Cosa c’è dietro al rimprovero americano – via Onu – alle nazioni che muovono dall’esterno interessi in Libia? Possibile riconoscimento diplomatico all’attività dell’ambasciatrice Williams, ma anche segnali di interessamento al dossier e al Mediterraneo, spiega Mezran (Atlantic Council)
Gli Stati Uniti hanno chiesto a Russia, Turchia ed Emirati Arabi Uniti di ritirare le proprie unità miliari dalla Libia, rispettando le scadenze fissate dall’accordo di cessate il fuoco del 23 ottobre — accordo che fa da base al processo di stabilizzazione in corso e guidato dall’Onu. La scadenza era fissata per il 23 gennaio, ma non c’è stato alcun movimento da parte di nessuno.
“Chiediamo a tutte le parti esterne, incluse Russia, Turchia e Emirati Arabi Uniti, di rispettare la sovranità libica e di cessare immediatamente ogni intervento militare in Libia”, ha detto giovedì l’ambasciatore statunitense Richard Mills durante una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla Libia. Mills occupa il ruolo di facente funzione al Palazzo di Vetro, in attesa che si concluda il processo di nomina/incarico di Linda Thomas-Greenfield, scelta per rappresentare Biden all’Onu.
“Sulla base dell’accordo di cessate il fuoco di ottobre, chiediamo a Turchia e Russia di avviare immediatamente il ritiro delle loro forze dal Paese e la rimozione dei mercenari stranieri e dei delegati militari che hanno reclutato, finanziato, dispiegato e sostenuto in Libia”, aggiunge Mills in modo più specifico.
La Turchia è sul fronte della Tripolitania con advisor militari che stanno addestrando unità miliziane inglobate sotto la compagine “difesa e sicurezza” del governo onusiano Gna. In Libia ha inoltre forze irregolari spostate dalla Siria: si tratta di miliziani fedeli che hanno combattuto il regime assadista e che ricambiano l’appoggio turco nella guerra civile con una sorta di fedeltà (pagata) tale che Ankara li usa come unità di intervento ibrido in contesti delicati, dalla Libia appunto al Nagorno-Karabakh. Questo schieramento composito è conseguenza di un accordo (tecnicamente sovrano) tra il governo di Tripoli e la Turchia, cooperazione che recentemente è stata prolungata fino al 2022.
Emirati Arabi e Russia sono schierati sul lato opposto e hanno dato — e danno — sostegno alle unità ribelli di Khalifa Haftar. Il capo miliziano dell’Est che nell’aprile 2019 tentò di conquistare il Paese — poi respinto la scorsa estate dal Gna, sotto coordinamento militare turco — ha scarse capacità di fuoco: ha con sé una milizia che chiama Esercito nazionale libico ma le cui file sono composte più che altro da mercenari ciadiani e sudanesi pagati con i soldi emiratini. I russi sono presenti su quel lato attraverso un altro schieramento irregolare costituito dal Wagner Group, unità di contractor molto bene addestrate (e organizzate). È una compagnia militare privata molto vicina al Cremlino, spesso usata dalla Russia per fare il lavoro sporco senza insegne della Federazione (Mosca nega qualsiasi legami con la società Wagner).
Come possiamo leggere questa dichiarazione statunitense? “È possibile – risponde a Formiche.net Karim Mezran, esperto di Libia e Senior Fellow, Rafik Hariri Center for the Middle East dell’Atlantic Council – che sia una presa di posizione per far sentire vicinanza e ringraziamento per il lavoro fatto da Stephanie Williams alle Nazioni Unite, e dunque dietro non ci sarebbe da leggere troppo“.
Williams ha fatto la funzione dell’inviato speciale dell’Onu per la Libia, ricoprendo l’incarico ad interim per svariati mesi dopo le dimissioni di Ghassan Salamé. Ora sarà sostituita dallo slovacco Jan Kubis, ma è stata Williams ad avviare il processo negoziale in corso.
“D’altro lato però – aggiunge Mezran – è impossibile pensare che l’ambasciatore Mills abbia fatto queste dichiarazioni senza un accordo con le gerarchie che si stanno insediando nella struttura statunitense sotto la nuova amministrazione Biden”.
E dunque questo significa qualcosa in più? Gli Usa potrebbero “cambiare marcia” sulla Libia, come ipotizzato in questa analisi di Formiche.net? “Contrariamente a quello che si dice, io credo di sì: è possibile che vedremo un intervento favorevole a un processo ordinato verso un governo di transizione nazionale. Sarebbe anche il migliore dei modi per contenere, se non proprio respingere, i continui interventi russi nel Mediterraneo”.
Interventi che hanno un peso in Libia, dove la Russia è piazzata in almeno due punti nevralgici: Sirte, sul confine Est-Ovest costiero, e al Jufra, lungo una direttrice verticale più a Sud (base usata come scalo aereo). Recentemente immagini satellitari hanno mostrato che le unità russe della Wagner hanno scavato una specie di fossato fortificato lungo 70 chilometri per unire le due infrastrutture. Sembra una linea Sykes-Picot intralibica che fa pensare a una proiezione a tempo indeterminato dell’intervento russo, e – più che all’intenzione di lasciare il territorio – alla costruzione di linea fisica che tracci i confini di una sfera di influenza affacciata al centro del Mediterraneo.
Secondo Mezran, anche per questi fattori, gli Stati Uniti di Joe Biden “non tenderanno a vedere l’area MENA come secondaria, ma la interpreteranno in maniera coerente: la stabilizzazione in Libia è dunque parte dello sguardo sul Mediterraneo e al Medio Oriente”.