Salvini, con il sì anche se tardivo a Draghi, potrebbe guadagnare quella green card internazionale da spendere quando vincerà le prossime elezioni. E poi il ruolo del nord-Italia, che parla la lingua tedesca del business, e la mutazione antropologica dell’Ue alla base della vittoria della linea-Giorgetti
Da “questo euro è austerità e altro non è possibile” a “con Draghi è possibile dialogare”. Anche il più intransigente esponente italiano dell’antieuropeismo, come il prof. Alberto Bagnai, senatore della Lega, cambia postura dinanzi alla nascita del governo Draghi 1.
Un fatto che, se nel brevissimo periodo, ha come conseguenza l’appoggio ormai probabilissimo della Lega tutta all’ex numero uno della Bce, nel medio-lungo periodo apre un interrogativo in chiave di equilibri nella coalizione di destracentro e in chiave di rapporti internazionali che la Lega può veder mutare.
Le opposizioni sono, come noto, frastagliate. Forza Italia schierata non è una notizia, visto lo zoccolo liberale e popolare del partito; così come non è una primizia il niet di FdI (anche se sarà astensione). La decisione della Lega invece non era scontata ed è maturata dopo un lungo ascolto della base produttiva e industriale dei territori. Lecito chiedersi, a questo punto, cosa accadrà da domani nel partito, ancora primo nei sondaggi nazionali, dopo che gli euroscettici sono saliti sul treno tecnocratico.
LA LEGA FA POLITICA
La Lega inizia finalmente a far politica votando sì a Draghi mentre altri non la seguiranno,confida a Formiche.net un commentatore di lungo corso dei palazzi romani, che conosce bene le dinamiche alla destra dell’emiciclo. La tesi è che, al fine di accreditarsi come interlocutore potabile e maturo per governare una volta vinte le prossime elezioni, Matteo Salvini non poteva che fare questa scelta. Ma se da un lato il Carroccio torna sui passi tattici che permisero, anni fa, al partito guidato da Bossi la presenza costante al governo con Berlusconi premier, dall’altro qualcuno teme che la linea Giorgetti, pragmatica visto il momento, possa regalare praterie elettorali a Giorgia Meloni.
Intanto, osserva il prof. Paolo Becchi a Formiche.net, Salvini avrebbe subito dovuto dire sì a Draghi anziché tergiversare: “In questo modo gli altri hanno avuto il tempo di organizzarsi, come fatto dal M5s. Ma, al netto di una scelta azzeccata che sostengo da sempre, mi permetto di dare un consiglio: l’errore che Salvini deve evitare assolutamente di commettere è quello di considerare Draghi alla stregua di Conte. Lo ascolti senza chiedere nulla e non faccia come gli altri che, purtroppo per loro, Grillo in testa, non hanno ancora capito dinanzi a chi siederanno per le consultazioni. Si ricordino come Draghi ha messo nell’angolo il Presidente della Bundesbank, Jens Weidmann”.
UN NUOVO INIZIO
Dalla Lega bocce cucite e in religioso silenzio ma, provando a interpretare alcuni ragionamenti che sull’asse Via Bellerio-Roma vengono fatti in queste ore dai filo draghiani, sono due i punti nevralgici che hanno cambiato la rotta del partito. In primis il fatto che il nord produttivo del paese, bacino elettorale (e non solo) della Lega, parla la stessa lingua di Berlino e in parte di Bruxelles alla voce sviluppo e produttività.
Il nord di oggi spinge sulla Lega per il sì a Draghi come la Confindustria tedesca spinse sulla Cancelliera Merkel lo scorso anno per il sì al Recovery: su questa traccia si è cementata la primissima fazione di leghisti che mai un dubbio hanno avuto circa la postura del partito pro Draghi. Lo dimostra, una volta di più, che in passato lo stesso Salvini ha fatto il nome dell’ex numero uno della Bce per salvare l’Italia e programmare uno sviluppo, mentre nelle stesse ore si dava conto di un dualismo Salvini-Giorgetti che nei fatti non c’è. Ognuno recita un ruolo, distinto ma non distante.
Inoltre qualcuno osserva, neanche più a bassa voce, che il modello Cdu-Csu tedesco è lo stesso che nei fatti si vede al nord con la Lega, senza per questo suscitare mal di pancia in Germania per l’accostamento. In Veneto e in Lombardia si respira “la prospettiva industriale tedesca mescolata alle prospettive Ue del Recovery, che nulla hanno a che fare con i difetti di ieri dell’Unione”.
Da qui una nuova visione anche europea che la Lega sta maturando, provando con quel sì a Draghi a farsi regista, potabile e credibile dinanzi alla platea internazionale: passaggio che, di contro, era stato il freno a mano nell’estate del 2019.
In secondo luogo c’è anche la carta legata alla credibilità: difficilmente con Draghi in sella, si dice, si potranno replicare i sorrisini che vennero elargiti da Francia e Germania nei confronti dell’allora guida italiana. Per cui, è la vulgata alla base della decisione finale, proprio perché il triveneto industriale ha bisogno di riaccendere i motori, non si può evitare di dare al partito e al suo leader una cornice di serietà e responsabilità.
PER COERENZA
Se fosse stato ancora in vita Pinuccio Tatarella, FdI avrebbe votato sì a Draghi? “Potremmo perdere anche dei voti – ammette a Formiche.net il senatore meloniano Giovanbattista Fazzolari – e lo metto nel conto, ma lo stiamo facendo secondo coerenza. E poi nulla ci vieta di votare i provvedimenti del futuro governo che riterremo utili al paese, così come abbiamo fatto con il Conte 2 quando si è trattato di fare quacosa di concreto per i ceti produttivi e per le professioni che hanno purtroppo subito la crisi pandemica”. Non scegliamo per un calcolo elettorale, puntualizza, “ma vorremmo sapere se il Draghi che ha vergato quell’intervento sul Financial Times circa il debito buono è lo stesso della lettera scritta nel 2011 con Trichet, conosciuta anche come lettera della BCE all’Italia”.
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