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In nome di Dio, se ne vada: il Wall Street Journal molla Trump

Il quotidiano di Murdoch, mai troppo duro con Trump, abbandona con un articolo firmato dal consiglio editoriale la linea del presidente uscente. I fatti di Capitol Hill si portano dietro un terremoto tra le istituzioni del mondo conservatore americano, che per potabilità futura prendono le distanze anche in modo irruento

Forse sopra ogni altra cosa – e sono state tante – il simbolo della fine di Donald Trump è racchiuso nell’editoriale con cui il Wall Street Journal lo ha mollato. Trump è apparso isolato nel video della resa di giovedì – il primo in cui finalmente il presidente ha ammesso (senza nominare mai l’eletto Joe Biden) che tra pochi giorni ci sarà una nuova amministrazione; video che, secondo il New York Times, Trump s’è convinto di registrare solo perché il consulente legale della Casa Bianca l’ha messo davanti al rischio di finire inquisito in un processo federale come istigatore dietro alle rivolte di Capitol Hill. Ma qualche ora prima uno spaccato sul suo isolamento (politico, non riguardo ai supporter, ai fanatici e alle milizie d’ultra destra, che continuano a vederlo ancora come un riferimento anche in modo strumentale) lo aveva fornito il giornale di Wall Street.

Quello che scrive il Wsj è interessante perché il quotidiano di Rupert Murdoch non è mai stato troppo duro con Trump: anzi, tra i grandi media americani e mondiali era l’unico che spesso avallava la linea del presidente statunitense, pubblicando anche op-ed spinti da parte di suoi simpatizzanti (qualcosa che aveva messo invece in subbuglio altre redazioni, come per esempio quella del New York Times, dove la pubblicazioni di contribuiti esterni troppo trumpiani ha aperto una faida all’interno degli uffici del tempio del pensiero liberal).

Le immagini che usciva dall’assalto dei trumpisti a Capitol Hill sembravano provenire “da una terra lontana e sfortunata”, scrive il Wsj tramite l’Editoria Board (segnando quindi la posizione dell’intero corpo editoriale), e non dal parlamento della democrazia più importante del mondo il cui presidente è auto-definito – dagli americani – “capo del mondo libero”. Pesantissimo il giudizio su Trump: “Il rifiuto di Trump di accettare la propria sconfitta e la falsa speranza che ha dato ai suoi sostenitori, sta confermando tutte le peggiori cose che i suoi critici hanno detto di lui. I 74 milioni di elettori che lo hanno votato hanno preoccupazioni autentiche sul paese e meritano di meglio che essere ingannati”.

Una bomba, se si considera che è abbinata all’avallo delle scelte fatte dal vicepresidente Mike Pence, che rifiutandosi di non convalidare la vittoria elettorale di Biden (una richiesta di Trump, per altro oltre i limiti del possibile) ha dimostrato di essere “un rappresentante costituzionale regolarmente eletto e non il lacchè del presidente”, scrive il Wsj – che contemporaneamente picchia duro su Ted Cruz, il più importante dei congressisti repubblicani che hanno sostenuto le obiezioni parlamentari contro la vittoria fino alla ratifica finale e anche oltre il caos dell’assalto: “Cruz si lamenta dell’incendio mentre impugna un lanciafiamme”.

Il pezzo è una critica anche contro i Repubblicani, che hanno cucito per anni un abito velenoso che Trump ha semplicemente indossato, calzandolo a pennello: Cruz contro Pence, la responsabilità del vicepresidente contro colui che incarna la linea spregiudicatamente aggressiva che il partito ha avallato usando una serie di dimensioni (media e organizzazioni, nonché parlamentari) che avvelenano le acque da anni e di cui Trump e l’assalto al Congresso sono la logica, quasi naturale, deriva estrema.

C’è una chiusa ancora più dura nell’editoriale del Wsj (che, attenzione, non sta cambiando sponda ma semplicemente marcando le distanze dal caos anche per necessità di mantenere un’immagine potabile quando continuerà a parlare in futuro al mondo del business). “Biden diventerà presidente il 20 gennaio – scrivono da Avenue of the Americas, la sede del quotidiano a Manhattan – e, fino ad allora, la polizia dovrà restaurare l’ordine con tutta la forza necessaria. I repubblicani, in particolare, devono prendere posizione contro le violazioni e la violenza. Quanto a Trump, per prendere a prestito le parole usate nel 1940 contro Neville Chamberlain: ‘In nome di Dio, se ne vada’ (la citazione è dal dibattito parlamentare con cui il premier inglese venne sostituito da Churchill perché incapace di condurre la guerra contro i nazisti, ndr) “

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