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Draghi, l’Europa, la pace. L’ultima intervista di Maria Romana De Gasperi a Formiche

È scomparsa nella notte Maria Romana De Gasperi, figlia primogenita e collaboratrice dello statista. A Formiche.net l’ultima intervista sul governo Draghi, l’Europa, la pace. Il testo e il video del nostro colloquio

“Se non riesce Mario Draghi, non riesce nessun altro”. Maria Romana De Gasperi ci accoglie in casa sorridente. Ha sentito il discorso del presidente del Consiglio al Senato, dal primo all’ultimo minuto. Un lungo manifesto per la “ricostruzione” del Paese dalla pandemia del coronavirus, “con orgoglio e determinazione, come quando l’Italia si risollevò dal disastro della Seconda guerra mondiale”.

Di quell’altra ricostruzione lei è stata attrice protagonista. Novantasette anni, figlia primogenita di Alcide De Gasperi, primo presidente del Consiglio dell’Italia repubblicana e fondatore della Dc, è stata anche la sua più fedele collaboratrice negli anni al governo. “La mia cara segretaria e compagna d’America”, la definisce lui in una dedica scritta a penna sotto una sua foto, sigaretta in bocca e sguardo disteso, che lei ci mostra sul davanzale.

“Ho sentito il discorso di Draghi, mi sembra un programma molto serio, fattibile solo se tutti ci mettiamo di buona volontà”, dice mentre ci scorta nel suo studiolo. Appeso al muro un grande dipinto di De Gasperi, sorridente, “è l’unico in cui ha gli occhi azzurri”.

Alla figura dello statista trentino Mario Draghi fa spesso riferimento. Lo ha richiamato nel suo celebre discorso al Meeting di Rimini la scorsa estate, lo ha evocato fra le righe mentre chiedeva la fiducia. Il suo predecessore, Giuseppe Conte, non faceva eccezione. Quel torrido pomeriggio di agosto del 2019, quando Matteo Salvini ha staccato la spina al suo primo governo, è in casa della signora De Gasperi che si è rifugiato per un colloquio al riparo dalle schiere di cronisti. “Si è seduto qui, mi ha chiesto di parlare di mio padre, ha ascoltato in silenzio, per due ore”.

 

De Gasperi con la figlia Maria Romana

Draghi, riprende lei, “ci richiama a non guardare solo il nostro orticello”. Il tecnico calato da Bruxelles a Roma non è un fallimento della politica, aggiunge. “Anzi. La politica ha una sua strada, prende molti rivoli diversi, e i tecnici servono sempre. Non possono mai sostituire la politica, ma possono aiutarla. Anche mio padre, quando dovette fare i conti con il piano Marshall, si affidò a un tecnico, Donato Menichella”. Le chiediamo cosa si sente di consigliare al nuovo premier. “Che consigli posso dare io? Mi fido della scelta del presidente Mattarella”.

“Sergio”, lei, lo conosce da tanto tempo, “la mia famiglia era amica anche di Piersanti”. La ha appena nominata Cavaliere di Gran Croce, con tanto di spille e coccarde, che ci vengono mostrate con un guizzo d’orgoglio.

 

L’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce

“Tornando a Draghi, posso solo dire che guardando alla sua vita, alla sua esperienza, se c’è una persona che riuscirà a fare qualcosa di buono, quello è lui. Soprattutto in politica estera. In Europa, basta il suo nome. Ha detto bene sulla sovranità: da soli non siamo davvero sovrani”.

Certo, la strada è in salita. Il governissimo Draghi, per l’ampiezza dell’arco parlamentare che lo sostiene, ricorda il governo di “unità nazionale” che De Gasperi mise in piedi con i comunisti di Palmiro Togliatti e i socialisti di Pietro Nenni nel 1946. Non è facile, per chi sta a Palazzo Chigi, evitare di finire stritolato dal tiro alla fune fra i partiti.

“Beh, mio padre era un uomo particolare. Riusciva a proporre le cose con la chiave giusta per tutti, con serenità ma anche grande fermezza. Rarissime le litigate fra lui e Togliatti. A volte ne usciva con un po’ di ironia”. Ironia? “Sì, per disinnescare la tensione. Ricordo un suo discorso alla Camera contro il comunismo, in cui parlò di un deputato di Togliatti, un certo Russo. Ogni volta che pronunciava il suo nome, Pajetta e i suoi compagni saltavano in piedi sui banchi a urlargli contro. Alla terza volta si è inventato un nome di fantasia, e tutti hanno smesso di gridare”.

Con Nenni invece c’era un trascorso personale. “Gli rimproverava il rapporto subalterno con Togliatti. “Anche tu, povero Nenni”, è il titolo di un suo famoso articolo per Il Popolo. Ma si rispettavano. Si erano nascosti insieme dai nazisti in Laterano. Un giorno ci fu una retata, e si rifugiarono in cantina. Nenni sbottò: ‘Tu dirai che è Dio, io dico che è il fato, ma questa volta ci prendono’. Alla fine non furono trovati”.

Qui sta la grande differenza. “C’era il rispetto per la persona. Oggi non c’è, perché non ci sono più idee né principi, non c’è lotta. In Parlamento si discute come in un salotto, qualche volta alzando la voce, tutto qui”. Di Draghi tutti parlano come di un “uomo pragmatico”. Era una virtù riconosciuta anche a De Gasperi, cresciuto e temprato dalla montagna del Trentino austro-ungarico. “Ma soprattutto, di fronte a tragedie come quella che stiamo vivendo, mio padre era un cristiano. Poco prima di tenere il suo discorso alla Conferenza di Parigi, all’indomani della guerra, si è fatto accompagnare a Notre Dame. Si è inginocchiato cinque minuti in silenzio, poi è uscito e ha detto al nostro ambasciatore Pietro Quaroni: “Ora sono pronto”.

 

Il ritratto di De Gasperi nello studio della figlia

Arriviamo all’Europa, la grande battaglia politica di De Gasperi. Ora la invocano tutti. Perfino chi, come la Lega di Matteo Salvini, ha costruito una carriera politica a tuonarci contro. Da Bruxelles, ha ricordato Draghi al Senato, dovranno arrivare 209 miliardi di euro del Next Generation Eu da spendere nei prossimi sei anni. Maria Romana sospira un attimo. “Non c’è un’altra possibilità, cosa possiamo fare fuori?”. È un’Europa che il virus ha costretto a un cambio di paradigma. La sospensione del Patto di stabilità, il placet di Angela Merkel al Recovery Fund, austerity e rigorismo messi da parte, per ora. “Un’occasione non cercata, alla quale dobbiamo rispondere assieme”.

Quest’Ue, dice la De Gasperi, ha “ben poco in comune” con quella del padre, di Schuman e Adenauer. “Perché si è troppo allargata. Sono entrate tante nazioni per bisogno, per fame, non per una scelta ideale, come fecero all’epoca Italia, Francia, Germania. Senza quella spinta l’Ue rimane un affare, e un giorno o l’altro rischia di non servire più, o peggio, di rompersi”. Un’Europa a più velocità, che riparta dai fondatori, riacquisterebbe il senso di quella missione. “Se solo si trovasse il modo di placare i bisogni di queste nuove nazioni restando uniti, ma riconoscendo una situazione diversa”, sospira lei. Piergiorgio, il nipote, la interrompe. “Ricordati che fra pochi giorni hai la seconda dose del vaccino”.

Già, il vaccino. “Speriamo di uscirne presto – sorride Maria Romana – dicono tutti che questa contro il virus è una guerra. Ma all’epoca almeno vedevi in volto il tuo nemico, potevi fuggire o combattere. Qui tutti, anche i nostri amici, possono essere “nemici”. “Però una nota positiva c’è – riprende – questo male è una grande livella. Madri, padri, fratelli sono stati pianti in inglese, francese, italiano, tedesco. Come dopo una guerra, ci scopriamo tutti figli dello stesso mondo. Partiamo da qui, per ricostruire”.

Montaggio video a cura di Federico Marchetti


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