Skip to main content

Erbil, c’è il dossier Usa-Iran dietro all’attacco?

Chi ha interesse a colpire gli Stati Uniti nel Kurdistan iracheno? E cosa c’è dietro l’attacco missilistico contro l’aeroporto di Erbil? L’analisi di Emanuele Rossi

Nella serata di lunedì, quattordici missili hanno colpito l’aerea dell’aeroporto internazionale di Erbil, nel Kurdistan iracheno. Un contractor civile è stato ucciso, altri cinque feriti e con loro un soldato statunitense. La regione autonoma al nord del’Iraq è uno snodo strategico militarizzato: i militari colpiti si trovano acquartierati nello scalo aereo che ha fatto da background all’enorme operazione con cui la cosiddetta Coalizione internazionale ha respinto lo Stato islamico.

Tra le unità presenti ci sono anche italiani. Il ministero della Difesa fa sapere tramite un comunicato inviato a Formiche.net che “nessuno ferito o danno materiale al personale italiano dislocato. Il personale ha trovato riparo nei bunker nel corso dell’allarme, che è cessato alle ore 20:30 (ora italiana)”.

Il bilancio dell’attacco di ieri poteva essere peggiore, perché alcuni dei missili sono caduti in un’area contigua al compound dell’aeroporto in cui si trovano edifici residenziali e diplomatici — alcune immagini sono state riprese per esempio dalle telecamere installate sul cancello della rappresentanza palestinese.

“Siamo indignati per l’attacco missilistico di oggi nella regione del Kurdistan iracheno. I rapporti iniziali indicano che gli attacchi hanno ucciso un contractor civile e ferito diversi membri della Coalizione, tra cui un militare statunitense e diversi contractor Usa”: così il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, ha condannato i fatti dopo una telefonata con il presidente curdo Mansour Barzani in cui hanno parlato anche di coordinare le indagini sui fatti.

Una pista è chiara: c’è una rivendicazione fatta dall’Awlya al Dam, una milizia irachena.

Si fanno chiamare i Guardiani del Sangue e sono uno dei gruppi nati dopo l’uccisione di Qassem Soleimani, il generale leader dei Pasdaran eliminato con un attacco aereo americano il 3 gennaio 2020 appena uscito dall’aeroporto di Baghdad. Soleimani era considerato l’ideatore e coordinatore del piano di allargamento di influenza con cui l’Iran ha costruito una rete fitta di milizie da gestire per muovere a proprio vantaggio le dinamiche interne in diversi stati della regione mediorientale (in primis in Iraq).

Queste milizie odiano gli Stati Uniti (e l’Occidente) e alcune di loro spesso compiono attacchi contro obiettivi collegati agli interessi americani (o occidentali). Sono per esempio coloro che colpiscono con regolarità l’area dell’ambasciata statunitense a Baghdad. Lo fanno perché rispondono a un’agenda propria nettamente coincidente (a tratti ispirata) con quella della fazione interna dei Pasdaran collegata all’industria militare: fazione interessata a far sì che tra Usa e Iran si mantenga un livello di ingaggio costante di medio-bassa intensità.

Vogliono questo per interessi diretti nel vendere e ottenerne ricavi dalla componentistica e dagli armamenti (come i razzi da 107mm usati ieri a Erbil); vogliono questo perché se ci fosse dialogo e apertura sarebbe più complicato per loro mantenere attive certe posizione di potere e business.

Awlya al Dam — così come i tentativi di attenterò scoperti in Etiopia — è la dimostrazione di come all’interno della linea dura iraniana e delle milizie stesse ci sia una separazione di intenti e visioni. Alcune fazioni si sono divise — o sono state create — per mantenere attivo l’ingaggio costante in un momento in cui anche dall’Iran era arrivato l’ordine di contenimento.

Tutto si inquadra in un clima generale che vede l’amministrazione Biden disponibile a tornare al dialogo con Teheran, sebbene con tempi e modalità da definire e per niente prone; il panorama politico iraniano favorevole ai conservatori, con all’interno sfumature varie, dai pragmatici ai radicali; la sovrapposizione di necessità e interessi di attori regionali che risentono direttamente del rapporto Usa-Iran, come l’Iraq, da tempo diventato il principale terreno di frizione tra i due paesi, coinvolgendo Israele e tutto il Golfo.

A Erbil il 7 marzo è atteso Papa Francesco nell’ambito del suo viaggio iracheno. Chi ha colpito era ben consapevole della complicazione e della sovrapposizione di varie questioni.

 



×

Iscriviti alla newsletter