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Crisi in Etiopia, prima gli aiuti umanitari. L’appello della viceministra Del Re

La viceministra degli Esteri italiana affronta con Formiche.net uno dei temi attorno a cui si muove la politica estera europea: l’Etiopia e la crisi umanitaria nel Tigray. “Gli etiopici ci percepiscono come amici leali, così come noi percepiamo loro, e per questo ogni messaggio che mandiamo ad Addis viene preso in considerazione con estrema attenzione”

Meno di un mese di combattimenti, a novembre scorso, sono bastati per trasformare la situazione in Etiopia in una crisi umanitaria — anche se ufficialmente la crisi etiope sembra rientrata. Da fine novembre il governo di Abiy Ahmed ha tecnicamente ripreso il controllo del Tigray, regione semi-indipendente con cui si era (ri)aperto il conflitto. Ma le condizioni delle persone che vivono nell’area si stanno via via deteriorando. E tutto avviene in un quadro geopolitico sensibile come il Corno d’Africa, che vede in gioco forze regionali e attori esterni di primaria importanza. Formiche.net ha contattato la viceministra degli Esteri Emanuela Del Re (già docente di sociologia ed esperta di politica internazionale, Del Re è specialista di migrazioni e rifugiati, conflitti, questioni religiose, minoranze).

Qual è il reale stato dei fatti?

La situazione sul terreno è ancora molto grave. È vero che il Governo federale ha ora il controllo dei centri urbani e delle principali vie di comunicazionetuttavia, le aree rurali del Tigray sono ancora teatro di combattimenti. Per questo motivo, considerati i nostri profondi rapporti di amicizia con Addis Abeba e con il popolo etiope, siamo preoccupati per questa crisi che seguiamo con la massima attenzione.

Circolano notizie di violenze e abusi, che chiaramente possono ripercuotersi sul quadro regionale…

Nei nostri contatti con il Governo etiope abbiamo sempre fortemente auspicato la cessazione delle ostilità. Le violenze interetniche che si registrano in alcune parti dell’Etiopia e in certe zone di confine sono veramente allarmanti, anche perché c’è il rischio di potenziali ripercussioni della crisi tigrina sui paesi confinanti, peraltro confermate dai recenti scontri alla frontiera tra Etiopia e Sudan, e sull’intera regione del Corno d’Africa.

“Siamo pronti ad aiutare l’Etiopia, ma se non sarà garantito l’accesso agli operatori umanitari, l’Ue non erogherà il sostegno al bilancio previsto”, ha detto a metà gennaio l’Alto rappresentante Josep Borrell in un post sul blog dell’EEAS dell’Ue. Dopo le locuste di ottobre, le atrocità della guerra, è iniziata la crisi umanitaria, gli sfollati in Sudan, i rastrellamenti di militari eritrei che hanno sfruttato la situazione per provare a regolare i conti con gli oppositori nel Tigray. C’è anche carenza d’acqua nella zona. Qual è la strada che l’Ue dovrebbe percorrere?

La situazione è veramente drammatica nella regione: il settore sanitario è al collasso, e c’è il rischio che scoppi un’epidemia di colera ad Adua. Sappiamo che non c’è acqua, il cibo scarseggia e le banche sono ancora chiuse, rendendo difficili le operazioni commerciali. Mi giungono testimonianze dirette angoscianti ogni minuto. Per questo motivo non v’è dubbio che oggi la priorità delle priorità sia l’accesso umanitario per assistere le vittime del conflitto, sia in Tigray sia nelle aree confinanti. Il governo etiope deve autorizzare l’ingresso degli aiuti e delle organizzazioni umanitarie internazionali in tutte le aree del Tigray, inclusi i due campi profughi che al momento non sono raggiungibili. Su questo l’Unione Europea, gli stati membri e l’Italia sono assolutamente allineati.

Questo di Del Re è anche un appello: la viceministra sottolinea che per prima cosa servono gli aiuti umanitari, “perché solo tamponando l’emergenza gravissima si potrà poi pensare al futuro”. L’Ue parla con Addis Abeba?

Proprio ieri io stessa ho avuto un colloquio con il mio omologo etiope Redwan Hussein per rinnovare questo appello e aggiornarlo sui prossimi passi che vorremmo compiere in favore della popolazione del Tigray, ovvero inviando aiuti umanitari.

Come è andato il colloquio?

È stato franco e diretto, così come deve essere tra Paesi amici: ho voluto ricordare al mio interlocutore quanto sia importante, in questo momento, che l’Etiopia dia a livello internazionale un chiaro segnale positivo a proposito della concessione dell’accesso incondizionato sia degli operatori delle organizzazioni internazionali sia degli aiuti, nel rispetto del diritto internazionale umanitario. I segnali che ho ricevuto dal mio interlocutore, che si è espresso anche a nome di altri rappresentanti del suo governo, appaiono incoraggianti.

L’Italia sulla crisi si è già mossa direttamente, giusto?

Già dal novembre scorso per far sì che l’Italia rispondesse subito all’emergenza umanitaria nella regione a seguito del conflitto nel Tigray, ho disposto un contributo a favore dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) per aiutare la popolazione tigrina costretta a rifugiarsi nel vicino Sudan. Un ulteriore contributo è stato disposto a fine dicembre per sostenere le operazioni in Tigray del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR). Qualche giorno fa ho deliberato un ulteriore contributo a un fondo multi-donatori gestito da OCHA. Non ci fermiamo: abbiamo in animo di mettere in campo importanti iniziative a breve. Pensiamo anche al futuro, e infatti nel medio termine la Cooperazione italiana sta programmando più di 5 milioni di euro per interventi umanitari in Etiopia, non limitati al Tigray.

È evidente come la crisi da politico-militare sia ormai passata al piano umanitario e sociale. Roma può agire in prima fila, come ricordato dalla viceministra, anche seguendo relazioni storiche con il Paese. Qual è la meta?

Come ho affermato, ogni soluzione di questa crisi non può che passare per l’attenuazione dell’emergenza umanitaria che è assolutamente prioritaria rispetto a tutto il resto. Si tratta di una crisi complessa, dalle radici storiche profonde e che ha ramificazioni geopolitiche in tutta l’Africa Orientale e oltre. Vi sono implicazioni di natura economica, etnica, regionale. Rifacendomi alla mia lunga esperienza di negoziato nei conflitti, ritengo che la fine delle operazioni militari in Tigray dovrebbe essere seguita da un processo di dialogo nazionale inclusivo. Non è un processo semplice né probabilmente breve, ma si tratta di una tappa obbligata se l’Etiopia vuole proseguire nel processo di stabilizzazione politica per il progresso economico e sociale. Sappiamo bene che la pace e la sicurezza devono essere sostenuti da architetture di governance solide, inclusive, che permettano la promozione sociale e lo sviluppo.

E inoltre, è bene ricordarlo, il Corno d’Africa è un ambito strategico, di diretto interesse per l’Italia e non solo…

L’Etiopia, grande Paese, anche come autorità morale della regione del Corno d’Africa, sa bene quanto sia importante dare un indirizzo positivo in questo senso per tutta la regione. Peraltro, come lei sottolinea, non possiamo dimenticare che ciò che succede nel Corno d’Africa impatta direttamente sulla sicurezza e la stabilità del mondo, perché la regione ha un’importanza strategica a livello globale, per la sua collocazione geografica e per le sue straordinarie prospettive economiche. Noi italiani siamo ben consapevoli del fatto che il progresso economico e sociale dell’Etiopia, di tutta l’Etiopia, costituisce un’opportunità per il nostro Paese e in particolare per il nostro sistema di imprese, già presente in quest’area ma che deve ancora cogliere tutto il suo potenziale. Nelle mie ripetute visite nel Paese, anche durante un business forum molto partecipato che organizzammo nel 2019, è sempre emerso che gli etiopici ci percepiscono come amici leali, così come noi percepiamo loro, e per questo ogni messaggio che mandiamo ad Addis viene preso in considerazione con estrema attenzione.



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