Skip to main content

Il governo Draghi tra sogni e realtà. Scrive il prof. Di Gregorio

Si poteva fare un governo composto solo da ministri tecnici? Probabilmente sì, i partiti l’avrebbero accettato. Tuttavia, il precedente storico – il governo Monti – non faceva propendere per questa soluzione. Per una ragione molto semplice: i partiti, all’avvicinarsi della scadenza del mandato, tendono a cambiare la narrazione positiva e a smarcarsi, frantumando la maggioranza in un fuggi-fuggi generale. L’analisi del politologo Luigi Di Gregorio

La composizione del governo Draghi sembra aver provocato due reazioni diverse. Tra gli addetti ai lavori – politici, giornalisti, analisti, ecc. – pare prevalere un giudizio positivo, quantomeno rispetto all’esecutivo precedente. E soprattutto il Draghi I appare come un governo spiegabile, date le condizioni politiche in cui è nato.
Tra i non addetti ai lavori, serpeggia invece una discreta delusione per varie ragioni.

La prima è che non siamo abituati a governi di (quasi) unità nazionale. Siamo abituati a ragionare in modalità binaria, tribale, “noi contro loro”. E dunque Gelmini, Brunetta, Carfagna e Giorgetti sembrano i più deludenti per il popolo di sinistra e a 5 Stelle, così come Speranza, Franceschini, Orlando, Di Maio sembrano essere i nomi meno “digeribili” dall’altra parte.

Molto meno divisivi sembrano Stefani, Dadone, Garavaglia, Guerini, Patuanelli, ecc. per una mera questione di visibilità/notorietà. Più sei noto, più sei simbolicamente amico o nemico. Il che genera mostri, molto spesso. Ad esempio, le reazioni su Giorgetti che fa “orrore” a molti solo per essere il N.2 della Lega, derivano da un giudizio sommario che ha molte più incognite che certezze. Ma la mente politica funziona così, lo sappiamo. È emotiva e gruppista.

La seconda ragione è ancora psicologica ed è legata alle aspettative. Che in questo caso erano altissime. Perché Mattarella ha chiesto un governo “di alto profilo” e perché a comporlo è stato chiamato il nostro miglior fuoriclasse, Mario Draghi. Quando si hanno aspettative così alte, non si è mai soddisfatti dal risultato, la realtà frantuma i sogni (che tuttavia sogni erano…).

La terza è che chi osserva da fuori spesso non riesce a fare la tara delle cose possibili e di quelle impossibili. Fatica a considerare vincoli, condizioni e/o impedimenti. In generale, formula un giudizio pieno di “incognite non note”. Ma essendo non note, non se ne rende conto e chiede a Draghi – in questo caso – l’impossibile, il sogno appunto.
Se guardiamo alla composizione di questo governo abbandonando i sogni, occorre quindi fare un’analisi che tenga conto delle condizioni per farlo nascere e sopravvivere.

Si poteva fare un governo composto solo da ministri tecnici? Probabilmente sì, i partiti l’avrebbero accettato. Tuttavia, il precedente storico – il governo Monti – non faceva propendere per questa soluzione. Per una ragione molto semplice: i partiti, all’avvicinarsi della scadenza del mandato, tendono a cambiare la narrazione positiva e a smarcarsi, frantumando la maggioranza in un fuggi-fuggi generale.

Il governo Monti nacque e crebbe col sostegno di (quasi) tutti, ma ebbe un “finale di partita” surreale. Tutti coloro che avevano votato convintamente ogni suo atto in Parlamento, hanno fatto una colossale inversione a U trasformandolo in un governo di demoni vampireschi, di burattini telecomandati da fuori, di cinici “professoroni” senza cuore e senza patria, quando non di complottisti anti-italiani. Molto fece in quel caso la volontà di “salire in campo” di Mario Monti con la nascita di Scelta Civica, questo va detto. E anche questo errore strategico, verosimilmente, non sarà ripetuto da Draghi. Tuttavia, quel precedente faceva scartare l’ipotesi di un governo composto al 100% da tecnici. Lasciare fuori i partiti è troppo rischioso e in ogni caso è vissuto come un atto “punitivo” verso i politici, il che non aiuta la navigazione in Parlamento.

Si poteva fare un governo misto – tecnici e politici – di maggiore qualità? Difficile dirlo oggi. La qualità di un ministro si valuta più ex post che ex ante, tranne per quelli uscenti. In ogni caso, gli 8 nomi tecnici sembrano di assoluto rilievo e ben 7 sono ministri con portafoglio. Sono i 15 nomi politici che creano “agitazione” nell’opinione pubblica. Tuttavia, ripeto, spesso è un’agitazione di origine “tribale”: non ci piacciono perché fino a ieri erano considerati nemici. Valutiamo simboli, più che capacità.

In ogni caso, proviamo a fare un esperimento mentale. Diamo un’occhiata alle truppe amiche e nemiche e proviamo a individuare 15 nomi migliori di quelli, mantenendo le quote partitiche. Non credo sia facile. Peraltro, ognuno di noi ha gusti e pregiudizi personali che complicano quella selezione. Comunque, quei 15 nomi erano in mano ai partiti e quello è ciò che i nostri partiti possono offrire oggi. Non sarà il governo dei migliori (il sogno), ma potrebbe essere il miglior governo possibile, date le condizioni.

Questo esecutivo, come ogni esecutivo, nasce per durare e per essere efficace. Ma, a differenza di molti altri, ha una mission chiara, che ruota intorno al Recovery Plan. Pertanto, ha una sua “catena di trasmissione”: Draghi (Garofoli-Franco), Giorgetti, Colao, Cingolani, Giovannini e Cartabia. Tenendo anche presente che non è previsto un ministro per gli affari europei – cioè, che Draghi manterrà quella delega. Questa mi sembra la garanzia più forte del nuovo governo: Draghi sarà il volto dell’Italia in Europa e nel mondo. Uno che dal 3 febbraio ha quasi azzerato lo spread e reso euforici i mercati. Ovviamente nessuno governa da solo, ma la “catena di trasmissione” sul Recovery pare di assoluto affidamento.

Il resto ovviamente non sparisce, ma è più orientato all’ordinario che allo straordinario. Punta alla sopravvivenza, ossia alla necessità di avere i voti in Parlamento, di avere una maggioranza ampia che permetta di “correre” sul fronte straordinario. E serve anche alla nostra necessità di chiacchierare, di sfogarci e di tifare, visto che il nuovo premier sembra tutto fuorché bulimico in termini di esposizione mediatica.

D’altronde, can che abbaia non morde. Il potere vero, autorevole, parla poco. Quando parla, cambia la storia con una ventina di parole, come il 26 luglio 2012: Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the Euro. And believe me it will be enough. Per inciso, l’atto più politico (non tecnico) e più patriottico degli ultimi decenni. Provate a nominare Mario Draghi a qualcuno della Bundesbank o nella redazione di Bild per avere una controprova.



×

Iscriviti alla newsletter