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Che si muove (davvero) fra Usa e Iran? L’analisi di Pedde

Biden e l’Iran, dossier complicato che coinvolge anche le grandi alleanze americane. Per Pedde (Igs) un primo passo americano, facendo concessioni sul commercio degli idrocarburi, potrebbe smuovere la politica interna iraniana verso scelte pragmatiche e creare i presupposti per la riattivazione del Jcpoa in forma completa

Secondo il sito Axios, venerdì nella Situation Room della Casa Bianca c’è stato un meeting del Consiglio di Sicurezza nazionale per parlare di Iran, di come definire le nuove policy con Teheran, di come gestire il dossier Jcpoa, l’accordo sul nucleare iraniano del 2015 costruito dall’amministrazione Obama, da cui la presidenza Trump è unilateralmente uscita, e in cui Joe Biden vuole rientrare in qualche modo.

Nello stesso giorno il segretario di Stato statunitense ha avuto un incontro (in videoconferenza) con i colleghi dell’E3, ossia i tre paesi europei che fanno parte dell’accordo – Regno Unito, Francia e Germania – e le fonti raccontano che si è parlato “anche di Iran”. Mercoledì un incontro simile a quello nella SitRoom è stato organizzato dal vice-consigliere per la National Security ed erano presenti i vice delle varie agenzie impegnate (vale a dire Pentagono, dipartimento di Stato, intelligence). Martedì il consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense ha detto che è in contatto continuato con i colleghi europei per parlare della questione Iran, che come fa notare su queste colonne Giuseppe Famà del Crisis Group è anche stato uno degli argomenti in discussione nel viaggio a Mosca dell’Alto rappresentante per la politica Estera dell’Ue.

LE VOLONTÀ E I TEMPI

“Iran e Stati Uniti hanno assunto una postura politica per rientrare nel grande piano negoziale, sono però da vedere modi e tempi, perché il fattore tecnico è cruciale”, spiega a Formiche.net Nicola Pedde, direttore dell’Institute of Global Studies e tra i massimi esperti italiani di Iran. Il fattore tempo è importante e secondo Axios è stato uno degli elementi più discussi nella Situation Room: muoversi prima o dopo le elezioni che a giugno decideranno un nuovo presidente in Iran?

Pedde non ha dubbi a riguardo: “La finestra temporale è aperta adesso, perché innanzitutto l’Iran potrebbe arrivare a un livello di arricchimento troppo in là da complicare i colloqui”. Teheran, dopo l’uscita statunitense, ha avviato il meccanismo di violazione reversibile concesso dall’intesa e ricominciato ad arricchire uranio sopra le soglie consentite. È stato un modo per stressare il dossier. “Ma soprattutto – continua Pedde – il rischio è che dopo il voto, una vittoria conservatrice, possa rendere più complesso il ritiro”.

IL NUOVO PRESIDENTE

Il 18 giugno si voterà il dopo-Rouhani, ossia si sceglierà la presidenza che seguirà il pragmatico-riformista che dal 2013 guida il paese. È molto probabile che la componente conservatrice vinca, perché è attualmente maggioritaria – sebbene lo sia più tra istituzioni e classe politica che tra i cittadini. Tuttavia anche tra queste forze politiche – tutt’altro che omogenee e divise in tre macro-categorie: tradizionalisti, principalisti e quelli che possiamo semplificare in ultra-conservatori – c’è una volontà di tornare nell’accordo.

“Il punto è proprio qui: anche i tradizionalisti pensano in modo pragmatico. Sebbene la retorica contro gli Usa esista, ragionano in termini economici e si iniziano a chiedere il cui prodest della situazione. Sono consapevoli che rientrare nell’accordo permetterà di sbloccare il Paese. L’Iran ha reagito alle pressioni e alle sanzioni, e al Covid, con resilienza. Ma ora c’è una volontà precisa di interromperla resilienza, perché sanno che i cittadini iraniani vogliono un salto di qualità con cui tornare a esprimere il potenziale del Paese”, spiega Pedde.

IL JCPOA E LA POLITICA A TEHERAN

Sotto il punto di vista politico, la questione Jcpoa è molto delicata. Il rischio è che possa essere usata a discapito dei pragmatici perché di fatto l’accordo del 2015 interrotto nel 2018 non ha portato enormi risultati come si prevedeva. Chiaro che possa diventare argomento di politica interna usato dai massimalisti. Altrettanto però c’è una consapevolezza chiara tra le classi politiche e anche all’interno di parti dei Pasdaran – il corpo militare teocratico, molto importante nel sistema interno iraniano – su certe questioni.

Per esempio, si temono le tensioni sociali che la disoccupazione e il contesto economico si stanno portando dietro, perché possono diventare un problema di tenuta e di instabilità. Inoltre una qualche forma di stabilizzazione con gli Stati Uniti potrebbe evitare gli sbalzi finanziari. Al di là di una componente integralista che ha più per interessi – poiché legata al mondo dell’industria della difesa che vuole un ingaggio costante e di bassa intensità – che ideologici, lo scontro non è visto come l’opzione più conveniente da larga parte del Paese.

TECNICISMI E POSIZIONI, IN IRAN, IN USA…

Ma allora, cosa blocca il processo? “Biden – risponde Pedde – ha usato formule verbali particolari che rischiano di essere incompatibili con una soluzione rapida. Dire che Teheran debba interrompere le violazioni controllate e tornare al completo rispetto del Jcpoa perché solo in quel modo gli Stati Uniti rientreranno, pone gli iraniani davanti a una condizione quasi non trattabile. Ci sono quelle difficoltà politiche nel fare la prima mossa”.

Comprensibile che le stesse le abbia Biden, che potrebbe finire vittima di attacchi da parte di chi voglia usare anche negli Usa la questione Iran per muovere leve di politica interna. Inoltre si potrebbero creare complicazioni con un quadro di alleati regionali piuttosto articolato e su posizioni non proprio confortevoli quando si parla di Iran. Per esempio Israele, a cui Washington vorrebbe affidare il ruolo di viceré nel Medio Oriente allargato, o l’Arabia Saudita.

… E IN MEDIO ORIENTE

Su quest’ultimo lato, quello del Golfo dove la contrapposizione di linea Riad-Abu Dhabi è sempre più netta, ci sono segnali. Ci sono movimenti interni alla corte saudita che fanno pensare che sia in corso una preparazione all’effetto Biden: “È possibile che sia in corso un riassetto parziale delle dinamiche interne, con Mohammed bin Salman che viene inserito in una cornice normalizzata la quale crede che il confronto non è proficuo per nessuno”. Vince il pragmatismo, ossia: lo stesso che ha portato i paesi del Golfo a interrompere il blocco contro il Qatar.

Si parla di includere quelle nazioni nel rinnovato dialogo sul nucleare, così da affidare al rientro americano nel Jcpoa una funzione di costruzione di un’architettura di sicurezza regionale: ma anche qui il punto è il tecnicismo. Come farli entrare? Come negoziatori sarebbe troppo complesso, perché il loro ruolo potrebbe essere ipercritico e portare verso l’ostracismo. Includerli è però nell’interesse generale e incontra anche quello dell’Unione europea, sottolinea in un policy brief Cinzia Bianco, esperta di Golfo dell’Ecfr: il dialogo regionale Golfo-Iran è l’approccio che secondo Bianco potrà permettere una stabilità duratura.

IL RUOLO DELL’UE (E L’ITALIA?)

E dunque, l’Europa? “Distinguiamo: l’Unione europea ha fatto un ottimo lavoro, cauto e pragmatico, ma gli E3 recentemente hanno commesso l’errore di provare ad alzare la posta includendo le politiche regionali e il controllo dei missili balistici in nuove richieste di negoziato. Non dico sia sbagliato in sé, ma nei passaggi: è lo stesso Biden a dire che prima serve sistemare la questione nucleare e da lì trovare poi terreno per discussioni ulteriori”, spiega Pedde.

Tra l’altro in quell’occasione, e dopo la reazione severa dell’Iran al pressing degli E3, il ministro degli Esteri, Javad Zarif, e altre figure istituzionali iraniane hanno invitato l’Italia a entrare nei negoziati… “Sì, vero: ci hanno detto sostanzialmente perché state fuori da certe partite quando invece potreste essere i migliori? E non è che non sia vero, ma non vedo adesso le condizioni politiche per poter fare certe scelte”, aggiunge l’esperto italiano.

LA SOLUZIONE PER PEDDE

Secondo Pedde nell’immediato e per sfruttare la finestra temporale stretta, prima che la quesitone Jcpoa diventi un elemento acido nella campagna elettorale iraniana, c’è solo un grand bargain: “Gli Stati Uniti dovrebbero usare il meccanismo dei waiver (concessioni a tempo, detto semplificando, ndr) per allentare sanzioni sul commercio degli idrocarburi all’Iran e fare il primo passo. A quel punto smuoverebbero il gioco anche nella politica iraniana che si troverebbe costretta a rispondere pragmaticamente”.



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