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Elicotteri, jet e contratti. I nodi della Difesa tra Merkel e Biden

Fatica a decollare la ripresa di rapporti proficui tra Germania e Stati Uniti nel campo della Difesa dopo gli anni burrascosi di Trump. Oltreoceano fa rumore la conferma che lo stop di Berlino a diversi programmi che coinvolgono le industrie americane durerà almeno fino al prossimo autunno, quando i tedeschi torneranno al voto

La Difesa della Germania riuscirà a ritrovare armonia con la controparte a stelle e strisce dopo i quattro anni di Donald Trump? È la domanda a cui ancora non hanno risposto, nei fatti, né la nuova amministrazione americana, né il governo di Berlino. Pochi giorni fa, il sito Usa DefenseNews ha raccontato del documento, redatto dal ministero della Difesa tedesco e diretto al Bundestag, in cui sono elencati i programmi “importanti” privi di copertura finanziaria. All’occhio d’oltreoceano risaltano tre grandi progetti sul tavolo da tempo, passati per revisioni e modifiche, e relativi proprio alla collaborazione con le industrie statunitense. Resterebbero nel limbo anche per i prossimi mesi, almeno fino all’esecutivo tedesco che uscirà dal voto del prossimo settembre, sicuramente senza Angela Merkel.

TRA BERLINO E WASHINGTON

La ricerca di toni più concilianti tra Berlino e Washington dopo gli anni turbolenti targati Trump non riuscirebbe dunque a sbloccare delicati dossier industriali. Il nuovo rapporto bilaterale è stato inaugurato dal congelamento da parte di Joe Biden della decisione del suo predecessore sul ritiro parziale del contingente americano dalla Germania, a cui il governo di Berlino si è da sempre detto contrario. Ma alla base della scelta di Trump c’erano divergenze importanti, dal Nord Stream 2 ai rapporti commerciali, fino alle relazioni con Cina e Russia. Divergenze relative anche al settore della Difesa, su cui spiccavo le strigliate del tycoon alla Germania per la lontananza dagli obiettivi del 2% del Pil da destinare al settore.

IL BUDGET TEDESCO

Su questo Berlino ha cercato di rimediare, anche grazie alla sponda del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, impegnato per anni a mostrare sempre il bicchiere mezzo pieno quando si parlava di budget militari. La spesa tedesca è d’altra parte consistente, accompagnata da qualche tempo dalla promessa di salire almeno all’1,5% entro il 2024. Quest’anno il budget per la Bundeswehr (le Forze armate di Germania) ammonta a quasi 47 miliardi di euro, il 2,8% in più rispetto al 2020, con una crescita considerevole degli investimenti (+9%) e della parte dedicata a ricerca e sviluppo. “In questo budget – spiegava a novembre la ministra Annegret Kramp-Karrenbauer – abbiamo tracciato la rotta per progetti importanti, in particolare europei”. È proprio questo però che non sembra essere piaciuto a Washington, e cioè il focus sui progetti continentali in una sorta di appiattimento agli obiettivi perseguiti dalla Francia, la più attiva nel Vecchio continente a sostenere una linea di indipendenza dagli Usa.

LA DIFESA AEREA

E così, nonostante gli impegni in termini di spesa, i rapporti nel campo della Difesa restano complessi. Merito (o colpa) soprattutto dei tre dossier rimasti in sospeso, con i grandi contractor d’oltreoceano ad attendere per anni ufficialità e contratti. Il caso più evidente è il programma denominato Tlvs, acronimo tedesco per Medium Extended Air Defence System (Meads), portato avanti da MBDA e Lockheed Martin. La proposta completa era stata presentata nell’ultima parte del 2016, con la speranza di riuscire a ottenere un contratto nei primi mesi del 2017. La timeline è però scivolata di diversi anni a causa dell’evoluzione politica tedesca, ma anche per via delle complesse procedure di procurement di Berlino. A più riprese negli ultimi anni si sono alternate notizie di accelerazione, ma ora emerge che il programma resta tra quelli “importanti”, ma privi di finanziamenti disponibili.

ELICOTTERI E CACCIA

Lo stesso vale per la gara STH (stimata intorno i 4 miliardi di euro), elaborata per individuare i successori dei CH-53G, gli elicotteri da trasporto pesante della Bundeswehr. Alla richiesta di proposte hanno risposto Boeing e Lockheed Martin, presentando (previe intese con industrie tedesche e creazioni di team industriali) le rispettive offerte per Chinook e King Stallion. Poi, a fine settembre, la Difesa di Germania ha annullato la gara, spiegando che le proposte americane erano “anti-economiche”. Berlino ha chiesto al Pentagono la disponibilità a vagliare versioni a più basso costo, mentre Lockheed Martin (secondo Die Welt) ha inviato richiesta formale per capire se l’annullamento non violi le regole di concorrenza leale. E poi c’è il punto più controverso per l’ala fissa: il complesso dibattito sulla sostituzione dei Tornado per la Luftwaffe. Dopo la rumorosa esclusione dell’F-35 dalla gara, la scelta del dicastero tedesco della Difesa è ricaduta su un mix tra i Super Hornet di Boeing e gli Eurofighter. Ad eccezioni delle dichiarazioni, nota però DefenseNews, non è arrivato nulla di formale all’azienda americana.

Nel frattempo, solo a novembre, il Bundestag ha dato il via libera ad acquisti per quasi 9 miliardi di euro da parte del ministero della Difesa. Ben 5,5 miliardi sono dedicati a 38 Eurofighter (per la gioia di Airbus), mentre all’incirca tre hanno riguardato la fornitura di 31 elicotteri multi-ruolo Sea Tiger (basati sull’NH90).

L’ASSE FRANCO-TEDESCO

Da qui nasce l’insofferenza americana, destinata a sopravvivere anche con la presidenza Biden. Anche perché, nei quattro anni di Donald Trump, Berlino è andata avanti nel rafforzare l’asse con Parigi, sancito nel trattato di Aquisgrana agli inizi del 2019 tra il velivolo di sesta generazione e il carro armato europeo del futuro, spesso procedendo in una dialettica chiusa anche ad altri partner europei. Eppure, anche l’asse franco-tedesco ha vissuto i suoi alti e bassi (pure di recente), per lo più a causa della dissonanza tra la determinazione francese e la maggior cautela tedesca, a partire dal tema dell’export di prodotti comune. In più, è emersa una divergenza strategica tra la lettura radicale di “autonomia strategica dell’Europa” promossa da Emmanuel Macron, e quella più moderata della ministra Kramp-Karrenbauer.

LA POSIZIONE DI BERLINO

Quando il presidente francese sentenziò la “morte cerebrale” della Nato, la prima a rispondergli fu Angela Merkel. Quando invece tentò un nuovo allungo su un esercito comune europeo, fu prontamente freddato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, già ministro della Difesa a Berlino. Insomma, la Germania ha cercato di bilanciare l’attivismo francese sulla Difesa europea anche quando i rapporti tra Merkel e Trump si facevano più burrascosi, puntando poi tutto sulla vittoria di Joe Biden. Scommessa vinta, per la gioia anche della Difesa tedesca. Nel giorno dell’insediamento alla Casa Bianca, il dicastero di Akk scriveva sul suo sito ufficiale che “Biden è considerato portatore di speranza; si prevede che, sotto la sua guida, gli Stati Uniti porranno nuovamente una maggiore attenzione sulla cooperazione con i loro partner collaudati, compresa la Germania”. Si lavora per ricucire e consolidare le relazioni. Tuttavia, almeno a leggere DefenseNews, nel campo della Difesa l’obiettivo rischia di farsi particolarmente complesso.

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