Tutto pronto per il debutto all’Alleanza Atlantica di Lloyd Austin, il nuovo capo del Pentagono, che tra due giorni si ritroverà con i colleghi della Nato per la tradizionale ministeriale Difesa. L’agenda è ricca, tra #Nato2030, Afghanistan, Iraq e una nuova iniziativa per la “Defence Innovation”. I dettagli del segretario generale Jens Stoltenberg
Altro che “morte cerebrale”, l’Alleanza Atlantica si prepara a mesi pieni di attività, tra “standard per la resilienza degli alleati” e una nuova iniziativa per potenziare l’innovazione in campo militare. Tutto confluirà nel summit di Bruxelles in programma entro la fine dell’anno, quando i capi di Stato e di governo riceveranno il report “Nato 2030” del segretario generale e potranno adottare un nuovo Concetto strategico. Intanto, però, c’è da capire il futuro delle missioni in Afghanistan e Iraq, contesti in cui perdurano instabilità e insicurezza. Tutto questo è nell’agenda dell’attesa ministeriale Difesa di mercoledì e giovedì, quando tra i ministri della Nato farà il suo debutto Lloyd Austin, nuovo capo del Pentagono nell’amministrazione di Joe Biden.
LA NATO2030…
Come sempre, l’appuntamento è stato anticipato dalla conferenza stampa del segretario generale Jens Stoltenberg. Sarà lui, mercoledì, ad avviare la riunione con le prime proposte su “Nato 2030”, l’iniziativa lanciata l’anno scorso per preservare la capacità di adattamento dell’Alleanza al contesto internazionale, tra minacce ibride, cambiamenti climatici, nuove tecnologie e sicurezza sanitaria. Su invito arrivato dai capi di Stato e di governo durante il vertice di Londra, a dicembre 2019, Stoltenberg ha avviato a inizio 2020 il processo di riflessione strategica, aprendo il dibattito alla società civile con l’obiettivo di arrivare a un documento finale da sottoporre ai leader al prossimo summit di Bruxelles, previsto per quest’anno.
…VERSO IL SUMMIT DI BRUXELLES
A tal fine, il segretario generale ha messo già al lavoro un gruppo di dieci esperti e un altro di 14 “young leaders”. Entrambi hanno prodotto i propri suggerimenti, che ora confluiranno con ogni probabilità nella relazione di Stoltenberg ai ministri della Difesa. “Presenterò una serie di proposte ai ministri per iniziare a preparare il prossimo summit”, ha detto il segretario generale. C’è già qualche anticipazione: “Suggerirò di aumentare le risorse della Nato per la nostre attività core di difesa e deterrenza”, con focus sui battle-group in Europa orientale, sulle attività di air policing e sulle esercitazioni navali.
TRA INNOVAZIONE E CLIMA
“Proporrò inoltre di adottare obiettivi di resilienza nazionale più chiari e misurabili, così da assicurare uno standard minimo di resilienza condivisa tra gli alleati”, ha aggiunto. Ne deriverà “una revisione annuale sulle vulnerabilità dell’Alleanza”, tra “infrastrutture critiche e tecnologie”. A tal proposito, “per preservare il nostro vantaggio tecnologico, proporrò una Nato Defence Innovation Initiative”, per promuovere interoperabilità e alimentare la cooperazione transatlantica sull’innovazione militare. Si attendono poi iniziative per il cambiamento climatico (ormai fattore di sicurezza), e raccomandazioni per aggiornate il Concetto strategico, la bussola di riferimento per l’intera azione dell’Alleanza (quello attuale risale al 2010).
L’AFGHANISTAN
Protagonista della seconda giornata di vertice sarà invece l’Afghanistan. Già a inizio anno il segretario generale poneva il dossier tra i “temi-chiave del 2021 per la Nato”. La linea dell’Alleanza resta la stessa da anni, anche e soprattutto dopo il periodo di turbolenze e allunghi targati: “in together, out together, adjust together”. Significa che l’eventuale ritiro dev’essere deciso di comune accordo tra gli alleati e i partner, e comunque condizionato ai negoziati di pace intra-afgani, per ora “fragili” (come detto da Stoltenberg) e alle prese con gli attentati quasi quotidiani perpetuati dai talebani. Giovedì si affronterà dunque il tema del “adjust together”, ma l’attenzione è tutta per i talebani: “Devono ridurre la violenza, impegnarsi a non cooperare né sostenere i gruppi terroristi internazionali, e negoziare in buona fede”, ha evidenziato Stoltenberg.
IL RUOLO ITALIANO
Tra le voci più ascoltate ci sarà quella di Lorenzo Guerini. Non perché sia stato confermato da poco a palazzo Baracchini nel nuovo governo guidato da Mario Draghi, quanto perché l’Italia (con 800 unità) è il terzo contributore alla missione Resolute Support dopo Stati Uniti e Germania, nonché perché è stato tra Herat e Kabul alla fine di gennaio. Pochi giorni dopo, la sua visita è stata tra gli argomenti principali con Lloyd Austin, che ne aveva già parlato con Stoltenberg, suo primo contatto telefonico dall’insediamento al Pentagono. È stato il segnale del desiderio espresso più volte dallo stesso Biden: ricostruire la fiducia tra le due sponde dell’Atlantico.
LE RASSICURAZIONI USA
Ciò riguarda anche l’Afghanistan, per cui la riduzione del contingente americano a 2.500 unità, nei giorni dell’insediamento della nuova amministrazione Usa, può essere considerata tra gli ultimi colpi di coda di Donald Trump. Sul tema Austin ha fatto un rapido passaggio durante l’audizione in Senato per la conferma della sua nomina: “Vorrei che questo conflitto finisse con una soluzione negoziata”. Anche Biden in campagna elettorale aveva fatto capire di voler terminare gli impegni all’estero “senza fine”. Austin aggiungeva che l’impegno potrebbe essere rimodulato, magari “concentrandosi sulle operazioni di antiterrorismo”. Più di recente, annunciando la Global posture review (qui un focus), ribadiva comunque la rassicurazione: “Dall’Afghanistan e dal Medio Oriente, attraverso l’Europa, l’Africa e il nostro emisfero, fino all’ampia distesa del Pacifico occidentale, gli Stati Uniti sono fianco a fianco con alleati vecchi e nuovi, partner grandi e piccoli; ognuno di loro porta alla missione abilità, conoscenze e capacità uniche, e ognuno di loro rappresenta un rapporto che vale la pena curare, preservare e rispettare; lo faremo”.
E L’IRAQ?
Ciò vale anche per l’Iraq, dove opera la Coalizione internazionale anti-Isis, che vede l’Italia impegnata con circa 1.100 unità per la missione Prima Parthica. A inizio settembre (con quella che era sembrata una mossa elettorale) gli Stati Uniti hanno ufficializzato l’intenzione di ritiro parziale delle truppe presenti nel Paese, da 5.200 a 3.000. Ritiro meno improvviso rispetto ad altri, in linea con quanto concordato in ambito Nato che da tempo aveva deciso di potenziare la propria “training mission”, ereditando competenze dalla Coalizione anti-Isis. Ciò risponde all’obiettivo di abbassare il profilo Usa nel Paese, divenuto complesso dopo l’uccisione a gennaio dello scorso anno del leader iraniano Qassem Soleimani. “Mi aspetto – ha detto Stoltenberg in conferenza stampa – che i ministri concordino nel lanciare una missione più grande, con più personale alleato per l’addestramento e advising a favore di più istituzioni deputate alla sicurezza”.