Le statistiche raccontano un Paese in crisi profonda e le restrizioni hanno avuto un peso determinante. Ma non dimentichiamolo: non è solo l’epidemia che ha provocato “ferite profonde nelle nostre comunità”, ma anche le misure assunte, a più riprese, per mitigarne gli effetti. L’analisi di Giuliano Cazzola
Le statistiche, come i fatti hanno la testa dura. Nelle sue comunicazioni alle Camere Mario Draghi ha ripreso un brandello dell’ultimo monitoraggio Istat sull’occupazione nell’annus horribilis appena trascorso. “Il numero totale di ore di Cassa integrazione per emergenza sanitaria dal 1° aprile al 31 dicembre dello scorso anno supera i 4 miliardi. Nel 2020 gli occupati sono scesi di 444mila unità ma il calo si è accentrato su contratti a termine (-393mila) e lavoratori autonomi (-209mila). La pandemia finora ha colpito soprattutto giovani e donne, una disoccupazione selettiva ma che presto potrebbe iniziare a colpire anche i lavoratori con contratti a tempo indeterminato”.
Infatti, mentre su base annua i dipendenti permanenti sono cresciuti dell’1,5% (+158mila) nell’ultimo mese del 2020 sono diminuiti (-0,1%) anche questi ultimi. Ha suscitato poi un gran clamore mediatico il fatto che su 101mila occupati in meno, ben 99mila siano donne.
Procedendo nel discorso, Draghi ha toccato un punto cruciale: alcuni pensano che la tragedia nella quale abbiamo vissuto per più di 12 mesi – ha ammonito – sia stata simile ad una lunga interruzione di corrente. Prima o poi la luce ritorna, e tutto ricomincia come prima. La scienza, ma semplicemente il buon senso, suggeriscono che potrebbe non essere così. Pertanto se è assolutamente prioritaria l’organizzazione – todo modo – di una vaccinazione di massa, prima o poi occorrerà individuare la vera causa della crisi economica ed occupazionale. Possiamo continuare ad osservare non la luna, ma il dito che la indica. Ma non si può sfuggire a lungo da una considerazione che fingiamo di dimenticare: non è solo l’epidemia che ha provocato “ferite profonde nelle nostre comunità”, ma anche le misure assunte, a più riprese, per mitigarne gli effetti.
Misure che assomigliano sempre di più a sacrifici tribali per placare una divinità misteriosa che ha scatenato una pandemia sulla Terra. C’è ben poca razionalità nel chiudere, senza solide basi scientifiche, delle attività economiche sane, che chiedono solo di lavorare (e dimostrano di essere in grado di farcela da sole, non appena hanno un po’ di respiro). Gran parte di coloro che hanno perso il posto di lavoro o che non riescono a trovare un’occupazione sono – è ora di dirlo – dei “disoccupati di Stato”.
Ecco perché, come ha affermato Draghi, non possono esistere due tempi: prima si sconfigge il virus (in un alternarsi di aperture/chiusure/ristori/cig/blocco dei licenziamenti) poi si riparte come prima, meglio di prima. Perché, spiega Draghi, è in campo “una domanda che non possiamo eludere quando aumentiamo il nostro debito pubblico senza aver speso e investito al meglio risorse che sono sempre scarse. Ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti”.
Nell’ultimo flash sulla congiuntura il Centro Studi della Confindustria sottolinea che “nei servizi la flessione dell’attività è meno marcata a inizio 2021 (pmi risalito a 44,7), ma le condizioni di domanda restano deboli a causa delle misure anti-pandemia ancora in campo. Nell’industria, il pmi è salito a 55,1 a gennaio, segnalando un rafforzamento del recupero; la produzione ha iniziato il 2021 con una crescita dell’1,0%, dopo aver chiuso debole il 2020”.
I pmi (Purchasing Managers Index) – è noto – sono indicatori delle condizioni economiche del settore attraverso i numeri raccolti dall’occupazione, dagli ordini, dalle merci immagazzinate e dalla crescita, forniti dai responsabili degli acquisti. Uno dei vantaggi dei pmi sta nella raccolta di dati reali, presi dalle domande rivolte ai diretti responsabili per verificare le condizioni economiche del settore. Questo significa che le cifre che compongono un pmi sono basati su dati concreti, diversi dai sondaggi quelli raccolti tramite l’opinione generale o basati sulla fiducia ad esempio.
Anche l’export italiano di beni – il volano della economia produttiva – è calato del 4,1% in dicembre, vanificando l’aumento di novembre; la flessione è diffusa ai mercati Ue ed extra-Ue e ai principali gruppi di beni. Nel complesso del 2020 l’export è caduto del 9,2%, ma con una progressiva e accidentata risalita dopo il crollo iniziale: tale recupero è stato trainato dalle vendite in Germania, Usa e Cina.
Secondo gli ordini manifatturieri esteri, le prospettive per inizio 2021 sono abbastanza positive, specie nei beni intermedi e di investimento, grazie al rafforzamento della domanda in mercati esteri chiave (Europa e Nord America). Grazie a un graduale recupero – riferisce il Csc – il commercio mondiale è tornato sopra i livelli pre-crisi a fine 2020. Le prospettive per inizio 2021 sono ancora frenate dall’incertezza sulla diffusione della pandemia, come segnalato dall’indebolimento degli ordini esteri globali (pmi a 50,1 a gennaio).
Buon segnale dal prezzo del Brent a febbraio, balzato a 64 dollari al barile, vicino al livello pre-Covid. Lo scenario incerto e i limiti a spostamenti e acquisti spingono una parte delle famiglie a risparmiare: nel 2020 i depositi hanno registrato un aumento “extra” di 26 miliardi rispetto al trend (pari al 2,7% dei consumi privati; stime Csc). La domanda interna resta debole a gennaio: gli ordini domestici dei produttori di beni di consumo sono stabili; le immatricolazioni di auto sono salite dello 0,4%. Ma un allentamento delle restrizioni potrebbe rilanciare fortemente i consumi.
Che cose emerge da queste rappresentazioni? Esiste un tessuto economico vivo e vitale che affronta le sfide con un braccio legato dietro la schiena. Le “restrizioni’” sono la variabile indipendente a cui tutto è subordinato; ma è da questi condizionamenti che dipendono le prospettive del futuro. “Nella speranza – come ha auspicato Draghi – che i giovani italiani che prenderanno il nostro posto, anche qui in questa aula, ci ringrazino per il nostro lavoro e non abbiano di che rimproverarci per il nostro egoismo”.