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Il bazooka verde di Draghi e il ministero della transizione ecologica secondo Muroni (LeU)

Muroni

Intervista all’ex presidente nazionale di Legambiente e attuale deputata di Liberi e uguali Rossella Muroni: “Per la prima volta il tema ambientale è diventato centrale nel dibattito pubblico italiano, a tal punto da arrivare a essere determinante per la formazione del governo”. Ma ora ci vogliono soluzioni coerenti e pragmatiche per accelerare la transizione

Un bazooka verde, che possa consentire all’Italia di ottenere e poi di spendere bene le risorse del Recovery Fund e così di riuscire a proiettarsi finalmente nel futuro. L’ex presidente nazionale di Legambiente e attuale deputata di Liberi e Uguali Rossella Muroni ha incassato con soddisfazione la novità del ministero per la Transizione ecologica di cui si è fortemente discusso in questi giorni: “Penso rappresenti sicuramente una notizia positiva. Per la prima volta il tema ambientale è diventato centrale nel dibattito pubblico italiano, a tal punto da arrivare a essere determinante per la formazione del governo”. Un passaggio – ha sottolineato ancora Muroni in questa conversazione – che “sarebbe stato meglio se fosse arrivata in ragione di una maturazione culturale in questo senso da parte di tutte le forze politiche. Dopodiché ci si è arrivati tramite Mario Draghi e va bene lo stesso”.

Muroni su questo aspetto ci arriveremo nella seconda parte di questa intervista. Intanto le chiedo: a cosa occorre prestare attenzione in questo processo di creazione del nuovo ministero per la Transizione ecologica?

Ai tempi, bisogna considerare in modo particolare la tempistica. Una riorganizzazione come quella imposta dalla creazione di un ministero di questo tipo non si dispone così rapidamente. Anche perché comunque, in attesa di capire cosa avverrà in concreto, stiamo parlando di competenze rilevanti, oggi appannaggio di ministeri fondamentali come l’Ambiente, lo Sviluppo economico e le Infrastrutture e i Trasporti. E poi c’è un tema di competenze nel senso che i funzionari sono sempre gli stessi: si sono formati e hanno iniziato a lavorare in un’epoca non proprio a trazione ecologista.

Questo ministero come dovrebbe essere materialmente declinato a suo avviso?

In maniera molto più concreta possiamo mettere sotto il nome di Transizione ecologica un coordinamento reale ed efficace dei processi che attengono ai tre ministeri che ho citato non è più sopportabile, ad esempio, è che l’Ambiente annunci con enfasi di voler puntare sulle rinnovabili e che lo Sviluppo economico si comporti in modo non dico ostile, ma certo pigro su questo fronte.

Ma, ad esempio, immagina una fusione tra il ministero dell’Ambiente e quello dello Sviluppo economico oppure, più probabilmente, che al primo possano essere attribuite alcune competenze oggi spettanti al secondo?

Penso che il Recovery Fund ci serva per definire bene pure la divisione delle funzioni. Non è che Draghi sia diventato improvvisamente un fervente ambientalista. Semplicemente ha letto bene e con attenzione il Next Generation Eu e sa che il 37% delle risorse che arriverà dovrà essere destinato alla rivoluzione verde. Cioè soldi che serviranno a finanziare la trasformazione dal punto di vista ambientale. Dobbiamo immaginare un coordinamento forte o anche un ministero che, sotto l’egida della transizione ecologica, garantisca  la coerenza della nostra azione. In nome, ovviamente, della sostenibilità.

Quindi, a prescindere dalle forme, ciò che è necessario che vi sia un effettivo coordinamento delle politiche?

Assolutamente sì. Dobbiamo creare un ministero della Transizione ecologica che abbia dentro le funzioni individuate dallo stesso piano per il Recovery Fund, sulla base delle indicazioni e delle prescrizioni fornite dall’Europa.

La storia di banchiere internazionale di Draghi come può incrociare in questo senso l’agenda ambientale del nostro Paese?

Diciamo che è in linea con il trend che la stessa la finanza internazionale sta seguendo sull’ambiente. Ormai non sono più solo gli ecologisti ma anche i grandi fondi internazionali, penso a BlackRock (qui la lettera di Larry Fink ai Ceo), a voler investire sulla sostenibilità. Ben venga se Draghi ha competenze, relazioni e una visione globale del sistema in grado dotare il Paese di un bazooka verde capace accelerare la transizione.

Muroni, riavvolgendo il nastro di questa intervista non ritiene che sull’ambiente il movimento 5 stelle abbia alla fine avuto il merito di riuscire a dettare la sua agenda agli altri partiti, a cominciare dalla sinistra e dal centrosinistra?

Inizierei rispondendo che i partiti tradizionali, da destra a sinistra, il tema ambientale non lo capiscono. Non lo dico con disprezzo, è proprio una questione di comprensione culturale. Ad esempio la libertà di muoversi non si identifica più necessariamente con l’acquisto dell’automobile. Quindi mettersi lì a difendere con le unghie e con i denti il diesel, com’è stato fatto, rappresenta una battaglia di retroguardia: legittima per carità, ma che non guarda al futuro. Una questione che riguarda tutte le forze politiche, soprattutto il centrosinistra.

Tutte tranne i pentastellati, però sembrerebbe. Non è così?

Guardi, una delle cinque stelle iniziali del movimento era rappresentata proprio dall’ambiente. Però, molto sinceramente e con grande rispetto, non si può dimenticare hanno guidato i ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico per due anni e mezzo. Francamente non ho visto quasi nulla di ciò che avevano promesso. E perché?

Già, perché?

Perché le politiche ambientali non si possono affrontare solo con gli slogan. Le questioni sono complesse e le decisioni assunte producono impatti molto differenti che richiedono altrettante scelte sempre complesse. Insomma, non basta certo dire viva la natura.

Vuole dire che non bisogna solo dire no quando si parla di ambiente?

Voglio dire che l’ambientalismo non deve essere né del sì né del no. Ma del come. Limitarsi a dire sì o no è troppo semplice. Se, ad esempio, mi chiedono se sono favorevole agli inceneritori, rispondo a mia volta con una domanda: gli inceneritori a che punto della catena? Questo per dire che bisogna essere pragmatici e non limitarsi a un ambientalismo di maniera, ma conoscere in profondità i temi per elaborare le soluzioni.

I monopattini elettrici non bastano?

Io quei provvedimenti li ho votati ma pensare che la mobilità possa cambiare con una spolverata di monopattini elettrici e di biciclette nelle città non va bene. O, meglio, va bene se quella è la fine di un processo che contempla una serie di politiche in grado di creare un contesto complessivo. Rimanendo su questo esempio, occorre contemporaneamente mettere mano alla codice della strada. Altrimenti servono a poco.

In conclusione, la colpisce lo spazio che Draghi ha riservato alle forze sociali ambientaliste e anche il riscontro che ne è derivato nel dibattito pubblico?

Assolutamente sì. Voglio ricordare che nel 2013 Pier Luigi Bersani incontrò le associazioni ambientaliste – io ero direttrice nazionale di Legambiente – e fu sbeffeggiato da tutti. Sui quotidiani italiani veniva messo praticamente alla berlina per questi incontri. Quanta acqua è passata sotto i ponti. E per fortuna, aggiungerei.

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