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In memoria di Attanasio e Iacovacci, caduti per i valori in cui crediamo

Luca Attanasio, ambasciatore d’Italia nella Repubblica Democratica del Congo, e Vittorio Iacovacci, appuntato dei Carabinieri, impersonavano il meglio dell’operare italiano nel mondo, spesso lontano dalla luce dei riflettori. Per l’Italia oggi è tempo di onorarli, di cordoglio, di solidarietà alle famiglie – e fierezza di quanto rappresentano. Il commento di Stefano Stefanini, senior advisor dell’Ispi, già rappresentante permanente dell’Italia alla Nato

Una lunga distanza separa le sponde del lago Kivu, nel Congo (Drc) orientale al confine con Rwanda, da Saronno, nella pianura lombarda alla soglia delle Alpi, e da Sonnino, abbarbicata sulle colline laziali. Per percorsi diversi, Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci, l’avevano attraversata fino trovarsi ieri su un convoglio del Programma alimentare mondiale (Pam) che riforniva scuole locali. Difficile immaginare una missione più avulsa dalla violenza di cui è stata brutalmente oggetto, nella quale ambasciatore e carabiniere, insieme all’autista congolese, hanno tragicamente perso la vita.

Fra tutte le missioni che ci ostiniamo a definire di pace – la pace è lo scopo ma spesso nel bel mezzo di conflitti armati – quella Onu in Rdc (Monusco) è una delle più pericolose, senza alcun riguardo per chi vi svolge solo funzioni umanitarie. Nel 2017 i caschi blu contarono 15 vittime, un peacekeer indonesiano era stato ucciso lo scorso giugno.

Facendo un lungo passo indietro, l’Italia ricorda ancora l’eccidio di Kindu nel 1961. Attanasio e Iacovacci erano ben coscienti dei rischi che correvano. Ma, come disse Luca Attanasio solo pochi mesi fa, nel ricevere il premio Nassirya per la pace, “quella dell’Ambasciatore è una missione, a volte anche pericolosa, ma abbiamo il dovere di dare l’esempio”. Non c’è il minimo dubbio che Iacovacci, professionista del Gruppo di Intervento Speciale (Gis) dell’Arma, ne fosse altrettanto convinto.

Erano su quel fatale convoglio per credo personale nella missione – e nessuno lo esprimeva meglio dell’Ambasciatore Attanasio, che portava l’Africa nel cuore insieme alla moglie Zakia Seddiki, fondatrice dell’associazione Mamma Sofia a favore delle donne africane.

Da collega, chi scrive non può trattenere l’ammirazione. Ma Attanasio e Iacovacci impersonavano anche il meglio dell’operare italiano nel mondo, spesso lontano dalla luce dei riflettori. L’Italia ha un altissimo livello di impegno internazionale in missioni Onu, Nato, Ue. Lo conduce sempre per convinzione nella propria capacità di contribuire alla stabilità, alla riconciliazione, all’assistenza umanitaria specie delle categorie più deboli, alla pace.

È quella la vocazione multilaterale della nostra nazione cui ha fatto appello il presidente del Consiglio. Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci ne erano interpreti. Per l’Italia oggi è tempo di onorarli, di cordoglio, di solidarietà alle famiglie – e fierezza di quanto rappresentano.

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