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Franco, Garofoli e Colao, il ritorno in grande stile dopo il benservito a Conte-Casalino

La nomina dei due tecnici in ruoli chiave del governo Draghi è un risarcimento per l’epurazione subita per mano di Rocco Casalino, che nel 2018 li minacciava via Whatsapp. Il segno che l’era di Conte è definitivamente tramontata

Mentre super-Mario leggeva la sua super-lista (tutto è super, almeno per le prime settimane), sono tre i nomi che sono saltati all’orecchio di chi segue la politica con attenzione e una certa dose di malizia: Daniele Franco, Roberto Garofoli e Vittorio Colao.

FRANCO E GAROFOLI, DUE UOMINI DI STATO CACCIATI DA ROCCO IL PORTAVOCE

Iniziamo coi primi due, oggetto di un famigerato audio-messaggio di Rocco Casalino, il portavoce di Conte che nel frattempo è partito per il suo book tour, che aveva come obiettivo i tecnici del Ministero dell’Economia e delle Finanze restii ad accettare i piani di spesa del governo giallo-verde.

Correva l’anno 2018, sembra un millennio fa, e Casalino inviava via Whatsapp la linea di Palazzo Chigi a un ristretto numero di giornalisti. Uno di questi fece filtrare “la mega vendetta” in arrivo nei confronti non dell’allora ministro Tria, “ministro serio che si occupa dei problemi degli italiani”, ma di una “marea di gente del Mef, che sarà fatta fuori nel 2019, una cosa ai coltelli proprio”. L’obiettivo erano proprio Daniele Franco, all’epoca Ragioniere Generale dello Stato, che aveva il compito di bollinare le manovre volute dal M5S, e Roberto Garofoli, capo di gabinetto di Tria.

Nonostante la gravità del messaggio e lo schiaffo istituzionale ai limiti della denuncia penale, Casalino fu protetto dal premier ed ebbe la meglio: Garofoli tornò al Consiglio di Stato, Daniele Franco tornò in Banca d’Italia come vice-direttore generale, per poi essere promosso direttore generale quando Fabio Panetta è stato nominato al Comitato esecutivo della Bce, il 1 gennaio 2020.

Il fatto che Garofoli sia stato scelto come sottosegretario della presidenza del Consiglio, il ruolo più prestigioso e centrale per un grand commis, e che Daniele Franco rientri al Mef non da Ragioniere Generale ma da ministro, è un messaggio inequivocabile: due tecnici di alto livello, sacrificati sull’altare del populismo a 5 Stelle (un millennio, dicevamo), e ora risarciti con la più alta promozione per le rispettive carriere.

Garofoli è infatti un magistrato: ordinario fino al 1999, impegnato in processi anche di mafia, amministrativo dal 2000, un cursus che lo ha visto diventare Presidente di Sezione del Consiglio di Stato. Ma da molti anni è un punto di riferimento nei palazzi romani: è stato capo di gabinetto al Mef nei governi Renzi, Gentiloni e, appunto, Conte I. È stato anche segretario generale di Palazzo Chigi con Enrico Letta, e capo di gabinetto al ministero della Semplificazione Legislativa durante il mandato di Mario Monti. Prima ancora, capo Ufficio Legislativo del Ministero degli affari esteri con D’Alema (governo Prodi II). È stato nominato da Napolitano Grande Ufficiale della Repubblica.

Daniele Franco, invece, ha un passato tutto all’interno della Banca d’Italia, in particolare al Servizio Studi, con in più la fondamentale esperienza di Ragioniere Generale dello Stato (2013-2018) che lo rende uno dei pochissimi in Italia a sapersi muovere senza problemi nel groviglio dei conti pubblici. Ha il bonus di avere un’ottima esperienza internazionale (grazie ai suoi ruoli in Bankitalia) e la capacità di tenere insieme il rapporto con Bruxelles e quello con gli enti locali.

E’ uno degli uomini più fidati di Mario Draghi, con cui ha lavorato durante il mandato da Governatore (2005-2011), e la domanda che circola all’indomani della nomina è: come si muoverà sulle partecipate di Stato? Nei prossimi due mesi scadono molti consiglieri di amministrazione, amministratori delegati e presidenti. Di sicuro, seguirà l’indicazione del premier.

VITTORIO COLAO, IL SUPERMANAGER MALTRATTATO DA CONTE

Il terzo nome, Vittorio Colao, fa subito pensare alla task force creata ad aprile 2020 e smantellata due mesi dopo da un Conte restio ad affidarsi a un nome così prestigioso, visto l’inevitabile effetto-commissariamento. Colao produsse un rapporto articolato, che fu annacquato dalla passerella di Villa Pamphili, dove l’ex premier organizzo dei non memorabili “Stati Generali dell’Economia”, quasi a mettere il cappello sul lavoro dell’ex capo di Vodafone.

Il ritorno di Colao con un dicastero nuovo e dedicato al Recovery Plan, in coordinamento con quello di Roberto Cingolani, è la definitiva parola “fine” all’era di Conte.


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