Skip to main content

Un governo c’è, ma mancano i partiti. La riflessione di D’Ambrosio

Il metodo democratico non è un optional: è fatto di tesseramento reale, sedi a ogni livello, dibattito, congressi votazioni ed elezioni interne, strumenti di controllo politico ed etico, gruppi di elaborazione politica, centri studi, capacità di stare nell’opposizione interna e costruire, senza uscire per fondare l’ennesimo partitino. Ci mancano partiti di questo tipo. La riflessione di Rocco D’Ambrosio, presbitero della diocesi di Bari, ordinario di Filosofia Politica nella facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana di Roma

Avremo notevoli difficoltà a spiegare ad amici europei come stia in piedi questo governo, con anime così diverse e contrapposte, con avversari che qui siedono allo stesso tavolo e in Europa frequentano compagini diverse. Però, visto che tutto si giudica non solo sulla base delle intenzioni ma anche della prassi, dobbiamo aspettare di vedere i frutti. Intanto il governo è fatto e qualche considerazione si può già esprimere, specie sulla scia delle prime notizie: “Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha aperto il Cdm con un discorso sulle priorità dell’esecutivo partendo da un presupposto – raccontano diversi partecipanti alla riunione – che una di queste priorità sarà quella di ‘mettere in sicurezza il Paese’, anche grazie al lavoro di una squadra coesa e senza ‘interessi di parte'” (Ansa).

Il governo, quindi, nasce per la sicurezza del Paese, sulla cui necessità solo uno sciocco potrebbe obiettare e il discorso di Mattarella, dopo l’incarico a Fico, è stato inequivocabile, di grande spessore politico ed etico. E questa base fondata richiede personalità marcate, intenzioni precise, disponibilità al dialogo, volontà di lavorare, con scienza e coscienza, per il bene del Paese. È lo stesso Draghi a ricordare che il nemico sono gli “interessi di parte”. Di questi – sappiamo bene – ne esistono di due tipi: quelli leciti e quelli illeciti, che si intrecciano in maniera non sempre chiara ed evidente. La politica è amministrazione di risorse da finalizzare al bene pubblico, di tutte le persone e di tutti i gruppi. Questo lo sappiamo: ce lo insegna la Costituzione, la fede cristiana per chi ci crede. Ma la vigilanza sugli interessi di parte ora deve essere più forte che mai. Per diversi motivi: la quantità straordinaria di denaro che si sta amministrando e il tarlo della corruzione che, specie dagli anni ’80 in poi, colpisce pesantemente molte istituzioni e gruppi. E poi, soprattutto, la grave crisi che investe i partiti politici.

Dalla dissoluzione dei grandi partiti – come la Dc, il Pci e il Psi per citare i maggiori – le formazioni politiche sono entrate in una crisi che le ha portate ad essere poco rappresentative del Paese reale, scarsamente capaci di elaborare programmi di spessore e frequentemente irretite da corruzione e criminalità organizzata. I ministeri più importanti del governo Draghi sono affidati a cosiddetti tecnici e questo la dice lunga. I partiti italiani sono al lumicino perché hanno smesso di fare politica e hanno adorato il dio minore del consenso per conquistare il dio maggiore del potere (e del denaro, nella parte relativa agli interessi non leciti).

La classe politica comunale e regionale, in media, penso che sia migliore di quella nazionale. I partiti nazionali sono per lo più lontani dal Paese e ripiegati su se stessi. Difendono una legge elettorale anticostituzionale per cui poche persone (i cosiddetti leader, i cui nomi hanno spesso affiancato i simboli dei partiti) “nominano” il Parlamento e determinano le scelte di un Paese, dettano la linea politica e mortificano l’opposizione interna. Anche i due esperimenti italiani, che dovevano proporre un nuovo modello di partito e, quindi, di catalizzatore di consensi e di rappresentanza politica, come il partito-azienda di Berlusconi e il movimento di Grillo e dei Casaleggio, sono entrati in crisi per carenza di democraticità interna, leadership invasive, creazioni di corti, centralizzazione delle scelte. E la tristezza è che gli altri partiti, chi più chi meno, invece di combattere queste derive le hanno imitate.

La Costituzione afferma: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49). Il metodo democratico non è un optional: è fatto di tesseramento reale, sedi a ogni livello, dibattito, congressi votazioni ed elezioni interne (fisiche non su piattaforma, per giunta non certificata), strumenti di controllo politico ed etico, gruppi di elaborazione politica, centri studi (per studiare di più e presenziare meno i social), capacità di stare nell’opposizione interna e costruire, senza uscire per fondare l’ennesimo partitino. Ci mancano partiti di questo tipo. E, in quest’ottica, il governo Draghi non è normalità per la nostra Repubblica, ma solo una necessità per non farla crollare, nel periodo più grave della sua storia.

Ascoltare le parti sociali durante le consultazioni (la seconda volta nella nostra storia repubblicana) è un segno importante di ascolto del Paese reale e delle sue sofferenze e dei suoi sogni. Sì, i sogni! Sappiamo che ce ne sono di due tipi: quelli utopici, irrealizzabili, spesso populisti e demagogici, dannosi e quelli che sono forza interiore e intellettuale, capace di disegnare percorsi politici realizzabili.

Da decenni questa classe dirigente, politica o tecnica che sia, non ci fa più sognare perché pensa poco, ama poco e si piega poco sui dolori di questo Paese, è molto nel Palazzo e poco tra i cittadini. “Com’è importante sognare insieme! Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è; i sogni si costruiscono insieme” (Francesco, Fratelli tutti, 8).



×

Iscriviti alla newsletter