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Cosa fare con Mosca? Gli occhi di Washington sulle indecisioni Ue

Da Victoria Nuland alle indecisioni degli europei: perché Biden potrebbe decidere in modo non-multilaterale di inasprire le policy con la Russia e portarsi dietro l’inseguimento e l’adeguamento dell’Ue?

Appena rientrato dalla visita a Mosca, l’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Josep Borrell, ha fatto uscire un post molto ruvido riguardo alla Russia sul blog che il suo staff cura all’interno del sito dell’Eu External Action Service. L’ex ministro spagnolo sembra riprendere le parole con cui Nona Mikhelidze (Iai) ha commentato il tour moscovita del leader europeo: in sintesi estrema, la Russia non vuole il dialogo con l’Europa.

“Le autorità russe non hanno voluto cogliere questa opportunità (la visita, e secondo quanto dice Mikhelidze l’atteggiamento aperto ed esposto di Borrell, ndr) per avere un dialogo più costruttivo con l’Ue. Questo è deplorevole e dovremo trarne le conseguenze”, scrive il rappresentante di Bruxelles. “A volte la discussione con la mia controparte russa ha raggiunto alti livelli di tensione, poiché ho chiesto il rilascio immediato e incondizionato del signor [Alexei] Navalny, nonché un’indagine completa e imparziale sul suo tentativo di assassinio”, racconta.  “Il mio incontro con il ministro [degli Esteri Sergei] Lavrov ha evidenziato che l’Europa e la Russia si stanno allontanando. Sembra che la Russia si stia progressivamente disconnettendo dall’Europa”.

Non serve altro per dipingere, ancora una volta, come si sia davanti a un momentum delle relazioni. Il cosa fare con Mosca è parte importante del dibattito intra-europeo e transatlantico. E come tanti altri dossier trova divisioni piuttosto nette nell’Unione. C’è la Francia che chiede di rivedere i rapporti, ci sono Paesi come l’Italia che chiedono di rivedere le sanzioni (alzate dall’Ue in coordinamento con gli Usa per punire Mosca dell’illecita invasione e annessione della Crimea), ci sono i Baltici e i Paesi della fascia orientale che chiedono maggiore rigore e severità, c’è la Germania che ha usato un doppio tono.

Il ruolo di Berlino, vista l’importante posizione all’interno dell’Unione, è cruciale. Se da un lato le istituzioni tedesche hanno criticato la violazione dei diritti umani e della democrazia col caso Navalny, dall’altro Berlino cerca di distinguere il rapporto di carattere politico da quello di valore economico, fingendo di non cogliere le sovrapposizioni. Come per esempio nel caso più noto, quello del Nord Stream 2, la pipeline che porterà il gas russo in Europa passando dal Baltico – e alleggerendo le rotte che tagliano l’Ucraina, col rischio, messo in chiaro dagli Stati Uniti, che l’allaccio geopolitico con la Germania possa portare la Russia ad azioni forti nei confronti di Kiev, non più utile per il transito gasifero verso l’Europa.

“Le relazioni commerciali e i progetti aziendali che esistono da decenni sono una cosa e le gravi violazioni dei diritti umani e le nostre reazioni ad esse sono un’altra”, ha detto domenica alla Bild il ministro dell’Economia tedesco, Peter Altmaier, confermando un filone presente tra la politica di Berlino. Filone condiviso dalla Cancelliera Angela Merkel, che tre giorni fa ha praticamente detto la stessa cosa: no a sovrapposizioni. Che in definitiva significa: non chiedeteci di rinunciare al business per questioni politiche o geopolitiche.

Armin Laschet, primo ministro del Nord-Reno Westfalia, presidente della Cdu, erede designato di Merkel, non è certo distante da queste visioni. “Il moralismo feel-good e gli slogan interni non sono politica estera”, ha detto Laschet alla Reuters, ricordando che la Germania sono cinquant’anni che compra gas dalla Russia e continuerà a farlo garantendo “gli interessi geopolitici dell’Ucraina” , ma assicurando “il nostro approvvigionamento energetico attraverso questo progetto del settore privato”. Sottolineature importante quest’ultima, utile a sganciarsi dalla possibilità di muovere pressioni – su cui il governo tedesco è chiamato, anche dagli Usa – in territori in cui si snoda il business. Che a sua volta è il motore della politica tedesca.

Nel 2014, Laschet è stato inserito dal Die Welt nella lista dei “Putin-Versteher“, politici amici del presidente russo Vladimir Putin. Laschet è un convinto sostenitore delle necessità di includere la Russia nei dialoghi sulla sicurezza globale, ed è un realpolitiker che Foreign Policy accosta a Gerhard Schröder, ex cancelliere ora chairman di Rosneft (colosso russo del gas), e del consorzio che produce Nord Stream. Nel 2014, in un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, Laschet invitò a mettersi nei panni della Russia: come vi sentireste se un Paese che dipende per il 40 per cento dal nostro gas avesse con noi un atteggiamento troppo duro?

Laschet ha finora parlato da leader locale, per altro di una regione che è molto interconnessa sul piano dell’export alla Russia – e alla Cina. Le dichiarazioni potrebbero essere conseguenza della necessità di difendere la sua business community. La sua pragmatica sarà messa alla prova del test nazionale, e delle alleanze: per esempio, i Verdi tedeschi potrebbero avere un ruolo importante nel prossimo governo, e la formazione ha già per esempio chiesto il congelamento del Nord Stream e l’avvio di nuove sanzioni.

Una posizione presa anche dalla Francia, sebbene Parigi sia uno dei Paesi più propensi al riavvio dei rapporti con Mosca: e questo è un aspettato controverso, che mostra come la relazione russa sia usata da diversi stati membri europei più per muovere interessi personali, piuttosto che per costruire una concreta strategia.

Un’indecisione che potrebbe non essere troppo accetta a Washington, dove Joe Biden ha disegnato chiaramente il perimetro di ciò che tollererà e ciò che invece sarà terreno di scontro e reazione – accusata apertamente di “di danneggiare e distruggere la nostra democrazia” durante il primo discorso sulla politica estera. Una postura su cui l’americano ha raccontato di aver messo in guardia anche Putin nella loro prima telefonata (i due, è noto, non si amano).

Esiste la concreta possibilità che davanti alle controversie e alle indecisioni europee, Biden superi il concetto di multilateralismo che disegna come strategia di approccio alle questioni complesse (da condividere con alleati e partner) e su quel famoso cosa fare con Mosca decida in forma più o meno autonoma. Mossa che porterebbe Bruxelles al necessario inseguimento e adeguamento.

Un segnale: la numero due del dipartimento di Stato scelta da Biden è Victoria Nuland, diplomatica dalla lunga carriera e famosa per quel “Fuck the EU” durante la crisi ucraina, nei giorni in cui Washington lavoravano per non far finire l’Ucraina in mano alla Russia, mentre gli europei chiedevano “dialogo” quasi spaventati da Mosca. Era il 2014, anno in cui Laschet dalla Westafalia difendeva la Russia, gli Usa chiedevano massima compattezza nell’asse transatlantico, Bruxelles andava avanti lento-quasi-indietro. Il rischio è di trovarci di nuovo davanti a un momento “fuck the Eu” anche più generale.

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