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Per Castagnetti, Marini era il più preparato. E Draghi ci traghetterà fuori dalla crisi

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“Ci eravamo sentiti pochi giorni fa. Entrambi avevamo stima per Draghi, che si è misurato con i veri poteri forti, dalla Germania in giù, ed è sicuramente in grado di tenere testa ai partiti italiani”. Pierluigi Castagnetti ricorda l’amicizia, la passione politica e le battaglie di Franco Marini

Un altro testimone della cultura cattolica popolare si è messo in viaggio per non tornare più. Franco Marini nella sua vita è stato tante cose. Dalla segreteria generale della Cisl, passando per la presidenza del Senato, il ministero del Lavoro. Infaticabile esponente della Democrazia Cristiana e primo attore del passaggio al Partito Popolare. Ripercorrere i frammenti di memoria “di uno dei maggiori protagonisti della vita politica italiana degli ultimi decenni” non è mai cosa facile. Senza scadere nel nostalgismo di maniera Pierluigi Castagnetti, ex democristiano di primo piano che con Marini ha condiviso più di una battaglia, lo fa con il garbo che si accorda ai gentiluomini.

“Figli di un’altra generazione politica”. Si perché Marini, prima di tutto, è stato figlio del suo tempo “pur avendo un grandissimo fiuto per la voglia di cambiamento che si percepiva nel Paese”. “Seguiva la vita politica e l’andamento degli eventi (anche sindacali) da un’angolatura molto particolare – racconta Castagnetti – essendo anche riuscito a raggiungere un ruolo di leadership nell’ambito della corrente della Dc che faceva capo a Carlo Donat-Cattin. In più, è stato davvero un protagonista anche nel corso del passaggio tra Dc e Ppi”. Un passaggio, ricorda Castagnetti, che seppur “sofferto, dati i tempi, si è rivelato indispensabile”.

Tangentopoli. Terremoto scala Richter ’92. “Marini era incardinato nella dirigenza organizzativa di Mino Martinazzoli – dice ancora l’ex esponente Dc – e quando ci fu bisogno di dare il proprio contributo per il passaggio al Partito Popolare, lui non si sottrasse certo. Si decise a fare questa mossa epocale nel solco della tradizione di don Sturzo”. Come fu “primo attore” negli altri snodi di mutamento che portarono la Balena Bianca, dopo il Ppi, alla Margherita e in definitiva alla costituzione del Partito Democratico.

“Tra gli esponenti politici della sua generazione – così Castagnetti – è stato in assoluto quello più preparato. Intuì la necessità di una riforma del partito anche sotto il profilo organizzato: aspetto tutt’altro che secondario”. Ricordo, continua, che “Franco volle portare all’interno del Pd valori che non appartenevano alla cultura diessina: dall’europeismo all’economia sociale di mercato”. Insomma, la tradizione popolare intesa nel senso più ampio e trascendente. Secondo l’ex vice presidente della Camera, il lascito di Marini consiste fondamentalmente nel non arretrare mai davanti ai valori.

“Abbandonare la forma per salvare la sostanza: per salvaguardare la sostanza della tradizione cattolico-popolare, si può anche abbandonare una sigla partitica. Ma i valori restano”. La proiezione di una figura come Marini nella scena politica attuale rischia di far impallidire ulteriormente gli attuali rappresentanti. Tant’è che, confessa Castagnetti, “poco prima che Franco venisse ricoverato in ospedale ci siamo sentiti per telefono. Entrambi, in qualche modo, ci siamo trovati a confermare la nostra estraneità rispetto a questo momento storico”.

Non avrei dubbi nel dire che “sarebbe stato lieto dell’affidamento a Draghi della guida del Governo. Per Draghi, Franco, nutriva una stima incondizionata”. Tuttavia, nella politica attuale, “è cambiato un elemento che lui considerava fondamentale: la rappresentanza. Quelli della nostra generazione sono legati all’idea che la rappresentanza è quella mediata dai partiti. Le altre forme più o meno liquide, facciamo fatica a capirle”. Il rischio è che “se non si coltiva la rappresentanza, vadano a minarsi le basi qualitative della democrazia di un Paese”.

Condividendo, quantomeno idealmente, il giudizio di Marini sull’esecutivo a guida Draghi, Castagnetti si dice fiducioso. “Può essere l’uomo giusto. Ha le capacità per traghettare il nostro Paese fuori dalla crisi sanitaria, politica e sociale che sta attanagliando il Paese”. Tanto più che “ha già dimostrato di sapersi misurare con i poteri forti, dalla Germania a scendere. Figuriamoci se non sarà all’altezza di tenere testa ai partiti italiani: poteri molto meno forti rispetto a quelli europei”.

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