Sant’Egidio ha portato leader religiosi di ogni esperienza e credenza a dialogare tra loro, e con noi. Questa importante eredità giovannipaolina è rimasta incisa nella realtà della Chiesa e della cultura italiana. Oggi, il giorno del loro “compleanno” trovo che Sant’Egidio abbia qualcosa da dirci a tutti
Da giornalista basato a Roma e interessato al dialogo interreligioso non potevo non occuparmi della Comunità di Sant’Egidio, comunità cattolica profondamente romana, trasteverina, attenta ai poveri, agli anziani, al dialogo e alla pace. Così l’ho vista da quando l’ho incontrata, dopo la grande iniziativa per la pace in Mozambico. Nel corso degli anni è stato ovviamente il cosiddetto “spirito di Assisi” a riguardarmi di più, quegli incontri che annualmente hanno ricordato e riportato in vita quello spirito di Assisi voluto da Giovanni Paolo II per l’incontro e il dialogo tra culture e religioni e sul quale tantissimi avrebbero voluto invece stendere un pesante mantello d’oblio. Ogni anno Sant’Egidio ha portato leader religiosi di ogni esperienza e credenza a dialogare tra loro, e con noi. Questa importante eredità giovannipaolina è rimasta incisa nella realtà della Chiesa e della cultura italiana, per la loro determinazione. Una determinazione che ovviamente non ne ha scalfite altre: l’attenzione per i poveri l’ho vista con la mensa, quella per i rom con l’azione di Paolo Ciani e altri, quando tanti tanti si beavano della distruzione di tante baraccappoli romane, per gli anziani con le nuove case per loro, per la diplomazia con le iniziative più note, e per i senza tetto con le distribuzioni di coperte e pasti, anche in questo tempo di Covid, o la gestione di una struttura loro affidata dal papa. Questa negli anni mi è parsa l’anima di una Comunità che ruota intorno al dialogo: diplomatico, culturale, sociale.
Ma oggi, il giorno del loro “compleanno” ormai di comunità matura se così posso dire, non ritenendo che questo voglia dire essere “avanti con gli anni” anche per fatto biografico, ma piuttosto che voglia dire “consapevole”, trovo che Sant’Egidio abbia in questi giorni qualcosa da dirci, a tutti, attraverso quell’esperienza che meno si ricorda perché respinta da tanti, purtroppo direi da troppi.
L’iniziativa alla quale mi riferisco è stata quella per la pacificazione algerina dopo la vittoria del FIS, il Fronte di Salvezza Islamico. In quell’occasione Sant’Egidio ebbe il coraggio di dire qualcosa che ancora oggi tanti non osano dire: di chi è figlio il terrorismo? Chi non ha il coraggio di chiedersi di chi sia figlio il terrorismo non lo combatte, ma consapevolmente o inconsapevolmente ne aiuta i genitori, sebbene è probabile che non li conosca. Tra questi non si può pensare che ci siano soltanto i generali o i servizi segreti più o meno deviati: no, non è solo questo. Tra i padri del terrorismo c’è anche il fallimento del Fronti o Movimenti di Liberazione che sono cresciuti in una visione di “mondo corrotto” capace di corrompere tutti i loro critici. È questo il vero e doloroso punto di contatto il fondamentalismo e i movimenti di liberazione nazionale. È il pensare che fuori di sé esista soltanto un mondo corrotto e che chiunque dialoghi con esso sia un sgherro dell’imperialismo. Quando questi Movimenti o Fronti sono finiti in dittature militari hanno saputo far incontrare la violenza o la corruzione e il “popolo” ha trovato altrove la sua speranza di salvezza da una disperazione che senza sbocchi saprebbe arrivata al nichilismo. Solo dialogando con questa speranza illusoria ma anche profonda, autentica, sofferta o addirittura disperata, riconoscendola, si sarebbero evitati centinaia di migliaia di morti? Io credo di sì. Di certo si sarebbe interrotto quel circuito che dal “mondo corrotto” dei movimenti nazionalisti ha portato al “mondo corrotto e malvagio” dei fanatici. Questo accavallamento di narrative o sviluppo di narrativa è basato sulla disumanizzazione dell’altro.
Il FIS con cui voleva un dialogo internazionale Sant’Egidio, spalleggiata dai berberi, dai socialisti algerini e da altri, ma non da tanti laici o “progressisti” europei, più attratti dalle divise, non era il Gia. Il Gruppo islamico armato era guarda caso tutt’altra cosa, al suo interno c’erano venditori di pollami che sbagliavano le citazioni coraniche, il che si addice più ad infiltrati che a veri islamisti. Solo confrontandosi con la complessità della vita il FIS avrebbe potuto cambiare la storia dell’integralismo. Sant’Egidio lo aveva capito, tanti altri no. Ricordo quanto piacessero gli schemi a due colori, bianco e nero, buoni e cattivi. Di questo io gli devo dire grazie ancora oggi, tanti anni dopo, e mi fa piacere farlo nel loro compleanno.