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Yukio Mishima tra Apollo, Dioniso e Nietzsche. Il saggio di Malgieri

È appena uscito il saggio di Gennaro Malgieri Yukio Mishima esteta del patriottismo (Fergen edizioni, pp. 199, € 15). Il grande scrittore giapponese commise seppuku, il suicidio rituale, il 25 novembre 1970 per richiamare il suo popolo a ricongiungersi ai valori che ne costituivano l’identità andata in frantumi dopo la guerra. Il gesto fu clamoroso. Fu in un viaggio, narrato in uno dei suoi libri più suggestivi, La coppa di Apollo, che scoprì la cultura classica e mediterranea. Su questo aspetto pubblichiamo un capitolo tratto dal saggio di Malgieri che non a caso lo definisce “scrittore di due mondi”

I primi anni Cinquanta furono caratterizzati dalla formidabile emozione che Mishima riportò da un viaggio in Grecia raccontato nel saggio La coppa di Apollo (1967), nel quale sono raccolte le impressioni ricavate in America, a Londra, a Roma, a Venezia, in India. In preda ad un “sentimento di ebbrezza che si protraeva per l’intera giornata”, fu conquistato dal mirabile equilibrio tra spirito e corpo promanante dall’antichità classica, “un ideale di bellezza atto a recare bellezza anche a me stesso”. Scoprì gli Dèi dell’Arte, della Salute e del Sole. Fu soggiogato dall’auspicio di Nietzsche secondo cui siamo “fantasmi grecizzati con la speranza di diventare fisicamente dei Greci. Sulle rive del Mediterraneo, riconosciuta culla di civiltà da lui estraneo eppure “misteriosamente” tanto vicino, si impegnò a realizzare il voto nietzscheano: tornato in Giappone, palestra, kendo, karate trasformarono il suo fragile corpo.
Come ha osservato l’antropologo culturale Maurice Pinguet in La morte volontaria in Giappone: “Eccolo uscire dalla sua crisalide e liberarsi contemporaneamente della sua magrezza, del suo pallore, delle sue paure, delle sue vergogne, dei suoi rancori, delle sue crudeltà di bambino malaticcio”.

COME LA GRECIA CAMBIÒ MISHIMA

La Grecia cambiò Mishima. E gli trasmise un’idea di bellezza che avrebbe caratterizzato la sua vita intima e la sua attività di scrittore.”La Grecia è la terra che amo”, scrive nel suo diario di viaggio.

Ed il suo amore si estende a ciò che ha significato per i suoi ideali compagni d’avventura spirituale. “Quando l’aereo ha raggiunto dal mare Ionio il cielo del canale di Corinto, sui Monti della Grecia si rifletteva il tramonto e ho visto a ovest risplendere le nuvole serali come un dorato elmo greco. Ho esclamato ‘Grecia’. Questo nome ha guidato sul campo di battaglia lord Byron, che ormai non riusciva a liberarsi dalle donne, ha nutrito il pensiero poetico di Hölderlin, il misantropo greco, ha donato eroismo a Ottavio, personaggio dell’Armance di Stendhal, nell’ultimo istante di vita”.
Ebbro di “suprema felicità”, Mishima estasiato davanti all’Acropoli, al Partenone, al Tempio di Zeus, “scopre” i fondamenti e la natura dell’Occidente, di questa “invenzione” oscura per un orientale, privo della sensibilità adeguata, che gli fa riconoscere nelle antiche vestigia lo spirito di un mondo nel quale si è concretizzata la forma più estesa di

eroismo e di immortalità.
Nel diario annota: “I greci hanno creduto nell’immortalità della bellezza. Hanno scolpito nella pietra la perfetta bellezza del corpo umano. Non so se i giapponesi hanno creduto o no all’immortalità della bellezza. In previsione del giorno in cui la bellezza concreta del corpo sarebbe decaduta, hanno sempre imitato la forma malinconica della morte. Penso che la bellezza asimmetrica del giardino di pietre suggerisca l’immortalità della morte stessa”.
Nel chiedersi che tipo di bellezza fosse quella dei ruderi dell’Olimpiéion, si risponde: “Probabilmente la bellezza di quei ruderi e di quei frammenti sta nella loro perfetta simmetria. I frammenti fanno intuire facilmente la parte della composizione che manca. Non è per intuito ma per deduzione che riusciamo a immaginare gli elementi del Partenone o dell’Eretteo andati perduti. Il piacere che ne deriva non è poesia della fantasia ma ebbrezza dell’intendimento; l’emozione che proviamo è quella di vedere lo scheletro di una cosa universale”.
La visione della Grecia penetrerà nelle fibre del “viandante orientale” e gli farà prendere una forma nuova, quasi mutandolo dall’ essere che fino ad allora era stato.

SOLE E ACCIAIO

Mishima racconterà la sua “trasformazione” greca in uno dei suoi volumi più suggestivi e coinvolgenti: Sole e acciaio (1968), la cui edizione italiana proposta dal Borghese nel 1972 reca una splendida traduzione del poeta francese Pierre Pascal, mai più ripresa nelle ristampe successive da case editrici ideologicamente orientate.
È il libro del corpo e dello spirito, la semplificazione dell’intreccio tra la spada ed il crisantemo. Un libro giapponese nell’essenza, scritto con i materiali dello spirito europeo e mediterraneo, un monumento culturale, piuttosto sottovalutato, ma che può essere considerato il disvelamento dell’anima di Mishima, la sua anamnesi pubblica, il suo progetto di vita, la conquista dell’equilibrio e la scoperta che l’uomo può essere associato alla bellezza suprema: “In me si stava segretamente preparando l’unione dell’arte e della vita, dello stile e della logica dell’azione. Se lo stile assomiglia ai muscoli e ai modelli d’azione, svolge chiaramente una funzione di freno ai capricci dell’immaginazione”.
E, più avanti: “In un’epoca come il dopoguerra, in cui erano crollati tutti i valori, mi era capitato di pensare e di raccontare che proprio in simili momenti sarebbe stato necessario far rivivere antiche virtù come l’ “unione della letteratura e dell’arte marziale””.

Sole e acciaio, l’arte e l’azione, il pensiero che s’invola e nidifica e la forza che sostiene le idee. Gli fu necessario attingere al culturismo, praticato nei Paesi mediterranei, ed in Grecia in particolare nell’antichità, per diventare, seguendo l’insegnamento di Nietzsche, “ciò che era”. Il suo aspetto formativo, insomma, necessitava di un corpo classico per raggiungere lo scopo della sua vita così riassunto: “Sotto il disegno educativo covava anche un altro proposito: nel profondo di me si celava quell’impulso passionale che fin dall’infanzia aveva dato luogo ad una sorta di corrente occulta e che avrebbe acquistato pieno significato solo in termini di distruzione della perfezione classica che attendeva nel profondo di me stesso. Alla pari di un tema musicale che venga menzionato per la prima volta nell’ouverture di un’opera lirica e sia destinato a riaffiorare poi ripetutamente nel corso dell’opera stessa, mi forniva un modello definito prima ancora che io fossi pervenuto a qualsivoglia risultato pratico. Più esattamente io sentivo in me un romantico anelito alla morte, al tempo stesso avvertivo l’esigenza di un corpo classicamente perfetto. Quale veicolo imprescindibile per il raggiungimento della stessa (…).

“Una struttura tragica e possente, una massa muscolare scultorea erano indispensabili a una morte nobilmente romantica. Ogni correlazione con la carne fiacca e flaccida e la morte mi sembrava inappropriata e assurda. Desideroso fin da quando avevo diciotto anni di giungere precocemente alla morte, non me ne sentivo meritevole. In altre parole, mancavo dei muscoli di cui necessitavo per una morte drammatica. E il fatto che tale carenza mi avesse consentito di sopravvivere nel corso della guerra esacerbava e offendeva il mio orgoglio romantico”.

MOTIVI EUROPEI E GIAPPONESI

I motivi occidentali, mediterranei si fondono nelle opere letterarie degli anni Cinquanta con quelli più tipici ed ancestrali della tradizione nipponica. Tanto nella Voce delle onde, quanto nel Padiglione d’oro, per esempio, nichilismo e religiosità buddista, sentimento tragico della vita ed esaltazione del bello perfino nelle fiamme devastatrici e purificatrici e nella fragilità mite della cerimonia del té, sono motivi che si rincorrono prima che nelle pagine dei romanzi, nelle pieghe di un’anima inquieta che sta precisando la sua vocazione nel consacrarsi al proprio Destino. Ed è mirabile come Mishima riesca ad unire in una grande opera letteraria tutti questi elementi.
Ha ancora osservato Pinguet: “Mishima è prima di tutto uno scrittore: non per la singolarità della sua immaginazione (…) ma per la sua predilezione a dedicarvisi, a compiacersene. Tutte le sue opere che ne riprendono con variazioni, il tema, tutto il suo pensiero ne ripete gli echi. La poesia classica del Giappone può ricordargli che il fiore della bellezza è caduco, e la lettura di Sade che questo fiore è necessario per la violenza del sacrificio. Il romanticismo europeo gli suggerisce che inabissarsi è cosa nobile. L’esempio di Keats, di Rimbaud, e soprattutto di Radiguet gli mostra che il genio si consuma e muore presto. Ma è soprattutto al Nietzsche che commenta la civiltà greca che Mishima richiede un’idea del tragico al quale poter aderire totalmente. Al di sotto di Apollo mugghia Dioniso, il dio triste e lacerato, lo splendore del nulla corona

la più alta vita. La cultura giapponese, scarsamente disposta verso la trasgressione individuale, ha conosciuto il destino, ha saputo accordarvisi, ha celebrato la nobiltà della sconfitta, ma l’ha accettata in termini buddisti, come una rimunerazione atta a insegnare l’inevitabile rinuncia. La sua tendenza fu perciò quella di attenuare il sentimento tragico in elegia. Edipo a Colono, forse; ma certo non avrebbe concepito Edipo re. Il fascino della tragedia, suscitato in Mishima dal suo fantasma iniziale dalla catastrofe del 1945, non poteva fortificarsi se non attraverso letture di testi occidentali. Su questi concetti importati egli innesterà materiali autoctoni, offrendo la sua vita, da ultimo, come coronamento dell’opera. La sua morte volontaria è una chiave di volta che tenta di fondere l’individualismo tragico dell’Occidente nell’abnegazione morale della tradizione giapponese”.

E di tale individualismo, Mishima è certamente tributario di Nietzsche, il cui rapporto si fonda essenzialmente su La nascita della tragedia.
Al critico marxista Takashi Furubashi, aveva detto (Le ultime parole di Mishima): “Non ho trovato altra opera più piacevole e vibrante. Penso di averne subito inconsapevolmente una grandissima influenza. Prima che Nietzsche scoprisse il mondo dionisiaco greco, alla Grecia si pensava solo in termini di apollineo. Goethe, Winckelmann, Hölderlin, si conosceva soltanto una Grecia monistica; è con Nietzsche che compare per la prima volta la Grecia dualistica. Questo dualismo è l’influenza europea che più sostanzialmente si è radicata in me. Per natura i giapponesi detestano il pensiero dualistico, ma se si cerca più in profondità nel nostro pensiero si trovano elementi che vi si avvicinano molto, come per esempio ‘la via della penna e della spada’”.
Ecco il nietzscheanesimo di Mishima volto a rifondare la cultura giapponese. Altro che battaglie di retroguardia! Egli è stato un grande innovatore volendo trasferire la Tradizione nella Modernità, nell’assopito Giappone del dopoguerra non poteva essere compreso nel dominante conformismo. Oggi, invece, non si può negare che Mishima sia stato il più formidabile intellettuale che abbia saputo leggere con occhi giapponesi la realtà occidentale e viceversa, fino a trovare radici unitarie nel sentimento tragico della vita che unisce i due mondi.

 

 

Fergen edizioni, pp. 199, € 15

(Per ordinazioni del volume inviare una mail a info@fergen.it)



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