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Ue-Cina, chi vince (e chi perde) dall’accordo. Scrive Fardella

Mentre l’Occidente si divide, la Cina va all’incasso con l’accordo sugli investimenti insieme all’Ue (Cai). Ecco come, con poche e ben calibrate concessioni alla coppia Macron-Merkel, Xi trascina il Dragone fuori dalla middle-income trap. L’analisi di Enrico Fardella, Professore del Dipartimento di Storia della Peking University

Il 30 dicembre Cina e Unione Europea hanno annunciato di aver raggiunto un intesa ‘storica’ sul Comprehensive Agreement on Investments (Cai), l’accordo bilaterale sugli investimenti che dovrebbe avviare una nuova fase delle relazioni economiche sino-europee.

Secondo i leader europei si tratta dell’accordo più ambizioso che la Cina abbia mai concluso sinora: la Cina si impegnerebbe a offrire agli investitori europei un accesso senza precedenti al suo mercato interno e assicura di eliminare molte delle pratiche discriminatorie che hanno reso fino ad oggi il mercato cinese ostico e iniquo per gli operatori europei.

Un accordo di questa dimensione si merita i suoi detrattori. I critici sostengono che le concessioni fatte dalla Cina all’Europa sono parziali e prive di sistemi di controllo ed enforcement. La trasparenza sui sussidi che la Ue avrebbe imposto alla Cina riguarderebbe il settore dei servizi e non quello manifatturiero che assorbe la fetta più rilevante degli investimenti europei in Cina.

Le nuove aperture del mercato cinese concesse agli investitori europei sembrerebbero limitate principalmente ai settori delle auto elettriche, delle telecomunicazioni e delle cliniche private e sarebbero comunque sempre condizionate da diversi vincoli. In ogni caso –  come ha peraltro stabilito la recente legge nazionale sulla sicurezza nazionale  cinese – l’alto grado di discrezionalità del governo centrale sulla valutazione degli investimenti e il loro impatto sulla sicurezza nazionale renderebbe fragile la ratio dell’accordo stesso.

Senza contare le critiche relative alla mancanza di impegni precisi sui temi del lavoro, in particolare quello forzato che richiama il tema del trattamento delle minoranze uigure nello Xinjiang. Secondo le dichiarazioni ufficiali della Ue il governo cinese si sarebbe impegnato ad accelerare la ratifica delle convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro già siglate.

Tra queste l’International Covenant on Civil and Political Rights (ICCPR) – che la Cina ha firmato nel 1998 ma non ha ancora ratificato – impegna i suoi sottoscrittori al rispetto di alcune libertà in tema di lavoro – tra cui libertà di associazione e indipendenza sindacale – che sono tradizionalmente considerate dal Partito Comunista Cinese come una minaccia per la sua leadership. Come ha detto Shi Yinhong, celebre esperto di relazioni internazionali dell’Università del Popolo, è ingenuo pensare che Pechino accetti vincoli simili.

Per valutare il reale impatto economico del Cai bisognerà dunque attendere: l’accordo, peraltro solo annunciato ma ancora non ufficialmente siglato, una volta formalizzato dovrà essere discusso e approvato dal Parlamento europeo e ciò richiederà tempi lunghi. Si parla della prima metà del 2022, nel semestre di presidenza francese al Consiglio. Il presidente Emmanuel Macron è stato l’unico leader europeo a essere invitato da Angela Merkel all’incontro virtuale del 30 dicembre e pare che le tempistiche per la ratifica siano state concordate proprio per avere l’appoggio francese alla manovra tedesca.

Al momento il Cai sembra avere principalmente ricadute politiche. La conclusione del negoziato porta la firma di Merkel che ha spinto a pieno regime il ‘motore tedesco’ all’interno della Commissione – alimentato dai capo gabinetto della presidenza e vice presidenza – per concludere l’accordo entro la fine dell’anno e suggellare cosi la conclusione della presidenza semestrale tedesca al Consiglio della Ue.

Nel comunicato ufficiale si fa espressa menzione al ruolo del cancelliere tedesco come traino per la conclusione dell’accordo e promotore delle relazioni sino-europee. La presenza di Macron suggella un asse franco-tedesco come forza motrice di un’Europa che rivendica una ‘autonomia strategica’ nei confronti di Washington.

La forma è sostanza, soprattutto in diplomazia. Sebbene le tempistiche dell’accordo fossero state già stabilite all’epoca del 21esimo summit tra Cina ed Europa nell’aprile del 2019, il fatto che l’annuncio sulla conclusione del Cai sia stato dato a pochi giorni dall’insediamento del nuovo presidente americano alla Casa Bianca è stato percepito a Washington come una mancanza di rispetto da parte dei suoi alleati europei, sopratutto alla luce delle reciproche dichiarazioni che sembravano voler ricomporre il fronte atlantico, azzoppato da Trump, per arginare la crescente influenza economica e politica della Cina nel mondo.

La Germania della Merkel ha certamente sofferto le fughe in avanti dell’amministrazione Trump, soprattutto quelle sugli accordi commerciali tra Washington e Pechino che rischiavano di penalizzare i mercati della Ue più esposti al commercio con la Cina.

La sfiducia nei confronti dell’alleato americano ha ispirato anche le perplessità della Merkel nei confronti delle politiche anti-cinesi da nuova Guerra fredda proposte da Washington: l’allineamento che gli Stati Uniti chiedevano agli europei rischiava di essere disatteso dagli stessi americani quando le contropartite offerte da Pechino, come nel caso dell’accordo sul commercio, lo avessero reso utile.

Le voci circolate a fine ottobre sulle intenzioni di Biden di eliminare alcune restrizioni al commercio in cambio di benefici per  l’accesso delle aziende americane al mercato cinese non avranno giovato a smussare le perplessità della Cancelliera tedesca nei confronti degli alleati d’oltreoceano.

Con il Cai la Merkel si smarca dalla nuova Guerra fredda di Trump, cerca, in un momento critico per l’economia europea, di guadagnare nuovi spazi per le aziende europee (soprattutto franco-tedesche) sul mercato cinese e manda un segnale alla nuova – e fragile viste le profonde divisioni interne – amministrazione Biden: se Washington vorrà costruire un fronte comune per competere con il colosso cinese dovrà imparare a condividere percorsi e orizzonti con l’Europa (e con Berlino).

Il prezzo di questa manovra rischia tuttavia di pagarlo proprio l’Europa, le cui iniziative  sembrano alimentare le divisioni interne anziché risolverle, come dimostra il legittimo risentimento degli italiani per l’esclusione dal tavolo virtuale del 30 dicembre.

E mentre l’Occidente si divide, la Cina ancora una volta incassa. Con poche e ben calibrate concessioni alla coppia franco-tedesca Pechino rafforza a suo vantaggio le ‘contraddizioni’ interne al fronte occidentale e rilancia la cooperazione con l’Europa in settori cruciali per l’upgrade tecnologico che l’economia cinese è costretta   ad accelerare  per non restare vincolata alla cosiddetta middle income trap.

In una fase in cui l’onda anti-cinese ha rafforzato l’attenzione internazionale su fronti delicati per Pechino come lo Xinjiang – ma anche Hong Kong e Taiwan – il Cai diventa uno strumento essenziale persino per il rafforzamento delle politiche di sicurezza nazionale e di tutela dei ‘core interests’ cinesi.

Senza dimenticare il valore che un accordo simile porta alla leadership di Xi Jinping consentendogli, come ha scritto il Prof. Xiao Gongqing uno dei massimi esponenti della corrente neo-autoritaria in Cina, di presentarsi come l’unico leader mondiale capace di riportare al contempo ordine, sicurezza e sviluppo al proprio Paese.

Come hanno detto a Bruxelles: è sicuramente uno degli accordi più ambiziosi che la Cina abbia mai concluso sinora.



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