L’ex premier è strattonato da due forze che tirano in modo opposto. Un M5S balcanizzato e una ex coalizione che dopo l’arrivo di Draghi non riesce a trovare una nuova identità. Avrà la forza per tenere tutti insieme? Il precedente di Prodi non sembra essere un ottimo auspicio
Chissà se venerdì, nella lectio magistralis che segnerà il rientro come docente di Diritto all’Università di Firenze, raccontando la sua esperienza di presidente del Consiglio di due maggioranze opposte, Giuseppe Conte dedicherà uno spazio al ruolo di Federatore. Se lo facesse, si capirebbero meglio i suoi progetti e le sue aspettative politiche. Perché è proprio quella veste che tanti provano a cucirgli addosso: sia nella vecchia maggioranza giallorossa, sia nel suo partito di riferimento, i Cinquestelle.
Solo che una cosa è dire, un’altra è costruire come lo stesso ex premier sta verificando sulla sua pelle. Infatti si fa presto a dire federatore. Se non si chiariscono tempi e modi, si rasenta l’utopia.
Come insegnava Franco Marini a proposito della capacità di mediazione che in lui si esprimeva al massimo grado, per poter svolgere con successo un compito del genere bisogna essere essere dotati di una grande forza. A Conte quella forza gli proviene dall’aver svolto un ruolo di guida in passaggi difficilissimi e per molti versi drammaticamente inediti.
Di aver provato a scalare la montagna della pandemia senza strade tracciate e percorsi di sicurezza. Di aver fronteggiato con serietà e compostezza le bizze dei partiti di maggioranza, la guerriglia di quelli di opposizione e gli arabeschi di scienziati e virologi molto attratti dalla popolarità in tv e specializzati nel bisticciare l’un contro l’altro. Intavolando una trattativa in sede Ue che spesso è apparsa una verticale del sesto grado.
Magari i risultati non sono stati tutti all’altezza delle necessità e aspettative: però lo sforzo c’è stato, innegabile.
Tuttavia questa indubbia forza se esercitata da palazzo Chigi è un conto; riproposta da fuori perde di spessore e capacità di incidere.
Infatti Conte è sottoposto alla spinta di due forze che tirano in modo opposto. Da un lato, un M5S ridotto a brandelli gli chiede di esercitare le sue doti per riunire sotto una stessa leadership truppe smarrite e divaricate.
Dall’altro una ex coalizione che si è sfarinata e guarda con sbalordimento l’arrivo nella cittadella del potere politico dell’alieno Mario Draghi, gli propone di riunire sotto la sua ala uno schieramento che in teoria dovrebbe competere con il centrodestra e con Salvini che lui prima ha avuto al suo fianco e poi allontanato costruendosi la dote per restare in sella, ma che in pratica oltre ai risvolti taumaturgici di personaggi di spessore come Goffredo Bettini, offre una panoramica di scontri, furbizie, tranelli che mette paura. Fare la sintesi di queste due posizioni per riportarle a unità più che quelle di federatore richiede doti miracolistiche che non appartengono all’alveo della politica.
La lectio magistralis si svolgerà a pochi chilometri da Siena dove, sempre in teoria, l’ex premier potrebbe correre per un seggio alla Camera, paradigma ed estrinsecazione dell’asse M5S-Pd-Leu, ma che non decolla per i dissidi interni ai Democratici e non solo. Ci vorrebbe un federatore, appunto.
E anche dentro al MoVimento i venti di bufera soffiano fortissimi. Max Bugani, grillino della prima ora, tanto per dirne una spiega su Repubblica che “molti di quelli che ora gli chiedono un ruolo apicale sono gli stessi che hanno contribuito alla sua caduta per pavidità”. Per poi mettere il dito nella piaga: “È stato un ottimo mediatore nel ruolo di premier, ma essere leader di una singola forza politica è un’altra cosa”.
Chiaro. Se Conte vuol essere il federatore di un’area politica non può contemporaneamente vestire il mantello di singolo capopartito: così finisce in testacoda. E poi la verità è che alla politica italiana che ricalca lo schema dei mille campanili di un Paese che coltiva da sempre il particulare, il Federatore non è mai piaciuto troppo. Ne sa qualcosa Romano Prodi che ha vinto elettoralmente ed ha governato senza il piedistallo di un partito, e quando per necessità ne ha proposto uno, in pochi mesi il piano della conflittualità di schieramento si è fatto ripidissimo e l’esperimento finito in un vicolo cieco.
Di fronte ai suoi studenti, Conte potrà ricordare che nell’Italia politica la riconoscenza è il sentimento del giorno prima, e l’oblio il marchio della popolarità che diventa impalpabile e sparisce nella nebbia.