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Dalle basse contrattazioni all’alto senso delle istituzioni. Cronaca ragionata di Tivelli

cronaca ragionata

Vale la pena tentare una ricostruzione ragionata del passaggio politico istituzionale in atto, rinunciando all’arma dell’ironia, alla luce delle gravità delle emergenze in atto per il Paese e del grande rispetto verso i due attori istituzionali principali sulla scena, il Presidente della Repubblica e il presidente del consiglio incaricato

Ho la chiara sensazione che le cronache politico istituzionali di questi giorni siano destinate ad avere un posto significativo nei prossimi libri di Storia. Siamo passati infatti nel giro di meno di 24 ore dalla logica politica delle piccole contrattazioni a quella del senso alto dello Stato e delle istituzioni. Per questo ritengo che valga la pena tentare una ricostruzione ragionata del passaggio politico istituzionale in atto, rinunciando all’arma dell’ironia, alla luce delle gravità delle emergenze in atto per il Paese e del grande rispetto verso i due attori istituzionali principali sulla scena, il Presidente della Repubblica e il presidente del consiglio incaricato.

A volte la vita istituzionale delle democrazie passa dalle consuete lentezze ad improvvise accelerazioni, come avvenuto nell’agone italiano tra le 20:30 di martedì 2 febbraio e le 13:30 di mercoledì 3, che ha visto il passaggio dalla consegna definitiva delle ceneri del governo Conte, al termine dell’incarico esplorativo, da parte del presidente della Camera Fico, nelle mani del Presidente della Repubblica, fino alla possibile “culla”, il giorno successivo, alle 13:30, di un nuovo governo, grazie alla convocazione al Quirinale di Mario Draghi e al suo conseguente annuncio dell’accettazione con riserva dell’incarico.

Ma andiamo con ordine. L’incarico esplorativo, che visto lo stato dell’arte dei rapporti politici in seno alla maggioranza uscente, come già abbiamo visto, era l’unica via da seguire, sembrava avviarsi negli ultimi giorni di gennaio, con premesse non sfavorevoli. Con le indubbie arti del cerimoniale di Montecitorio, era stato “apparecchiato” un grande tavolo rettangolare rosso nello splendido salone della lupa, attorno al quale per quattro giorni sono stati seduti i capi dei piccoli medi e grandi gruppi della maggioranza uscente di Camera e Senato, che, alzando gli occhi alla grande volta del salone hanno potuto trovare di buon auspicio (visto che nessuno in realtà ha voglia di andare alle elezioni) la scritta su una lunga fascia dei militi che varcano la breccia di Porta Pia, “a Roma ci siamo e vi resteremo”. Sembrava che la missione principale di questa quattro giorni di lavori dovesse essere la stesura di un documento programmatico per il nuovo governo, ma a Renzi che lo chiedeva è stato poi obbiettato che questo spettava al Presidente del Consiglio e addirittura all’esito dei lavori non si è steso neanche un minimo di verbale. Il tutto di fatto si è quindi ridotto ad un continuo, ripetitivo, generico e confuso, credo con ben poca concretezza, confronto su temi e idee di programma, tanto più perché i capi gruppo che sedevano al tavolo sapevano che nel contempo era in corso un altro “tavolo virtuale” tra leader e semi leader dei partiti di maggioranza, che verteva su ben altra “ciccia”, sulla distribuzione e l’accaparramento dei singoli ministeri.

Ovviamente sia al tavolo fisico che al tavolo virtuale lo scontro era “tutti contro Renzi” o “Renzi contro tutti” e così, sul piano programmatico, Renzi lamentava ad esempio di non riuscire ad ottenere neanche una minima quota di accesso al Mes, o alcuna modifica seria in materia di restrizione o su altri temi della giustizia su cui i 5 Stelle non cedevano ma lo scontro forte è quello che si è sviluppato martedì 2 febbraio al tavolo virtuale sui ministeri. A Renzi non bastava l’offerta di due ministeri con portafoglio e uno senza a Italia Viva, soprattutto perché chiedeva un vero segnale di svolta nel nuovo governo, senza il ministro Gualtieri all’Economia, la ministra Azzolina all’istruzione, soprattutto senza il ministro Bonafede alla Giustizia e senza il super Commissario Arcuri. Ma su questo i 5 Stelle non cedevano, il Pd non capiva i rischi che correva e pochi ricordavano che dieci giorni prima lo stesso Renzi, abile pokerista e grande negoziatore, sosteneva “e se poi andasse male e finissimo tutti a sbattere, vorrà dire che avrò portato Draghi alla guida del Paese. Nessuno potrebbe più pensare che questa crisi non ha avuto senso”. Per cui poi forse non era mai venuta meno la voglia di cacciare Giuseppe Conte da Palazzo Chigi.

Tornando agli snodi istituzionali, dopo che alle 18:00 del martedì 2 febbraio Renzi aveva avvertito per primo Franceschini che per Italia Viva la questione era chiusa, alle 20:30, il presidente della Camera Fico si è recato dal Presidente della Repubblica a comunicare il fallimento dell’incarico esplorativo a lui affidato. Con grande rapidità e senza indugi, e con una precipitazione tesa a dare un senso quasi drammatico, senza passare attraverso la liturgia di ulteriori consultazioni, il Presidente Mattarella si è rivolto direttamente alle forze politiche e ai cittadini con un discorso dai toni elevati e un po’ drammatici per far capire il senso dell’emergenza in atto e dar forma a un “governo del Presidente”. Vale la pena citarne brevemente alcuni passaggi.

Il Presidente ammette che “vi sono adesso due strade, tra loro alternative, dare immediatamente vita a un nuovo governo, adeguato a fronteggiare le gravi emergenze presenti: sanitaria, sociale, economica, finanziaria. Ovvero quella di immediate elezioni anticipate”. Passa quindi ad illustrare le ragioni che sconsigliano seriamente la via delle elezioni anticipate, perché ci sono gravi emergenze che “richiedono un Governo nella pienezza delle sue funzioni”, “sotto il profilo sanitario..”, lo stesso vale per il profilo della campagna di vaccinazione, per le decisioni “quando verrà meno il blocco dei licenziamenti”. Inoltre “entro il mese di aprile va presentato alla commissione Europea il piano per l’utilizzo dei grandi fondi Europei”. Ha concluso quindi il presidente: “Avverto, pertanto, il dovere di rivolgere un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politicae che faccia fronte con tempestività alle gravi emergenze non rinviabili che ho ricordato” e poco dopo ha annunciato l’incarico e la convocazione per il termine della mattinata successiva del dott. Mario Draghi dal Quirinale.

Il volto di Mario Draghi, è entrato per la prima volta nelle case di molti italiani che non seguono le questioni economiche all’ora di pranzo del mercoledì 3 febbraio quando con un’aria nel contempo consapevole della responsabilità, ma distesa e serena, dopo l’incontro con il Presidente della Repubblica ha annunciato di aver accettato con riserva (come da prassi) l’incarico e di accingersi a consultare tutte le forze politiche e le forze sociali. Con un breve ed efficace speech davanti ai giornalisti del Quirinale, ha poi soppesato poche plastiche parole: “È un momento difficile…” (quasi un abbozzo di programma) “vincere la pandemia, completare la campagna vaccinale, offrire risposte ai problemi quotidiani dei cittadini, rilanciare il Paese, sono le sfide che ci confrontano”. Quindi un ultimo breve passaggio sul metodo. “Con grande rispetto mi rivolgerò innanzitutto al Parlamento, espressione della volontà popolare. Sono fiducioso che dal confronto con i partiti ed i gruppi parlamentari e dal dialogo con le bozze sociali emerga unità e con essa la capacità di dare una risposta responsabile e positiva all’appello del Presidente della Repubblica.

Si tratta di una svolta fondamentale per il Paese e per la sua immagine Internazionale perché Draghi è a ragione l’Italiano più stimato e conosciuto non solo nel mondo economico e finanziario Internazionale, ma anche nelle cancellerie, e mette insieme indubbia competenza e straordinaria esperienza e credibilità. Non mi dilungo sul curriculum perché lettori nel frattempo ne hanno letti tanti ma va ricordata la sua apertura sociale, tant’è che ha avuto occasione di autodefinirsi un “liberal socialista”. Vanno poi ricordati i due passaggi cruciali che hanno dimostrato il suo grande coraggio, anche rispetto al potere della Germania e di altri Paesi nordici, da presidente della Banca centrale europea e il grande ruolo esercitato nel salvataggio dell’economia del continente. Il primo quando il 26 luglio 2012 pronuncia da Londra, l’ormai famoso whatever it takes “qualsiasi cosa ci voglia”, che suona come la sfida finale contro le forze della speculazione che scommettono contro l’euro e l’economia Europea. Il secondo, quando nel 2014 da Jackson Hall preannuncia l’arrivo del bazooka, l’arma di politica monetaria non convenzionale che si tradurrà nel quantitative easing e nell’acquisto massiccio e continuativo di titoli di Stato nella zona euro. Oltre le sue grandi risorse intellettuali questo suo indubbio coraggio sarà la risorsa più importante per guidare il governo del Paese.

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