa necessaria dall’assenza di una normativa statale che, in tempi rapidi, contrasti fenomeni che, nel loro insieme, rappresentino un incitamento alla violenza. La seconda problematica riguarda il timore che la strategia messa in campo da Donald Trump possa ispirare altri politici, o attivisti, che vogliano strumentalizzare, ai propri fini, le possibilità di comunicazione (online) e mobilitazione sociale (offline) offerte da Internet.

In realtà, la questione di fondo verte sulla evoluzione della natura dei social network, che non sono più solo piattaforme digitali che ospitano i messaggi degli utenti, bensì anche canali ufficiali di comunicazione. Resta quindi attuale il pensiero di Rodotà che la Rete stessa determina una destrutturazione/ricostruzione della sfera pubblica e di quella privata divenendo un luogo terzo, non coincidente con le due tradizionali categorie. Quest’ultimo necessita di normative statali e di accordi internazionali che regolamentino la funzione pubblica dei social network all’interno di un modello di responsabilità adeguato alle nuove sfide poste dalla società digitale.

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