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Il governo Draghi è un’occasione d’oro per i partiti. Forlani spiega perché

La soluzione della crisi politica che si sta profilando potrebbe rappresentare un’inattesa occasione di superamento o, comunque, di raffreddamento di un clima di tensione e di conflittualità tra le maggiori forze politiche che si era spinto al di là dei normali valori cui dovrebbe conformarsi la dialettica tra maggioranza e opposizione in una moderna democrazia parlamentare europea

Una convergenza così ampia a sostegno di un nuovo esecutivo, qualificato da una guida di prestigio e autorevolezza universalmente riconosciuti, sembra destinata ad affievolire quelle contrapposizioni e pregiudiziali che, in questi anni, hanno avvelenato il confronto politico nel nostro Paese. E se i partiti che già hanno manifestato la disponibilità ad accordare la fiducia alla nuova squadra che verrà costituita dall’ex presidente della Bce fossero anche rappresentati all’interno del Consiglio dei ministri, con la diretta partecipazione di propri autorevoli esponenti, si rivelerebbe, forse, inevitabile una deriva verso una più convinta reciproca legittimazione tra quelle forze che fino ad ora si sono più fieramente contrapposte.

L’occasione offerta dalla formazione del governo di unità nazionale, guidato da Mario Draghi, potrebbe consentire, inoltre, un progressivo chiarimento all’interno delle forze politiche presenti nello scenario nazionale, tanto con riferimento a quelle comunemente e sbrigativamente definite come “populiste” (Lega e 5 Stelle), quanto a quelle che presentino caratteri più moderati e “sistemici” (Pd e Forza Italia, in particolare). Un’occasione, quindi, per mettere a fuoco le autentiche identità di questi partiti e cogliere il possibile approdo verso il quale debbano ora orientarsi. Una collaborazione condivisa al futuro governo Draghi, a fronte della duplice sfida sanitaria ed economica, potrà costituire, dunque, il banco di prova per verificare il fondamento e l’attualità di ragioni di contrasto così esasperate, in questi ultimi anni e favorire l’emersione di affinità e valori comuni che consentano di smussare gli angoli di un rinnovato confronto collaborativo, sia pure circoscritto nel tempo e legato alla presente fase emergenziale.

Per Matteo Salvini, in particolare, l’adesione alla nuova alleanza può costituire l’inizio di un nuovo percorso volto a scrollarsi di dosso questo marchio – utilizzato dagli avversari in senso dispregiativo – di “sovranista” e di “antieuropeista” e dimostrare, nei fatti, come, del resto, ha più volte dichiarato, che una posizione spesso critica verso le istituzioni e le decisioni comunitarie non equivale alla mancata condivisione del disegno di integrazione europea. Tra i 5 Stelle si è aperto, invece, un dibattito drammatico, la disponibilità di buona parte del gruppo dirigente verso il tentativo di Draghi innesca una crescente crisi di identità nel Movimento e profondi interrogativi sulla fedeltà dello stesso alle premesse degli albori. Sembra peraltro naturale che otto anni di attività parlamentare e due esperienze di partecipazione diretta all’esecutivo e a due alleanze di segno opposto abbiano prodotto delle evoluzioni, nulla resta immutato.

Del resto, una dissociazione tra l’anima governativa e istituzionale e quella dei “duri e puri”, fedeli alle impostazioni delle origini, potrebbe anche rivelarsi salutare, la chiarezza e la coerenza delle posizioni sono sempre preferibili all’equivoco e alla conflittualità interna. Ognuno potrà fare poi la sua parte, ma su fronti diversi. Un disagio di una certa rilevanza, ma meno lacerante, si registra anche all’interno del Pd. La coabitazione con la Lega, dopo anni di duri scontri, si rivela certamente indigesta, ma il monito del presidente Mattarella è stato chiaro, il nuovo governo deve prescindere dal perimetro della vecchia maggioranza che sosteneva il Conte bis e perseguire una più larga convergenza. E, in presenza di una aperta disponibilità di Salvini, un eventuale veto da parte del partito dalle cui file proviene il capo dello Stato comprometterebbe quel clima di ampia collaborazione costruttiva cui sembrano orientati tanto il presidente Mattarella, quanto il presidente del Consiglio incaricato.

Anche per il Pd si pone, quindi, sia pure in misura minore rispetto ai 5 Stelle, l’esigenza di ridefinire, di mettere a punto la propria identità, a fronte di questo ulteriore ed imprevisto sforzo di adattamento al dialogo con culture diverse e lontane che la partecipazione al nuovo governo richiede. Il partito guidato da Nicola Zingaretti deve trovare finalmente una sintesi più credibile e definita tra le due anime prevalenti, dalle quali, a suo tempo, è nato: quella popolare e democratico-cristiana e quella di radice marxista, passata poi attraverso l’esperienza dei democratici di sinistra. Una sintesi più avanzata che potrebbe costituire, peraltro, il presupposto delle future scelte di alleanza, necessarie ai fini di rendere il partito competitivo sul piano elettorale. A questo fine, il segretario Zingaretti sta cercando, da oltre un anno, di consolidare l’alleanza Pd-5 Stelle, affinché da coalizione occasionale si evolva verso un’intesa contrassegnata da comune convinzione e da una chiara strategia a lungo termine.

Ma, anche ai fini di verificare le potenzialità di successo e di tenuta di questa alleanza, banco di prova potrà rivelarsi proprio la concreta esperienza del nuovo governo di larghe intese. Resteranno coesi i 5 Stelle? Riusciranno a superare uniti le lacerazioni di questi giorni?

E se dovesse prevalere, al loro interno, la componente nostalgica dell’era dell’antipolitica, diffidente verso il tentativo di Draghi, il Pd dovrebbe aprire nuovi fronti di interlocuzione, ai fini di realizzare una diversa alleanza e magari guardare al centro, ritrovando un dialogo con l’ex “rottamatore”, quel senatore di Rignano, oggi un po’ inviso per aver provocato la crisi del governo giallorosso. E potrebbe rivolgersi anche verso il centro e verso Forza Italia, favorito in questo dalla coabitazione nella maggioranza che voterà la fiducia al nuovo governo. Quest’ultimo, in definitiva, oltre a costituire un’ancora di salvezza per affrontare la crisi pandemica e una garanzia per l’intensificazione della solidarietà europea e la corretta e produttiva utilizzazione dei fondi stanziati, potrebbe consentire un sussulto di chiarimento interno alle forze politiche, ai fini di mettere a fuoco, definire e aggiornare identità, affinità e propositi, per costruire nuove alleanze meno ibride, meno incerte, non più indotte a stare insieme dallo spauracchio di elezioni imminenti o di un “nemico” comune, ma fondate su precise convinzioni e autentiche affinità.

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