I partiti di maggioranza, praticamente tutti, dovranno far diventare questa doppiezza la loro condizione obbligata: sostenere il governo Draghi anche laddove produrrà novità e riforme indigeste ma inevitabili. La doppiezza di una volta si trasforma nella migliore e stringente condizione per incamminarsi sulla strada che rimette in sicurezza il Paese. Paradosso sì, ma felice. Chissà se durerà fino in fondo
Adesso che Mario Draghi ha ottenuto la fiducia sfiorando il record dell’altro Mario supertecnico Monti; ora che la maggioranza da grandangolo si è materializzata in tutta la sua ampiezza con Salvini europeista, Zingaretti privato di Conte e perfino il senatore Toninelli che vota sì; nel momento in cui le larghe intese dal mondo dei sogni diventano svolta e azione politica, beh proprio adesso si può disvelare il paradosso più grande del governo Draghi: quello per cui i partiti, praticamente tutti, non potranno che essere doppi, appassionatamente bifronti, di lotta e di governo non per scelta ma per necessità. Un paradosso che sdogana l’anatema finora più tremendo lanciato verso gli avversari politici: molto più dell’accusa di irresponsabilità, molto più dell’addebito di non avere un progetto, una visione. Di lotta e di governo diventerà l’abito double face con cui presentarsi al gran ballo dell’Italia rinnovata e pervasa di spirito repubblicano come chiede il premier, che ogni forza politica si sforza, non sempre riuscendoci, di fare proprio.
La nuova condizione è obbligata perché è in vigore uno sdoppiamento che lo stesso Draghi in qualche misura ha sollecitato. Da un lato, infatti, l’unità è un dovere e tutti i partiti della maggioranza non potranno che sostenere il percorso riformatore che ha in mente palazzo Chigi e che verrà travasato nelle aule parlamentari affinché sia votato e digerito. Una coalizione composita quant’altri mai, ma al contempo la più “governativa” di tutte: chi potrà mai tirarsi indietro?
Dall’altro lato, però, ciascun partito non deve né può rinunciare alla sua identità, alle sue parole d’ordine e tanto meno alle sue alleanze, come l’intergruppo a sinistra squaderna. Perciò di lotta: per la sopravvivenza, verrebbe da dire.
Di lotta e di governo fu l’ossimoro coniato da Enrico Berlinguer nella prima, primissima repubblica per giustificare e dare rinnovata veste alla “doppiezza” di togliattiana memoria. Non una contraddizione bensì la spiegazione ideologica e operativa di una forza politica che non poteva rinunciare agli “elementi di socialismo” da introdurre nel sistema democratico italiano ma neppure poteva sottrarsi agli obblighi amministrativi e ad un certo punto perfino di governo che la contingenza storica proponeva. A modo suo, la specificazione del compromesso storico: tesi, antitesi e sintesi di un percorso nato nell’ottobre russo e trapiantato nell’Italia della Nato. Maestrie di un partito non a caso il più grande di quelli comunisti d’Occidente.
Di passaggio in passaggio, tuttavia, di lotta e di governo è degenerato, si è trasformato nella personificazione dell’ opportunismo, nel rovescio del significato originale. Di lotta e di governo nel senso di puntare a interpretare tutte le parti in commedia non per atteggiamento responsabile bensì per il suo esatto contrario.
Adesso è arrivato il momento in cui quella doppiezza diventa virtù e condizione necessitata. I partiti di maggioranza, praticamente tutti, dovranno farla diventare la loro condizione obbligata: sostenere il governo Draghi anche laddove produrrà novità e riforme indigeste ma inevitabili; acconciarsi nello stesso tempo a rammendare il vestito programmatico e identitario con il quale presentarsi agli elettori quando si tornerà al voto. La doppiezza di una volta si trasforma nella migliore e stringente condizione per incamminarsi sulla strada che rimette in sicurezza il Paese. Paradosso sì, ma felice. Chissà se durerà fino in fondo.