La Cina si è fermata per festeggiare l’inizio del nuovo anno lunare del Bue. Quali sono le principali sfide che Pechino dovrà affrontare nel 2021? Formiche.net lo ha chiesto a Giovanni Andornino, Francesco Silvestri, Andrea Ghiselli, Simona Grano e Carlotta Clivio, membri del Comitato Editoriale di OrizzonteCina
Giovanni B. Andornino, Università di Torino
Nell’immediato la Cina si trova particolarmente esposta sul versante della competizione globale per la vaccinazione contro l’infezione da Covid-19. La questione presenta tre aspetti delicati. Il primo riguarda il superamento dell’emergenza sanitaria: a suo modo, la Cina ha contenuto l’infezione nel 2020, restando l’unica grande economia a segnare una crescita sull’anno precedente (+2,3%). Ora si tratta di raggiungere un livello di immunità che consenta il ritorno a una effettiva normalità, in particolare nella capitale, anche in vista delle Olimpiadi invernali di Pechino 2022.
Il secondo aspetto è di carattere reputazionale. Le autorità cinesi sono consapevoli di giocare una battaglia di retroguardia: le polemiche sulla recente missione OMS a Wuhan mantengono alta l’attenzione internazionale sul tema della trasparenza riguardo alla genesi della pandemia. La diffidenza verso la condotta della Cina – alimentata da un clima di rivalità ormai dichiarata con gli Stati Uniti – è esacerbata dalla carenza di dati sui tre vaccini cinesi di Sinopharm, Sinovac Biotech e CanSino. L’attivismo diplomatico di Pechino ha prodotto un’escalation senza precedenti della cooperazione internazionale cinese in ambito sanitario, sia tra paesi in via di sviluppo, sia presso vari paesi G20. Un’efficacia dei vaccini cinesi almeno comparabile a quella delle multinazionali occidentali diviene ora imprescindibile per evitare il palesarsi di un divario in ambito medico e biotech che risulterebbe lesivo del prestigio della Cina.
Infine, vi è il rischio di un potenziale corto circuito innescato da improvvidi fenomeni di “patriottismo sanitario”. È essenziale che possa ristabilirsi quanto prima una fluida mobilità da e verso la Cina: quando si arrivasse all’attivazione di un passaporto vaccinale internazionale sarà importante che i criteri discriminanti siano di ordine strettamente scientifico, evitando l’interferenza di logiche relative a prestigio nazionale e interessi commerciali.
Francesco Silvestri, Beijing Foreign Studies University
Nei settori della scienza, tecnologia e innovazione, la Cina proseguirà il percorso intrapreso per conquistare maggiore autonomia nello sviluppo di tecnologie chiave e limitare la dipendenza dall’estero. Essendo ancora distante dagli obiettivi prefissati, Pechino cercherà di preservare l’accesso alle tecnologie straniere e ai mercati globali, oltre a investire vigorosamente nei settori tecnologici prioritari. Dovrà tuttavia ridefinire la struttura degli incentivi per l’innovazione, di frequente viziata da distorsioni e inefficienze (si veda ad esempio il settore dei semiconduttori, surriscaldato da investimenti sbrigativi e progetti industriali improvvisati).
Se già all’inizio dello scorso anno gli ostacoli in questo percorso erano significativi, oggi sono ancora più evidenti. Nel 2020 si è diffusa e approfondita la tendenza a valutare in modo più stringente gli investimenti cinesi all’estero, specialmente nei settori tecnologici. Abbiamo assistito a un ricompattamento del fronte transatlantico sulla necessità di preservare l’integrità di infrastrutture critiche e dati personali ed è cresciuta la consapevolezza dell’attivismo cinese nei processi di standardizzazione tecnologica.
Con la pandemia da Covid-19, la cooperazione scientifica e tecnologica, basata in gran parte sugli scambi people-to-people, ha inoltre subito un rallentamento. Le restrizioni all’ingresso nel paese rischiano di erodere uno degli ambiti privilegiati di costruzione della fiducia. A ciò si aggiunge la crescente vigilanza dei paesi partner verso il trasferimento involontario di conoscenze e verso la “fusione militare-civile”, uno dei principi cardine del settore dell’innovazione in Cina. Pechino si troverà quindi costretta a cercare spazi di cooperazione e rassicurazione su questi temi e a diversificare la propria rete di relazioni a livello globale.
Andrea Ghiselli, Fudan University
Sono tre le principali sfide che attendono la Cina nella regione del Mediterraneo allargato nel 2021. Poiché la sostanza dell’approccio statunitense alla Cina, sempre meno basato sull’engagement, non cambierà con Biden, la prima sfida è l’evoluzione delle relazioni con Washington. Se forzati a scegliere fra le due potenze, alcuni paesi potrebbero decidere di limitare l’accesso alle società e agli investimenti cinesi.
Un’altra sfida sarà quella di gestire le numerose rivalità nella regione. La sua forza economica e il peso diplomatico fanno sì che la Cina sia corteggiata da molti. Pechino ha sempre detto di non voler diventare “una carta” che qualcuno può giocare contro i propri avversari, ma la domanda per un endorsement cinese continua a crescere. L’ambizione per un ruolo più attivo nella politica internazionale potrebbe far sottovalutare alla leadership cinese i rischi della situazione.
Infine, c’è da considerare il fatto che l’iniziativa delle nuove “Vie della Seta” ha avuto un successo notevole fra i paesi del Mediterraneo allargato, ma essa è anche il frutto di un modello economico che la Cina stessa sta cercando di cambiare perché insostenibile. Bilanciare un’eventuale riduzione degli investimenti senza indebolire le relazioni con i paesi della regione non sarà facile.
Simona Grano, Universität Zürich
Nel 2021 la Cina sarà chiamata a prendere importanti decisioni. In primavera è prevista l’introduzione del 14° programma quinquennale, che definirà concretamente l’ambiziosa agenda cinese, volta a rendere il paese economicamente più indipendente e ad indicare i passaggi verso l’ulteriore modernizzazione industriale del paese.
Le strategie di innovazione previste, che investono settori come quello per la protezione del clima e dell’ambiente, avranno un rilievo determinante. Nel tentativo di affrontare queste sfide, il governo cinese ha da tempo dichiarato una vera e propria “guerra all’inquinamento”, promuovendo lo sviluppo di un’economia sostenibile e coniando slogan ad hoc come quelli inneggianti ad una “Civiltà Ecologica”, a testimonianza della direzione eco-sostenibile in cui la Cina intende muoversi.
Le sfide da affrontare sono evidenti: da un lato la politica ambientale dello Stato deve garantire una forte crescita economica; dall’altro deve prevedere una riconversione dell’intero sistema produttivo, delle infrastrutture nazionali e – sebbene in misura minore – anche di quelle sviluppate all’estero. Un esempio di queste ultime sono i monumentali progetti di cooperazione che la Cina ha avviato in molti paesi nell’ambito dell’iniziativa Belt & Road. In seguito al lancio di questo faraonico progetto, la Cina ha concesso prestiti miliardari a diversi paesi economicamente instabili: dovrà pertanto prepararsi all’eventualità di dover correggere molte delle sue strategie geopolitiche ed economiche.
Carlotta Clivio, Torino World Affairs Institute
Con le celebrazioni del nuovo anno lunare, la Cina si lascia alle spalle un 2020 definito come il più complesso dal lancio delle politiche di “riforma e apertura” in termini di gestione delle dinamiche politiche nazionali e internazionali. Annus horribilis che nondimeno ha lasciato spazio, nell’ambito delle politiche nazionali per la salvaguardia del clima, ad un inaspettato annuncio del Presidente Xi sul raggiungimento della neutralità carbonica del paese entro il 2060.
Tra le sfide di quest’anno spicca dunque la definizione dei dettagli che daranno sostanza a questa promessa. Dubbi espressi a livello interno sull’effettiva percorribilità delle strade tracciate da Xi riportano alla ribalta temi con cui la Cina si confronta da almeno 30 anni, quando si affacciò per la prima volta ai neonati forum per la regolamentazione globale del clima.
Anzitutto resta sostanziale il divario tra una volontà politica espressa a livello centrale e l’implementazione delle policy a livello locale, questione di non facile gestione per province la cui sicurezza energetica è garantita da elevati consumi di idrocarburi (si pensi alla Mongolia Interna, al Shaanxi e al Shanxi). In secondo luogo, occorre definire i ruoli che attori pubblici e privati sono stati chiamati a giocare per il perseguimento della neutralità carbonica, onde evitare che le loro funzioni si sovrappongano e creino complicazioni burocratiche che possano rallentare il processo. In ultimo vi è la costruzione di un assetto normativo che supporti l’intera strategia delineata da Xi, passando da temi quali la sicurezza ambientale e il rafforzamento degli organi deputati alla gestione, al controllo, e alla protezione dell’ambiente e del clima.
Le autrici e gli autori degli interventi sono membri del Comitato Editoriale di OrizzonteCina, rivista quadrimestrale dedicata allo studio del sistema politico, delle relazioni internazionali e delle dinamiche socioeconomiche della Repubblica popolare cinese e della più ampia collettività sinofona (https://www.orizzontecina.unito.it).