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Lo Stato stratega. Come Roberto Garofoli interverrà sul golden power

Il nuovo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ha parlato di golden power in seminari e riviste giuridiche. Secondo lui, lo Stato è ormai “stratega” perché ha il potere di entrare non solo nell’azionariato e nella regolamentazione ma anche nella gestione e nei contratti delle aziende considerate strategiche. E ritiene che il Gruppo di coordinamento che affianca la presidenza del Consiglio debba dotarsi di una struttura autonoma e stabile ad alta competenza tecnica

Roberto Garofoli, presidente di sezione del Consiglio di Stato con una lunga carriera negli ingranaggi fondamentali della Pubblica Amministrazione, è il nuovo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, cioè il grand commis che avrà il controllo dell’azione del governo Draghi. Al suo fianco ci sarà Roberto Chieppa, che rimarrà segretario generale di Palazzo Chigi dopo essere stato uomo di fiducia di Giuseppe Conte nei governi giallo-verde e giallo-rosso.

È stato Chieppa, anche lui presidente di sezione del Consiglio di Stato, a gestire i temi del golden power in questi due anni e mezzo, difendendone l’applicazione in questi anni in particolare nel settore delle telecomunicazioni: era l’unica “disciplina immediata” che si potesse utilizzare in un momento di forte tensione commerciale Usa-Cina e che, per altro, “non ha impedito la sottoscrizione dei contratti”.

Come imposterà Garofoli il tema dell’intervento dello Stato a difesa dei settori strategici italiani davanti agli investimenti stranieri si può intuire dal suo articolo “Golden power e controllo degli investimenti esteri: natura dei poteri e adeguatezza delle strutture amministrative”, pubblicato sulla rivista “Federalismi” nel settembre 2019, di cui pubblichiamo un estratto.

Nel testo, Garofoli sottolinea che il governo, dopo essere stato “azionista” e poi “regolatore”, è dal 2019 diventato “stratega”, avendo la facoltà di intervenire sugli investimenti stranieri in modo più pervasivo di prima, dopo un’attenta “analisi strategica di tipo anche geoeconomico e geopolitico, naturalmente saldamente poggiante su verifiche e valutazioni tecniche complesse”.

Garofoli si interroga sull’adeguatezza degli strumenti del Gruppo di coordinamento che si occupa del golden power, che purtroppo è “privo di un proprio apparato burocratico, stabile e specializzato“, pur essendo necessaria una “competenza tecnica elevatissima” nella valutazione delle istanze. Insomma, per questioni di “geo-economia e geo-politica”, “le reti, la connettività, la loro evoluzione e i conseguenti rischi anche per la sicurezza nazionale”, sarà necessaria una struttura più solida e specializzata a sostegno dell’attività del Gruppo.

È dunque lecito immaginare che tra le prime azioni di Garofoli in veste di sottosegretario della Presidenza del Consiglio, ci sia quella di rafforzare l’apparato di Palazzo Chigi che segue le applicazioni del golden power, tema molto attuale vista anche l’attenzione del Copasir sugli investimenti stranieri e le molte operazioni in ballo in settori strategici.

 

Di seguito l’estratto dell’articolo:

 

1. Considerazioni introduttive.

La difficoltà di coniugare e conciliare l’interesse degli Stati a promuovere investimenti esteri con quello a che gli stessi investimenti siano coerenti o compatibili con taluni rilevanti interessi nazionali è comprovata dai numerosi cambi di impostazione che hanno caratterizzato l’evolversi non solo della disciplina italiana, ma anche di quelle degli altri Paesi.

Quanto alla regolamentazione nazionale dei controlli statali sugli investimenti esteri si è sostenuto -nel tentativo di cogliere le implicazioni sostanziali conseguenti ai passaggi salienti lungo i quali la stessa si è sviluppata- che lo Stato ha via via assunto la veste di azionista (quando il sistema ruotava attorno alla golden share), regolatore (con il d.l. 15 marzo 2012, n. 21, e il passaggio al diverso sistema dei golden powers), fino ad atteggiarsi, a stratega, chiamato a perimetrare la nozione di sicurezza nazionale e a verificarne la compromissione sulla base di una pluralità di valutazioni di tipo geo-economico e geo-politico, per esempio quelle riguardanti la collocazione (odierna e prospettica) dell’Italia nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina1.

A tale cambiamento del ruolo stesso dello Stato si è affiancato un ampliamento dell’ambito applicativo della disciplina, non più costituito dal solo settore della difesa, ma via via esteso ad altri settori, come accaduto, in particolare, con i d.l. 16 ottobre 2017, n. 148, e 20 maggio 2019, n. 41, che, integrando la terza tappa evolutiva del sistema nazionale di controllo degli investimenti esteri, vi hanno ricompreso quelli delle reti, delle infrastrutture strategiche e di telecomunicazioni, i settori ad alta tecnologia fino all’ambito finanziario.

Con l’intento di esplicitare l’esposta impostazione che assume il passaggio dallo Stato azionista, allo Stato regolatore, allo Stato stratega, è utile ripercorrere sinteticamente le tappe rilevanti dell’indicato percorso evolutivo della disciplina nazionale per poi svolgere alcune brevi considerazioni su taluni profili problematici che sin d’ora si indicano:

• che natura hanno i poteri assegnati allo Stato?

• quali strutture amministrative sono preposte all’esercizio delle competenze assegnate dalla legge e quale è il grado di adeguatezza delle stesse?

[…]

2.1. Lo Stato “azionista”: la golden share.

Come è noto, nel 2012, con il d.l. 15 marzo 2012, n. 21, convertito dalla l. 11 maggio 2012, n. 56, il Governo, tenendo conto delle censure sollevate dalla Commissione europea con la procedura d’infrazione n. 2009/2255 avviata con riguardo alla disciplina dettata dal d. l. 31 maggio 1994, n. 332, , convertito dalla l. 31 maggio 1994, n. 332, in tema di golden share, ha introdotto un nuovo sistema normativo di tutela, ruotante attorno al riconoscimento di taluni poteri speciali (c.d. golden power) sulle attività e sugli assetti delle società attive in settori di particolare rilievo nazionale.

Si tratta di un passaggio evolutivo del sistema normativo (così ruotante sull’attribuzione al Governi non più di azioni speciali ma, in certi ambiti e a certe condizioni, di taluni poteri speciali) che si è registrato, in un arco temporale tendenzialmente coincidente, in quasi tutti gli altri ordinamenti degli Stati europei; un passaggio, di cui è opportuno riassumere novità e ragioni.

La golden share nasce contestualmente all’avvio, nella maggior parte dei Paesi europei, di processi di privatizzazione sostanziale di aziende pubbliche attive in settori di particolare interesse nazionale. Il meccanismo consisteva nell’obbligatoria introduzione, negli statuti delle società da dismettere, della previsione che prescriveva il mantenimento in mano pubblica di una quota azionaria speciale e simbolica cui ricollegare la titolarità di taluni rilevanti poteri.

In Italia, la richiamata legge 474 del 1994 stabilì che, prima del passaggio del controllo al mercato, le società privatizzate operanti nei settori della difesa, dei trasporti e delle telecomunicazioni, delle fonti di energia e degli altri pubblici servizi dovessero introdurre nei propri statuti clausole che attribuissero taluni poteri speciali all’allora Ministero del Tesoro, d’intesa con quello del Bilancio e dell’Industria2.

L’affermazione del modello si ha nel Regno Unito, ma si sviluppa in pressocché tutti i Paesi europei, ancorché con discipline non del tutto coincidenti e con terminologie distinte.

[…]

2.3. Lo Stato “regolatore”: la disciplina del 2012.

Passando, allora, alla disciplina nazionale, va preso in considerazione il d.l. 15 marzo 2012 n. 21, convertito, con modificazioni, nella legge 11 maggio 2012, n. 56, che ha sostituito la disciplina di cui alla l. 474/1994.

Sono due le novità apportate dal decreto.

In primo luogo, i poteri speciali non hanno più un legame genetico con operazioni di privatizzazione, il relativo ambito di esercizio non essendo più circoscritto alle sole imprese precedentemente in mano pubblica ma riguardando tutti gli attori di un determinato settore o in possesso di certi assets.

Conseguentemente, lo Stato non è più chiamato ad esercitare le proprie prerogative per mantenere l’influenza su un ex monopolista pubblico, operando come organo di regolazione degli investimenti esteri.

Si passa così dalla golden share ai golden powers: non è più una clausola statutaria – o un’azione – a fondare i poteri speciali, bensì una normativa di carattere generale. Si esce così dall’ambito privatistico e si entra pienamente nel campo del diritto pubblico.

Il citato decreto prevede l’esercizio dei poteri speciali in relazione alle attività di rilevanza strategica nei settori della difesa e della sicurezza nazionale (art. 1, l. 56/2012) e nel campo dei beni di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni (art. 2, l. 56/2012).

Quanto ai presupposti per l’esercizio dei poteri speciali, mentre nel settore della difesa e della sicurezza nazionale la legge richiede l’esistenza di una “minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali”, nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni è altresì necessario che l’operazione presa a riferimento possa dare luogo a “una situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale ed europea di settore” di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti.

Quanto, invece, alla consistenza dei poteri, sono riconosciute potestà di tipo prescrittivo, interdittivo e oppositivo. Il governo può, infatti, (a) imporre specifiche condizioni relative alla sicurezza degli approvvigionamenti, alla sicurezza delle informazioni, ai trasferimenti tecnologici, (b) porre il veto all’adozione di delibere dell’assemblea, (c) opporsi all’acquisto, a qualsiasi titolo, di partecipazioni.

2.4. Lo Stato “stratega”: le novità legislative del 2017 e del 2019

Con legge 4 dicembre 2017, n. 172 (di conversione del d.l.. 16 ottobre 2017, n. 148), sono state introdotte rilevanti novità.

Le nuove regole hanno esteso l’ambito di applicazione dei poteri governativi ai cosiddetti “settori ad alta tecnologia”, fra cui “le infrastrutture critiche o sensibili” (es. quelle per l’immagazzinamento e gestione dei dati o quelle finanziarie), “le tecnologie critiche” (es. l’intelligenza artificiale, la robotica o i semiconduttori), demandando ad uno specifico decreto una puntuale definizione degli ambiti più esposti a pericoli per la sicurezza e l’ordine pubblico.

Inoltre, fra i criteri di valutazione delle operazioni di soggetti extra-europei attivi nel campo delle reti, oltre alla minaccia effettiva di grave pregiudizio per gli interessi pubblici, è stato aggiunto anche il pericolo per la sicurezza e per l’ordine pubblico.

Da segnalare, altresì, che «al fine di un aggiornamento della normativa in materia di poteri speciali in conseguenza dell’evoluzione tecnologica intercorsa, con particolare riferimento alla tecnologia 5G e ai connessi rischi di un uso improprio dei dati con implicazioni sulla sicurezza nazionale», il d.l. 25 marzo 2019, n. 22, convertito dalla l. 20 maggio 2019, n. 41, ha esteso l’ambito di applicazione dei poteri speciali del Governo, annoverando tra le attività di rilevanza strategica per la difesa e sicurezza nazionale, anche i servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati su tecnologia 5G.

Pertanto, sono stati sottoposti all’obbligo di notifica anche la stipula di contratti o accordi aventi ad oggetto l’acquisto di beni o servizi relativi alla progettazione, alla realizzazione, alla manutenzione e alla gestione delle reti inerenti a questi servizi, ovvero l’acquisizione di componenti ad alta intensità tecnologica funzionali alla predetta realizzazione o gestione, quando posti in essere con soggetti esterni all’Unione europea.

Per effetto delle riportate modifiche normative, la casistica di sicurezza nazionale è destinata ad avere crescente importanza, principalmente per il cambio di paradigma tecnologico attuale, in cui sia le telecomunicazioni che le reti di trasmissione energetiche e di trasporto, acquistando maggiore profondità tecnologica con le nuove modalità di connessione, divengono allo stesso tempo più vulnerabili del passato.

Ecco, allora, che il ruolo dello Stato, nell’esercizio dei poteri indicati, è non più quello di semplice regolatore, non dovendo mancare nei decisori pubblici una capacità di analisi strategica di tipo anche geoeconomico e geopolitico, naturalmente saldamente poggiante su verifiche e valutazioni tecniche complesse.

[…]

3.3. Cosa accade in Italia? Competenze e adeguatezza strutturale del Gruppo di coordinamento.

In Italia l’organo corrispondente al CFIUS statunitense è il Gruppo di coordinamento che opera in Presidenza.

Dalla relazione depositata in Parlamento (luglio 2016-dicembre 2018) emerge che il Gruppo, quando ritiene che non ci siano i presupposti per l’esercizio dei poteri speciali, esercita altri poteri adottando raccomandazioni e definendo principi.

Se, però, dal punto di vista sostanziale queste raccomandazioni o questi principi possono essere paragonati alle mitigation measures del CFIUS, dal punto di vista strutturale e formale si registrano marcate differenze.

Come sopra rilevato, nel sistema statunitense le raccomandazioni sono molto stringenti e la dialettica tra il CFIUS e l’attore determina di frequente, prima del passaggio alla decisione presidenziale, l’abbandono della transazione.

Nel sistema italiano, invece, le valutazioni svolte dal Gruppo di coordinamento sono comunque oggetto di una delibera da parte del Consiglio dei Ministri, anche nei casi in cui si ritenga che non vi siano gli estremi per l’esercizio dei poteri speciali.

La prima differenza, quindi, è che il Gruppo di coordinamento non esercita questi poteri in autonomia perché gli stessi confluiscono sempre in un Decreto del Presidente.

La seconda differenza consiste nel fatto che questo Gruppo di coordinamento è privo di un proprio apparato burocratico, stabile e specializzato, per l’appunto coordinando gli apporti forniti dai soggetti che ne fanno parte.

Non c’è dubbio tuttavia, soprattutto nel passaggio dal d.l. 15 marzo 2012 n. 21, ai d.l. 16 ottobre 2017, n. 148, e 25 marzo 2019, n. 22, e con l’ampliamento settoriale esteso alle reti, che nella valutazione delle istanze sia necessaria una competenza tecnica elevatissima che riguarda, per esempio, le reti, la connettività, la loro evoluzione e i conseguenti rischi anche per la sicurezza nazionale dovuti a certe operazioni; una competenza tecnica che arriva anche alla geo-economia e alla geo-politica, richiedendo, tanto più in considerazione degli interessi vitali presidiati, specializzazioni elevatissime e variegate.

E’ opportuno, allora, interrogarsi sulla adeguatezza di siffatta struttura rispetto ai compiti, via via crescenti, che la legge le ha riconosciuto.

Ad esclusione dell’intelligence, il Gruppo non pare dotato di una burocrazia stabile e specializzata in materia di national security. D’altra parte, attesa l’espansione del campo di applicazione della disciplina sui poteri speciali, è senz’altro importante che il sistema sia in grado di dare risposte chiare e certe agli attori, senza divenire un ostacolo agli investimenti.

[…]



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