Formiche.net ha intervistato l’ex Presidente del Consiglio, che insieme a Ciampi condivide lo stesso percorso che potrebbe intraprendere Draghi: prima in Banca d’Italia, poi a Palazzo Chigi. “Grazie al mio movimento, la sinistra andò al governo per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana. Ma per Draghi dopo non ci sarebbe un partito, c’è il Colle”
Lamberto Dini ci apre la porta di casa raggiante. “Presidente, è l’effetto Draghi?”. “Era ora, è un bel giorno”. L’appartamento è un archivio vivente dei suoi anni “al servizio della Repubblica”. Quindici da direttore generale di Banca d’Italia, due da ministro del Tesoro, altri due da presidente del Consiglio, dal 1994 al 1996, cinque da ministro degli Esteri. Ci facciamo spazio in un labirinto di ritratti, dipinti, specchi. Dini prende in mano divertito una matrioska con il volto di Silvio Berlusconi. Dentro, uno strato dopo l’altro, compaiono Amato, D’Alema, Prodi, e infine lui, il premier “tecnico”. In queste ore, a Palazzo Chigi, c’è un altro tecnico pronto a prendere le redini del governo.
Mario Draghi, lui, lo conosce bene. Dai tempi di Palazzo Koch, poi alla direzione generale del Tesoro. L’ex numero uno della Bce è l’uomo giusto per portare l’Italia fuori dalle secche della crisi, garantisce Dini. “Avere Renzi al comando ora è un’ottima occasione”.
Voleva dire Draghi…
Un lapsus. Mario Draghi è l’uomo giusto, e mi congratulo con il presidente della Repubblica per la scelta.
Un mese fa diceva a Formiche.net: non ci sono le condizioni per Draghi. Cosa è cambiato?
Nessuno poteva immaginare un crollo così disastroso della maggioranza. A Renzi devo dare merito di aver messo fine a un governo impresentabile.
È molto severo.
I fatti parlano chiaro. Era un governo incapace di sciogliere i grandi nodi del Paese. La crescita economica, la gestione della pandemia. La preparazione di un programma decente per il Recovery Fund, che non sia un accrocchio di bonus e incentivi, ma un insieme di investimenti e progetti infrastrutturali.
Una parte del governo potrebbe rientrare dalla finestra.
Ma non ci sarà più Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Un premier che non è stato capace di superare i tabù ideologici del partito che lo ha messo lì, il Movimento Cinque Stelle.
Quali?
Tav, grandi opere, giustizia, la lista è lunga. Lì dentro c’è chi vuole nazionalizzare le banche, si rende conto? E poi Conte, che voleva fare una cabina di regia a Palazzo Chigi per il Recovery Fund con lui a capo e 300 sconosciuti, scavalcando l’amministrazione e il Parlamento. Una follia.
Draghi otterrà la fiducia?
Io credo di sì. E con una maggioranza molto ampia.
I numeri dicono che la Lega sarà decisiva. Cosa consiglia a Matteo Salvini?
La Lega ha una grande occasione per cambiare corso. Salvini deve coglierla, scrollarsi di dosso i pregiudizi antieuropei. Diventare uomo di governo e in prospettiva, chissà, presidente del Consiglio.
Il partito è diviso…
Ascolti Giorgetti, Zaia, gli imprenditori del Nord. Non avrà un’altra chance come questa. Possono astenersi, se ritengono, dare un sostegno esterno. Molto dipenderà dalla composizione del governo, se sarà politico o anche tecnico, come quello di Ciampi nel 1993.
Il nome “governo tecnico” evoca nell’immaginario degli italiani lo spettro dell’austerity. È così anche questa volta?
No, Draghi ha sempre distinto fra debito buono e cattivo. Certo, se si fa debito per dare mancette e ottenere consensi elettorali non si va molto lontano. La legge di bilancio ne è piena. Non c’è nulla di quello che servirebbe davvero.
Cioè?
Mancano gli investimenti, senza settore privato non si crea il lavoro. Per non parlare delle opere pubbliche, inesistenti. E invece è questo il momento di liberarci delle pastoie burocratiche e sbloccare i cantieri, come è stato fatto in modo eccellente per il Ponte Morandi a Genova.
Torniamo a Draghi. Sicuri che non sarà un nuovo Mr. Forbici?
Assolutamente. Guardi, io lo conosco bene. È stato dieci anni direttore del Tesoro quando ero premier, è una persona costruttiva. Certo, non si può andare avanti con la finanza allegra. Abbiamo un debito enorme, l’Italia è fanalino di coda in Europa, non cresce da vent’anni.
La grande sfida di Draghi si chiama Next Generation Eu. Siamo ancora in tempo?
Abbiamo tutto il tempo che vogliamo da qui ad aprile. Anzi, il governo Draghi può scrivere un bel programma da presentare con orgoglio a Bruxelles già entro marzo.
Da dove si parte?
Le grandi riforme: scuola, giustizia, Pubblica amministrazione, lotta all’evasione. Sono misure necessarie che però producono i loro effetti nel medio periodo. Nel breve servono gli investimenti, in particolare quelli infrastrutturali.
C’è un altro fardello, il sistema bancario. Frammentato, esposto agli appetiti di altri Paesi. Con Draghi ci sarà una spinta al consolidamento?
Io credo di sì. Dovrà anzitutto risolvere il problema del Monte dei Paschi di Siena. Sono certo che Draghi spingerà per l’aggregazione permettendo a una banca forte di rilevarne una più debole, come è stato già fatto da Banca Intesa con le banche del Nord.
Poi?
Poi bisogna rafforzare il resto del sistema, che ha subito l’urto della pandemia, fare in modo che non generi troppi crediti deteriorati. L’Europa ha fatto il suo, imponendo alle grandi banche di non dare dividendi per rafforzare capitale e patrimonio a fronte di possibili danni causati dal crollo dell’economia. Ora tocca a noi. Nel 2020 abbiamo perso l’8,9% del Pil, non è uno scherzo. Solo il manifatturiero ha retto bene, segno che gli imprenditori sono la forza del nostro Paese.
Sono iniziate le consultazioni. Un consiglio non richiesto al premier-incaricato?
Non ne ha bisogno. Mi ha colpito che abbia detto di voler sentire le parti sociali oltre alle forze politiche, è un grande segnale. Vuol dire che si vuole occupare della disoccupazione, di come aiutare le imprese a dare lavoro.
Neanche un pronostico sui ministri?
Mi tiro fuori dal totonomi, per l’economia ci sono persone eccellenti. Posso ricordare la mia esperienza, anche io avevo un governo tecnico. Quando sono andato a Palazzo Chigi nel 1995 ho mantenuto l’interim al Tesoro. Ricordo che il presidente Scalfaro mi diceva: “Ma sei sicuro di poter fare due cose insieme?”. E io gli rispondevo: “Almeno così non litigherò con il mio ministro” (ride, ndr).
Conte ha fatto intendere di voler continuare a fare politica. Anche lei scese in campo con “Rinnovamento Italiano”. Gli consiglierebbe di fare lo stesso?
Parliamoci chiaro, il mio era un programma riformatore e liberal-democratico, qui non so di cosa si parli. In pochi mesi ha ottenuto più del 4% a livello nazionale. Con quella cifra, nel 1996, ho portato per la prima volta la sinistra al governo in Italia.
Per Draghi vede un futuro politico?
Dopo Palazzo Chigi per lui c’è solo una tappa: il Quirinale.
(Video a cura di Federico Marchetti)