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Per il successo di Draghi serve il sostegno della Pa. I consigli del prof. Clarich

Da dove dovrebbe cominciare il lavoro di Mario Draghi sul Recovery Fund? E a quali rischi dovrebbe prestare maggiore attenzione per riuscire ad avere successo e non rimanere impigliato nelle ragnatele della pubblica amministrazione? Formiche.net lo ha chiesto al professore ordinario di Diritto amministrativo della Sapienza Università di Roma Marcello Clarich

Quella di Mario Draghi si preannuncia come una vera e propria maratona, se non addirittura, vista la situazione di emergenza, come una corsa contro il tempo. Una volta che avrà giurato e ottenuto la fiducia delle Camera – forze politiche permettendo – l’ex presidente della Banca centrale europea dovrà immediatamente mettersi a lavorare con la sua squadra sulle tre priorità indicate dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella: ovvero, la crisi sanitaria, economica e sociale che attanaglia l’Italia ormai dal marzo scorso.

Un’agenda che ovviamente dovrà concentrarsi in modo prioritario sulla scrittura del piano italiano per il Recovery Fund. Ma da dove dovrebbe cominciare il suo lavoro in questo senso? Quali sono i principali interventi da effettuare e approvare in contemporanea al Next Generation Eu del nostro Paese? E a cosa dovrà prestare particolare attenzione per riuscire ad avere successo e non rimanere impigliato nelle ragnatele della pubblica amministrazione? Formiche.net lo ha chiesto all’ordinario di Diritto amministrativo della Sapienza Università di Roma Marcello Clarich, che tra l’altro ha partecipato al gruppo di lavoro di Assonime sull’assetto istituzionale per l’impiego dei fondi del Recovery Fund italiano.

Professor Clarich, dunque Draghi da cosa inizierà?

Intanto sarà subito chiamato a ridefinire il Piano nazionale di ripresa e resilienza su cui ha lavorato negli scorsi mesi il governo uscente. Diciamo che ci sono ampi spazi di miglioramento. Deve essere più preciso e focalizzato e meno generico. L’esempio da seguire è la Francia il cui Recovery Fund si conclude con l’elenco puntuale di 68 interventi da realizzare e l’indicazione per ciascuno delle risorse necessarie da investire, fino ad arrivare all’ammontare complessivo di 100 miliardi di euro.

E poi?

Il Recovery Plan, secondo le previsioni contenute nelle linee guida della Commissione europea aggiornate a gennaio, deve contenere anche l’indicazione delle principali riforme da accompagnare al piano. Penso alla giustizia civile o alla pubblica amministrazione per fare due esempi. Anche da questo punto di vista mi pare ci sia moltissimo lavoro da fare visto che la bozza si è limitata finora a poche enunciazioni di principio. Bisognerà scendere nei dettagli.

Altro tema fondamentale sarà quello della governance su cui ha pesantemente cominciato a scricchiolare il governo guidato da Giuseppe Conte. Qual è la priorità a suo avviso?

L’Unione europea richiede che ogni Stato abbia solo un referente sul Recovery. La responsabilità del coordinamento di tutti i rapporti tra le pubbliche amministrazioni, i ministeri, le regioni e gli enti locali deve essere in capo un unico soggetto. Dunque, è necessario che la regia non sia parcellizzata o frazionata. L’Italia non ha ancora stabilito chi dovrà svolgere questa funzione. Perché sia efficace comunque, dovrebbe trattarsi di un referente ad altissimo livello istituzionale.

Quali sono le alternative possibili?

Una potrebbe essere la costituzione di un’authority ad hoc come qualcuno ha suggerito. Oppure, come forse è preferibile fare per evitare di creare nuovi apparati, s potrebbe individuare un ministro che assuma questa responsabilità.

Ad esempio chi?

Il ministro per gli Affari europei o comunque qualcuno che si ponga ai massimi livelli istituzionali, subito al di sotto del Consiglio dei ministri e con la direzione dello stesso Draghi.

A suo avviso, questo ministro dovrebbe occuparsi solo di Recovery Fund oppure questa delega potrebbe essere assegnata a qualcuno che si occupa anche di altre materie come, ad esempio, il titolare dell’Economia e delle Finanze?

E’ fondamentale che ci sia un’unità dedicata in grado di tenere le fila di questo enorme e rilevantissimo lavoro. Per il resto vanno bene entrambe le ipotesi anche se, certo, il ministero dell’Economia e delle Finanze è, in partenza almeno, il più attrezzato di tutti in termini di competenze e di personale.

Quindi anche un viceministro all’Economia e alle Finanze con delega al Recovery Fund?

Potrebbe essere senz’altro. Di sicuro, possiamo dire che non aveva senso la proposta iniziale, con la famosa piramide fatta da sei super-manager e trecento esperti esterni alla pubblica amministrazione. Al contrario, è necessario mobilitare e coinvolgere i singoli ministeri con tutte le loro energie migliori. Occorre avere l’appoggio delle stesse strutture, altrimenti ci sarebbe il rischio di un conflitto tra gli esterni e gli interni. E questo l’Italia non se lo può permettere.

Nella sua ultima intervista a Formiche aveva sottolineato come la priorità per la pubblica amministrazione italiana fosse la riqualificazione del personale pubblico. Quanto la preoccupa questo tema in vista del Recovery Fund?

Moltissimo direi. Una delle condizioni necessarie affinché questa sfida vada a buon fine è rappresentata dall’innesto di forze giovani all’interno della pubblica amministrazione. Dobbiamo favorire il ricambio generazionale anche attraverso un piano di prepensionamenti se del caso. Il nostro personale è troppo anziano, anche a causa del blocco delle assunzioni che è stato a lungo in vigore. E poi occorre inserire competenze diverse, che non siano solo giuridiche ma anche tecniche e gestionali.

Professor Clarich, questo processo di ricambio generazionale dovrebbe dunque avvenire in tempi rapidi in modo che questo nuovo personale possa entrare già in azione per il Next Generation Eu?

L’obiettivo deve essere certamente questo.

E lo stesso vale per la semplificazione amministrativa? Ricordiamo che tutte le spese per il Recovery Fund dovranno essere completate entro il 2026. Ergo, non potremo permetterci le solite calende greche all’italiana.

Assolutamente sì, ma non possiamo illuderci che si possa fare in pochi mesi quello che non è stato fatto in lunghi anni. Non ci possiamo aspettare miracoli.

Ma da dove dovrebbe iniziare Draghi?

La semplificazione dei procedimenti richiede innanzitutto interventi normativi. Ma in questo caso il lavoro non potrà essere fatto con norme orizzontali e generali. Occorre un lavoro settore per settore, tipi di procedimenti per tipi procedimenti. Un impegno molto più empirico e analitico. Questo richiede, così come avvenne con le semplificazioni varate da Sabino Cassese prima e Franco Bassanini poi, un lavoro di ricognizione dei procedimenti, che vanno semplificati uno a uno.

Cos’altro?

Contemporaneamente bisognerebbe anche rivedere i processi interni alle amministrazioni che non sono disciplinati dalla legge. Ad esempio i ritardi spesso si accumulano nei passaggi interni agli stessi ministeri. Lì c’è molta zavorra di tipo micro-organizzativo, che però fa perdere molto tempo.

Mi pare di capire che si tratti di un’attività cui dedicarsi giorno e notte senza soluzione di continuità. Immagina che debba dotarsi di una figura ad hoc per questo lavoro?

Sono gli stessi enti e gli stessi ministeri a sapere meglio di tutti quali sono i colli di bottiglia e i fattori di rallentamento. Anche per questa ragione serve mobilitare le risorse interne: per far sì che diano il loro contributo per rendere più efficiente e rapida la macchina pubblica. Certo non avrebbe senso che a occuparsene fosse la solita commissione esterna composta da professori universitari o magistrati. Il problema va risolto dall’interno.

In quest’ottica, considerato pure che non si possono fare miracoli in pochi mesi, avrebbe senso immaginare un modello Genova per i progetti del Recovery Fund, sulla scorta di quanto avvenuto per la ricostruzione del ponte sul Polcevera?

Genova è stato un caso eccezionale, reso possibile anche dal lavoro importantissimo svolto  da Marco Bucci, commissario di governo e sindaco del capoluogo ligure. Nel nostro Paese non dimentichiamolo mai abbiamo avuto e abbiamo ancora gravi problemi di corruzione e di criminalità organizzata. Siamo più ingabbiati degli altri perché abbiamo alcune ataviche specificità negative. E poi ci sarebbe il rischio di favoritismi con gli appalti affidati agli amici degli amici.

Dunque no?

Direi di no, al massimo potrebbe essere replicato ad alcuni limitati progetti previsti dal Recovery Fund. Ma non può essere generalizzato.

Che ne pensa di quanto ha scritto sul Sole 24 Ore l’ex ministro Vincenzo Visco, secondo cui il culto del diritto amministrativo rischia di frenare la ricostruzione della pubblica amministrazione e quindi pure di ostacolare il Recovery Fund italiano?

Innanzitutto non si può pensare che la pubblica amministrazione abbia le stesse libertà di un’azienda privata. E ciò per via dei principi sanciti dalla Costituzione, in primis quello sull’imparzialità, secondo cui un ente pubblico non può affidare i servizi a chi vuole, come fa un privato, ma è tenuto a seguire determinate regole. Quindi, un certo grado di procedimentalizzazione, cioè di diritto amministrativo, è indispensabile. E tra l’altro ce lo impone pure l’Europa.

Però che vi sia da questo punto di vista un problema di efficienza è innegabile, giusto?

Certo, sui tempi si può, anzi si deve, discutere. In Italia sono troppo lunghi non solo per via delle procedure dettate dalla legge ma anche a causa della scarsa qualificazione dei funzionari delle stesse pubbliche amministrazioni. E poi, soprattutto, per colpa del formalismo eccessivo ed esasperato che sicuramente rappresenta una pesante zavorra per il Paese. Un problema che va risolto. Speriamo che la cura Draghi possa rivelarsi utile anche in questo senso.

In conclusione, a cosa deve stare attento Draghi a suo avviso?

Deve stare molto attento a non creare un clima ostile con le pubbliche amministrazioni: la burocrazia ha mille modi per frenare tutto. In questo senso deve ottenere il coinvolgimento delle migliori forze interne ai ministeri perché sostengano il suo sforzo. Sono fiducioso che ce la farà.

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