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Dall’Italia agli Usa, così le fake news cinesi hanno fatto il bot

Cina bot campagna social media

Un report di Graphika rilanciato da Associated Press svela un aumento della propaganda cinese su Twitter attraverso i bot. Nel mirino le divisioni della società americana ma anche Paesi europei. È un’onda lunga che inizia l’anno scorso con una campagna svelata da Formiche.net. Ecco perché

La disinformazione non vive di sole fake news. I social network sono inondati di bot, profili automatizzati che con cadenza regolare pubblicano notizie false o alterate, solitamente coordinati in una campagna con una regia esterna. La Cina, svela un nuovo studio della società di social media analysis Graphika rilanciato da AP, ne è diventata una delle più prolifiche produttrici al mondo. E le campagne di bot cinesi stanno riscuotendo un certo successo.

L’ultima serie di post e video che Graphika riconduce ad agenzie cinesi, veicolati su Twitter, Facebook e Youtube, si concentrano sugli Stati Uniti d’America. Gli “utenti” denunciano il “fallimento” della democrazia statunitense e lo stato di disgrazia in cui verserebbe, comparando l’attacco di Capitol Hill dello scorso 6 gennaio e la deludente gestione americana del Covid-19 con la stabilità e l’efficacia del governo cinese nel contenere la pandemia.

In generale, i creatori glorificano la potenza dell’esercito e lo sviluppo dell’economia cinese, attaccano le proteste pro-democrazia di Hong Kong e asseriscono la superiorità del modello cinese rispetto a quello occidentale. Sono anche attenti ai singoli eventi: il primo video su Capitol Hill comparve solo 17 ore dopo l’evento, e altri video che contestavano la sicurezza del vaccino statunitense Pfizer-BioNTech uscirono poco dopo la pubblicazione di report internazionali sulla modesta efficacia del vaccino cinese Sinovac.

Insomma, i contenuti sono allineati alla propaganda cinese e provengono da account di “persone” verosimili, bot facilmente smascherabili (ma in costante miglioramento) che trovano la loro forza nei numeri. Come documenta Graphika, l’agenzia statunitense di analisi mediatica che monitora la rete di disinformatori pro-Cina da due anni, il loro successo è sempre stato abbastanza limitato; ossia, la propaganda non diventava virale.

Ora, però, le cose stanno cambiando. “Per la prima volta, [la campagna] ha iniziato ad avere un pochino di interazione da parte dell’audience”, ha detto Ben Nimmo, capo delle investigazioni di Graphika, ad AP. L’ultima tornata di contenuti antiamericani ha avuto un discreto successo, ed è stata catalizzata da account influenti in tutto il mondo, tra cui quello del ministro degli esteri venezuelano, un politico pakistano, un dirigente di Huawei Europe, un ex parlamentare britannico, e svariati influencer sparsi tra America Latina, Asia (in particolare Hong Kong) e Europa.

Secondo report di Graphika più datati, la rete propagandistica ha iniziato a operare a settembre 2019. Nei primi mesi del 2020 essa si è dedicata al Covid-19 (operando anche in Italia, come riscontrato da un’investigazione di Formiche.net) fino ad arrivare alla pubblicazione di video in lingua mandarina, cantonese, e inglese.

Da febbraio 2020 a gennaio 2021 ne sono comparsi oltre 1400, tutti originali e unici. Tra gli ultimi segnaliamo serie di video postati da “influencer” uiguri che dimostrano al mondo (con frequenza impressionante) come la vita nella regione dello Xinjiang, lungi dall’essere soggetta a politiche repressive su minoranze etniche, sia felice.

Notevole anche resilienza del gruppo di disinformatori, riconosciuti e bloccati più volte dai vari social network, ma sempre capaci di ricostruire la loro rete. Secondo Graphika, pur essendo solitamente limitati alla loro “bolla” social, la loro capacità di coinvolgere utenti reali sta crescendo.

L’intera operazione dimostra la volontà del Partito comunista cinese di espandere la propria influenza nella rete e combattere per guadagnare consenso online a colpi di bot. Ne è dimostrazione la recente offensiva mediatica contro gli Stati Uniti, in funzione anche dopo la nomina di Joe Biden (dopo la quale i bot cinesi, pur continuando ad attaccare Donald Trump, Mike Pompeo e il partito repubblicano, hanno iniziato a prendere di mira anche i democratici).

Gli sforzi digitali dei regimi autoritari sono già noti sia a Washington (recentemente vittima di un attacco informatico russo) che a Bruxelles. La Nato ha identificato il web come frontiera operativa per quanto riguarda la cosiddetta “guerra ibrida”, dove influenza e propaganda si accompagnano a tattiche più convenzionali.


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