Occorre una formazione cristiana integrale all’impegno sociale e politico, i cui criteri di orientamento e di guida vanno attinti proprio dalla Dottrina Sociale Cattolica. Il commento di Riccardo Pedrizzi
La religione cattolica è parte integrante della cultura, della storia, della vita del nostro popolo. Eppure anche oggi molti vorrebbero che i cattolici si limitassero ad essere buoni cittadini, buoni lavoratori e buoni padri di famiglia senza incidere da protagonisti nel mondo e nella società e senza “disturbare il manovratore”, che ci sta portando sempre più verso una società atea e scristianizzata.
Anche per responsabilità spesso degli stessi cattolici a causa di quella malattia che li affligge e che come la definì il filosofo Del Noce “può anche essere mortale: il senso di subalternità nei confronti di altri progetti culturali”, che negli anni del postconcilio si fece più acuto che mai, mettendo in crisi tutto l’associazionismo cattolico e l’idea stessa di una Dottrina Sociale Cristiana.
Eppure a partire dalla “Rerum Novarum” si assistette ad uno sviluppo, un approfondimento ed un rifiorire del pensiero sociale della Chiesa (senza avere la necessità di un partito cattolico e/o di cattolici) “che impose a noi, come a tutti i cattolici italiani – affermava il conte Medolago Albani al IX Congresso dei cattolici italiani tenutosi a Vicenza nel settembre del 1891 – il dovere di procedere nell’azione economica sociale in modo più energico, più ampio e sistematico” e che contribuì in tutti i Paesi alla nascita di società operaie, di sindacati, di corporazioni, di cooperative, di casse rurali ed artigiane, di assicurazioni, di opere di assistenza, di legislazioni del lavoro, tentando in ogni modo di portare le classi sociali più deboli ed indifese al rango di dignità e fraternità che gli spettava in collaborazione con tutti gli altri ceti sociali.
Invece – continuava Augusto Del Noce – “nel cattolicesimo progressista si diffuse negli anni ’60 e ’70 la convinzione che la Dottrina Sociale della Chiesa fosse un’ideologia cattolico-conservatrice, borghese, un supporto in più del capitalismo”.
E anche tra i cattolici ci fu – ma ci sono anche ai nostri giorni – chi ritenne questa dottrina superata, tanto che la stessa Chiesa mise in sordina questo fondamentale insegnamento che nasce – come è scritto nella Istruzione della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede “Libertà cristiana e Liberazione” – “dall’incontro del messaggio evangelico e delle sue esigenze, che si riassumono nel comandamento supremo dell’amore di Dio e del prossimo e nella giustizia, con i problemi derivanti dalla vita della società”.
Così vi furono da parte di questi cattolici dei veri e propri rigetti.
In questo scenario è estremamente importante che siano presenti i cattolici fedeli al Magistero di sempre che dovrebbero sapersi muovere con intelligenza e cautela in modo da poter essere in grado di saper rilanciare la Dottrina Sociale Cattolica come contributo sempre originale di idee, di programmi e di sentimenti, che è espressione di un cattolicesimo attivo e non inquinato da suggestioni protestantiche e soprattutto non affetto da complessi di inferiorità nei confronti delle culture anticristiane, per affermare che l’unico programma politico, sociale ed economico è quello che “diverge radicalmente dal programma del collettivismo, proclamato dal marxismo e realizzato in vari Paesi del mondo…” e “al tempo stesso differisce dal programma del capitalismo praticato dal liberalismo e dai sistemi politici, che ad esso si richiamano”, cosi come testualmente recita la “Laborem exercens” di Giovanni Paolo II.
Occorre perciò una formazione cristiana integrale all’impegno sociale e politico, i cui criteri di orientamento e di guida vanno attinti proprio dalla Dottrina Sociale Cattolica.
I laici cristiani, partendo da essa, che evidentemente non attiene né al settore delle scienze sociologiche né a quello delle ideologie, ma a quello della teologia morale, possono cercare di impostare correttamente i problemi contingenti e concreti che si pongono all’uomo di oggi; attraverso essa possono interpretare la realtà politica, sociale ed economica “esaminandone la conformità o la difformità con le linee dell’insegnamento del Vangelo”; in essa possono cercare di realizzare un progetto politico e sociale per il bene, la giustizia e la pace in vista e nella speranza del regno di Dio.
E al servizio del bene comune, che non è altro che “l’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona”, che dovrebbero porsi i pubblici poteri, i quali, secondo un’autentica visione cristiana della vita, dovrebbero promuovere e sviluppare gli altri due principi che regolano la vita sociale: quello della solidarietà e quello della sussidiarietà.
Virtù umana e cristiana, la solidarietà (meglio sarebbe dire: la carità) supera ogni individualismo e consente a uomini e famiglie, gruppi e comunità locali, ordini professionali ed associazioni di categoria, nazioni ed organizzazioni internazionali di partecipare per il bene comune alla gestione delle attività economiche, politiche e culturali, senza che ne venga lesa per il principio di sussidiarietà la legittima autonomia.
Una concezione della società “costituita non solo da singole persone libere, ma anche da società intermedie, che vanno integrandosi in unità superiori, a partire dalla famiglia per arrivare, attraverso le comunità locali, le associazioni professionali, le regioni e gli Stati nazionali agli organismi sopranazionali e alla società universale di tutti i popoli e nazioni”; ordinata secondo i principi di solidarietà, di sussidiarietà e di partecipazione responsabile di tutti i suoi membri, non può non riconoscersi come organica, cosi come, del resto, in ogni tempo la Chiesa l’ha definita, affermata e promossa.
Il Magistero, però, nel corso della storia non si è limitato solamente ad affermare e sostenere queste verità, ma ha fornito sempre alla comunità cristiana criteri per giudicare le singole situazioni, le strutture sociali, i comportamenti umani, le istituzioni di modo che tutto il suo sapere non fosse solamente teorico, ma anche pratico ed orientato all’azione concreta.
È evidente, d’altro canto, che pur rivendicando sempre e quando necessario il suo diritto-dovere di pronunciare giudizi morali sulle questioni politiche, sociali, economiche e culturali, la Chiesa sa bene che il passaggio tra il piano dottrinale e quello pratico presuppone mediazioni che sono di natura, appunto, politica, sociale, economica e culturale, per le quali sono prevalentemente competenti i laici, ai quali è affidato in modo particolare il compito di calare nella realtà, avvalendosi della Dottrina Sociale, il messaggio evangelico.
È, dunque, un vero e proprio invito all’azione sociale concreta quello che rivolge la Chiesa ai laici cattolici, che operano in tutti i campi delle realtà temporali. Essi dovranno tener conto che anche qui la prima norma da seguire è la difesa e la salvaguardia della dignità della persona, in relazione alla quale dipenderà la conformità o la difformità dei programmi, delle decisioni, delle attività dei governi, dei partiti politici, dei sindacati, delle istituzioni, dei gruppi e delle persone.
Proprio per questo la Chiesa non offre un particolare modello di vita sociale, né è legata a nessun sistema politico ed invita perentoriamente i propri ministri a mantenersi fuori da ogni partito politico e ad evitare di dare appoggi preferenziali a questa o quella organizzazione al fine di conservare meglio la propria libertà nell’opera di evangelizzazione della realtà politica e di evitare di creare inutili divisioni nel popolo di Dio.
Ciò non significa, però, che non incoraggi i suoi fedeli laici a prendere coscienza della propria responsabilità nella comunità politica e a vivere in maniera matura e adulta la propria fede nella dimensione politica, evitando cosi il pericolo del divorzio tra fede e vita e lavorando per soluzioni e modelli nei quali la concezione cristiana della vita si possa realizzare.
“Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio”: questa vocazione, però, deve essere aiutata e sollecitata a maturare, in modo che, diventando testimone di fede, di carità e di speranza, il cristiano intenda l’esercizio della politica come servizio all’uomo ed al bene comune sia a livello locale che nazionale ed internazionale.
Certo è molto difficile “la sintesi coerente fra l’interiore tensione verso un cristianesimo esigente e l’efficacia delle azioni sociali”.
Si tratta di aiutare tanti credenti ad approfondire il senso ultimo della partecipazione alla vita sociale e politica, in modo che si vada diffondendo sempre più non solo nell’ambito cattolico, ma anche nell’intera società la consapevolezza che siano le persone – e non le classi o lo Stato o le masse o i partiti – ad essere i soggetti attivi e responsabili della vita sociale e che perciò esse debbano avere il primato sulle strutture sociali e su qualsiasi altro tipo di organizzazione.