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La Cina ha il mal d’Africa. Così la Belt and road vacilla

Il Kenya ottiene dalle banche cinesi la ristrutturazione di un prestito da 1,4 miliardi concesso dal Dragone per realizzare la ferrovia Nairobi-Naivasha. Ma è solo uno dei tanti casi di rischio insolvenza. E così pandemia e crisi dei debiti sovrani nel Continente nero costringono Pechino a ridurre i finanziamenti per la Via della Seta

Non è la fine di un sogno, ma poco ci manca. Per la Cina sembra aprirsi ufficialmente un fronte del debito africano, che rischia a sua volta di mandare in malora i piani cinesi per il Continente nero, alias la via della Seta formato Africa. E così, ai guai domestici, con le piccole banche di territorio sotto stress per l’impossibilità di recuperare i prestiti concessi a imprese e famiglie (qui l’articolo di Formiche.net ), si aggiungono altri guai, che portano dritti in Africa, in Kenya per la precisione.

Come noto, uno dei baricentri della Belt and Road Initiative (Bri), ovvero il progetto infrastrutturale annunciato nel 2013 dal presidente cinese Xi Jinping che mira a ingrandire la centralità strategica della Cina attraverso una nuova e infrastrutturalmente moderna Via della Seta, è proprio l’Africa. I governi nazionali africani sono da anni impegnati nella costruzione di grandi opere, alcune delle quali strategiche, finanziate dagli ingenti prestiti concessi dalle banche statali cinesi. Il cuore del progetto cinese in terra d’Africa è proprio in Kenya, con la ferrovia Nairobi-Naivasha. Per questa opera il governo kenyota ha ottenuto da Pechino, attraverso la China Exim Bank, un prestito da 1,4 miliardi di dollari.

Se non fosse che, un po’ la pandemia globale, un po’ la recessione altrettanto planetaria da essa innescata, hanno costretto il governo di Nairobi a chiedere la ristrutturazione del debito. Dopo mesi di trattativa, il segretario al Tesoro kenyota, Ukur Yatani, ha finalmente raggiunto l’intesa con Pechino, inerente alla rimborso dei rimanenti 245 milioni di dollari. Soldi che inizialmente avrebbero dovuto essere restituiti all’ex Celeste Impero entro giugno 2021. Ma che ora, in virtù dell’accordo, verranno rimborsati entro i prossimi sei anni. Ma c’è di più.

Perché l’incidente in Kenya in realtà è solo un aspetto di una situazione di criticità su larga scala. Sono molti, infatti, i governi africani che stanno riscontrando difficoltà nella restituzione dei finanziamenti cinesi, con l’effetto di costringere a sua volta Pechino a diminuire i flussi per la realizzazione delle opere. Negli ultimi due decenni, la Cina ha versato miliardi di dollari nella costruzione di porti, ferrovie, autostrade e dighe idroelettriche in Africa. Ora però la pandemia picchia duro.

Se ne sono accorti numerosi analisti internazionali, tra cui Yun Sun, direttore del programma Cina al Centro Stimson di Washington. “La direzione generale dopo Covid-19 dovrebbe indicare una maggiore disciplina finanziaria e cautela nel concedere prestiti all’estero e procedure più severe per l’approvazione dei prestiti”, ha detto al quotidiano online The Africa Report. “Penso che ci sia un consenso anche in Cina sul fatto che la crisi dei debiti sovrani di quest’anno ha fatto più male che bene alla Cina. Quindi, credo che la speranza sia che i prestiti rallentino nel medio termine”. Secondo Mark Bohlund, analista presso Redd Intelligence “è chiaro che i prestiti  per la Belt and Road saranno ulteriormente ridotti a causa delle pressioni economiche portate dal Covid-19″.

Non può stupire, dunque, se diversi Paesi africani, tra cui la Repubblica del Congo, il Mozambico, la Somalia siano oggi in difficoltà a causa dell’insostenibilità del debito sovrano al punto che secondo la società di consulenza Rhodium Group, con sede a New York, nel 2020 hanno avuto luogo almeno 18 processi di rinegoziazione del debito dei paesi africani con la Cina, mentre 12 paesi sono tutt’ora in trattative con Pechino per ristrutturare 28 miliardi di dollari di prestiti cinesi.

 

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