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Vergogna Xinjiang, così la Cina nega il controllo delle nascite

Per la Cina il controllo delle nascite nello Xinjiang è un modo per rendere le donne indipendenti. Lo studio sul China Daily, il tweet dell’ambasciata statunitense e l’inchiesta drammatica dell’Associated Press

Le attività cinesi nello Xinjiang, provincia nord-occidentale abitata prevalentemente da musulmani di etnia uigura, assumono un ulteriore livello di drammaticità. La stampa internazionale riporta casi di sterilizzazioni forzate per controllare le nascite ed evitare la riproduzione del gruppo etnico. Il governo cinese smentisce e sostiene piuttosto di aver reso le donne dello Xinjiang “più indipendenti”.

Pechino ha costruito dei “campi di rieducazione”, nei fatti delle strutture detentive dove gli uiguri sono sottoposti ad attività e lavori forzati. Un’attività di fatto di pulizia etnica giustificata con la lotta per l’eradicazione del terrorismo da parte del Partito/Stato, che vede lo Xinjiang come una faglia interna legata a instabilità separatiste – nutrite anche dall’indottrinamento islamico radicale, che ha portato diversi uiguri anche alla hegira califfale verso il Siraq.

Ieri l’ambasciata cinese negli Stati Uniti – forse approfittando del caos prodotto dall’assalto trumpista a Capitol Hill, molto ripreso e discusso, con fini propagandistici, dai media cinesi – ha twittato un articolo del China Daily in cui veniva riportato uno studio che “mostra come nel processo di eradicazione dell’estremismo, le menti delle donne uiguri nello Xinjiang sono state emancipate e sono state promosse l’uguaglianza di genere e la salute riproduttiva, rendendo (quelle donne, ndr) non più macchine per fare bambini”. Ora, dice il tweet, “sono più fiduciose e indipendenti”.

L’articolo del China Daily contesta una serie di informazioni che sono uscite nei media occidentali attraverso notizie fornite da organizzazioni umanitarie: a differenza del China Daily, che è uno dei vettori con cui il Partito comunista cinese spinge la propria propaganda, le informazioni sulle condizioni nello Xinjiang, anche sulle donne, escono da testimonianze dirette a da inchieste giornalistiche indipendenti (per quanto i giornalisti internazionali difficilmente vengano lasciati liberi di muoversi nelle regione).

Per esempio questa estate è uscito un approfondimento sull’Associated Press in cui si raccontava che lo Stato cinese sottopone regolarmente le donne delle minoranze a controlli di gravidanza e forza a indossare i dispositivi intrauterini, la sterilizzazione e persino l’aborto. L’AP dava sostegno a quanto scritto tramite “centinaia di migliaia di interviste e dati”. Anche se l’uso degli IUD (acronimo che indica un dispositivo contraccettivo gergalmente noto come “spirale”) e della sterilizzazione è diminuito a livello nazionale, pare che sia in forte aumento nello Xinjiang: “Le misure di controllo della popolazione sono sostenute dalla detenzione di massa sia come minaccia che come punizione per il mancato rispetto” delle istruzioni del Partito, aggiungeva AP.

Avere troppi bambini è una delle ragioni principali per cui le persone vengono mandate nei campi di detenzione, ha scoperto l’AP, con i genitori di tre o più figli strappati alle loro famiglie a meno che non possano pagare multe enormi. La polizia – che nello Xinjiang usa anche metodi predittivi affidati all’intelligence artificiale per individuare i propri obiettivi – “fa irruzione nelle case uigure: i genitori sono costretti a provare a nascondere i loro figli”.

Ars Techinica, un sito di Condé Nast che copre notizie di tecnologia e società, ha chiesto a Twitter di segnalare il messaggio con cui l’ambasciata cinese diffondeva informazioni alterate sulle donne dello Xinjiang, accusandolo di seminare odio razziale. Il social network – che in questi giorni ha sospeso l’account del presidente americano perché colpevole di fomentare l’odio politico nel suo Paese – ha risposto al sito che “non sono state registrate violazioni sulle proprie politiche di gestione”.

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