Mandare la nazione al voto non è uno scandalo, non è una tragedia. Se vi è un pericolo Covid, si può prolungare per qualche giorno in più l’apertura dei seggi. Alla fine, una cosa è chiara: in monarchia decide il re, in democrazia decide il popolo. Chi potrebbe ragionare diversamente? Il commento di Benedetto Ippolito
Oggi iniziano le consultazioni del Presidente della Repubblica. La crisi di governo, iniziata formalmente con le dimissioni di Giuseppe Conte, ha avviato la propria necessaria liturgia.
Le opzioni sul tavolo quirinalizio sono molte, sebbene non infinite. O un Conte ter, o una maggioranza allargata con o senza Conte, oppure andare verso le elezioni. Lo spettacolo, credo sia incontestabile questo fatto, è disarmante, specialmente per i cittadini normalmente non interessati alla politica politicata ma immersi in problemi enormi di sopravvivenza. Il discredito di tutta la classe politica, d’altronde, non è certo una conquista macabra di oggi, ha un lungo pregresso, sebbene adesso, disgraziatamente, investa l’intero ordinamento dello Stato.
È del tutto naturale che la ricerca di una maggioranza aritmetica prenda il sopravvento su tutto, con i compromessi e le trattative che servono, anche se le diverse finalità particolaristiche, esibite di continuo dai media, rischiano di far perdere di vista la bussola che dovrebbe indicare le vere priorità.
Il dato più rilevante, e forse meno scontato, è l’unità del centrodestra. Il fatto cioè che, perlomeno provvisoriamente, Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia vadano con delegazione unica al Quirinale venerdì pomeriggio è un indice importante da non sottovalutare e, naturalmente, neanche da esagerare.
Nel caos generalizzato, occorre adesso per Sergio Mattarella fare qualcosa di più che nelle passate gestioni di crisi: indicare l’essenziale, porre l’accento su ciò che conta, non limitandosi cioè a fare quel che la procedura costituzionale impone. Laddove tutto crolla è insomma opportuno attaccarsi alla sostanza. E oggi la sostanza è la democrazia reale. Ogni soluzione corretta può essere costituzionale, ma non sempre la prudenza è buona consigliera.
Lo scollamento del popolo, dei cittadini, da quello che accade nella dinamica dei cosiddetti palazzi è il primo iato da colmare. Altrimenti il rischio è di trovarsi sempre di più impantanati nei ghirigori dei vicoli lacunosi della trascendenza sistemica della rappresentatività, non avendo più neanche il canale infausto ma apparentemente rassicurante dell’antipolitica, un tempo rappresentata da grillini e populisti, a mantenere un raccordo con la realtà vera.
L’opzione elettorale, è vero, non è attraente per i deputati e i senatori e, probabilmente, non è la più sensata sul piano amministrativo, economico e sanitario. Tuttavia, si faccia attenzione a pensarla solo così!
Ogni scelta che verrà presa a Palazzo Chigi dalla prossima settimana inciderà sul futuro di generazioni. L’idea democratica può anche essere abbandonata, Dio non voglia, ma affida a tutti i cittadini la responsabilità del loro destino. In questo momento nessuno può sentirsi in coscienza al riparo dalla percezione che quello che reputa giusto non lo sia per gli altri e per il bene comune, figuriamoci chi governa. Troppo grandi le scelte, troppo indeterminati gli scenari, e troppo miope lo sguardo isolato che si ha dall’alto.
Mandare la nazione al voto non è uno scandalo, non è una tragedia. Se vi è un pericolo Covid, si può prolungare per qualche giorno in più l’apertura dei seggi. Alla fine, una cosa è chiara: in monarchia decide il re, in democrazia decide il popolo. Chi potrebbe ragionare diversamente?
Sbagliare sarà probabile per il prossimo governo, essere contestati per opzioni non valide anche, ma la peggior cosa sarebbe assumersi un’incombenza che non si è sicuri di avere il mandato di espletare. Alla fine, il dubbio impetra certezza, l’oscurità vuole la luce. E tale prerogativa implica attaccarsi all’essenza e ripartire dalla democrazia. Perciò, l’ultima e meno probabile decisione risulta essere l’unica realmente sensata: andare ad elezioni.
Immaginare un Conte ter o un governo analogo, perfino di larghe intese, con all’opposizione la metà del corpo elettorale, vuol dire condannare lo Stato ad infrangersi contro la sua stessa base repubblicana. Nessuno ha mai pensato, d’altronde, che la democrazia sia il massimo per il governo di uno stato di eccezione, al di fuori di chi sa che il resto è peggio, sicuramente molto peggio.
Votare, dunque, è meglio di un’agonia, e decidere insieme a tutti è l’unica vera clausola di salvaguardia politica dal baratro della solitudine disperata di una sicura arbitrarietà errante.