Il governatore ligure Toti si attiverà con parlamento e governo affinché l’Italia metta al bando Hezbollah superando la distinzione (negata persino dall’organizzazione filo-iraniana) tra l’ala politica e quella militare. Il nostro Paese è al centro della rete terroristica del gruppo e ora la Liguria punta a un fronte delle Regioni del Nord per chiedere a Roma di agire in fretta. Plaude l’ambasciata israeliana
Oggi il Consiglio regionale della Liguria ha approvato (18 favorevoli, 11 astenuti) l’ordine del giorno per il riconoscimento di Hezbollah come organizzazione terroristica nel suo complesso presentato dal consigliere Angelo Vaccarezza e da altri esponenti del partito Cambiamo! del governatore Giovanni Toti. Il documento impegna il presidente della Regione Liguria ad “attivarsi nelle sedi opportune, presso il parlamento e il governo, per fare in modo che anche l’Italia, come già fatto in ambito europeo da Germania, Paesi Bassi, Gran Bretagna e Austria, dichiari ufficialmente Hezbollah come ‘organizzazione terroristica’ nella sua interezza”. La decisione ha incassato il plauso dell’ambasciata israeliana a Roma, con l’ambasciatore Dror Eydar che ha ringraziato il governatore Toti e il consigliere Vaccarezza attraverso una nota.
Toti potrebbe portare la proposta già nella prossima Conferenza Stato-Regioni cercando il sostegno delle altre Regioni guidate dal centrodestra (ma non soltanto). Negli ultimi mesi qualcosa di sta muovendo in Europa, dopo la decisione tedesca di mettere al bando l’intera organizzazione sciita libanese ma vicinissima all’Iran. E il Consiglio regionale ligure vuole portare questo cambiamenti anche in Italia.
L’obiettivo è superare la distinzione tra l’ala politica e quella militare e così “interrompere questi metodi di finanziamento” (cioè attività criminali come traffico di droga, armi, riciclaggio e hackeraggio) “che sostengono l’intera organizzazione”, si legge nell’ordine del giorno. Si tratta di distinzione artificiosa, sfruttata da diversi Paesi occidentali per mantenere una certa ambiguità, ma negata nelle parole e nei fatti dalla stessa organizzazione: nel 2012 il vicesegretario generale di Hezbollah, Naim Qassem, dichiarò che “non abbiamo un’ala militare e una politica”; e molte figure, come l’ex segretario generale Abbas Al Musawai, hanno fatto carriera sul campo prima di raggiungere i vertici politici.
Quello europeo è un terreno su cui gli operativi di Hezbollah si muovono con grande intensità. Basti pensare all’attentato suicida contro i turisti israeliani avvenuto nel 2012 a Burgas, in Bulgaria, sotto la regia dell’organizzazione. E non è un caso isolato. Hossam Taleb Yaacoub (doppia cittadinanza: libanese e svedese), “corriere” di Hezbollah, è stato condannato a Cipro nel 2013 per aver pianificato un attentato simile a quello di Burgas su suolo cipriota. Un altro operativo di Hezbollah, Hussein Bassam Abdallah (doppia cittadinanza: libanese e canadese), è stato condannato sempre a Cipro nel 2015 in relazione al ritrovamento di 8,2 tonnellate nitrato di ammonio (lo stesso fertilizzante-esplosivo che l’estate scorsa ha causato la distruzione del porto di Beirut). Tre tonnellate dello stesso materiale dual-use sono state ritrovate, sempre nel 2015, in depositi a Londra controllati da uomini vicini a Hezbollah. E, stando a quanto rivelato a settembre dall’ambasciatore Nathan Sales, capo dell’antiterrorismo al dipartimento di Stato americano, dal 2012 “Hezbollah ha spostato attraverso il Belgio grandi scorte di nitrato di ammonio, utilizzato per fabbricare bombe, in Francia, Grecia, Italia, Spagna e Svizzera”.
A queste attività terroristiche vanno aggiunte quelle finanziarie, che negli ultimi anni hanno portato l’Office of Foreign Assets Control del dipartimento del Tesoro statunitense a imporre un’ampia gamma di sanzioni su individui, società e banche legati a Hezbollah. È quella strategia della “massima pressione” che l’amministrazione di Donald Trump ha imposto sull’Iran e sui suoi proxy, che ha reso più difficile per Teheran finanziare le attività di Hezbollah, che dipende dall’Iran per circa il 70% del suo “bilancio”.
Il restante 30% del “bilancio” Hezbollah, che ammonta a circa un miliardo di dollari all’anno, proviene da quelle che vengono definite “fonti indipendenti”: attività criminali nel mondo. L’organizzazione, infatti, non opera soltanto in Libano e nel Medio Oriente ma anche in Europa (come sopra detto) e in Sud America, dov’è molto attiva nel traffico di stupefacenti per esempio. A dimostrarlo ci sono non soltato le 14 tonnellate di droga Captagon ritrovate e bruciate nel nostro Paese che apparterrebbero proprio a Hezbollah (che ha smentito) ma anche il coinvolgimento, di cui c’è ampia documentazione sulla stampa internazionale, nel mercato della droga in America Latina, in particolare nei pressi della triplice frontiera tra Argentina, Brasile e Paraguay.
Ma non è tutto. Proprio per via della “massima pressione” sull’Iran, Hezbollah in questi ultimi tempi ha aumentato i suoi sforzi per rafforzare una fonte di entrate: le donazioni che prevengono dalle comunità sciite nel mondo, che superano anch’esse la distinzione tra l’ala politica e quella militare. E che si accompagnano a un altro fenomeno: la costruzione di quelle che possiamo definire infrastrutture del terrorismo come testimoniano gli episodi sopracitati.
Per questo, Hezbollah ha un’unità d’élite, l’Organizzazione per la sicurezza esterna (External Security Organisation, Eso, nota anche come Unit 910 o Organizzazione della jihad islamica). Il suo principale obiettivo è la distruzione di Israele ma opera in molti Paesi del mondo proprio per costruire quelle infrastrutture del terrore (compresa la gestione dei depositi di nitrato d’ammonio in Europa) che Hassan Nasrallah, segretario generale di Hezbollah, può attivare da Beirut. La Eso ha organizzato l’attentato contro l’Associazione mutualità israelita argentina di Buenos Aires del 1994 in cui morirono 85 persone. Ma anche quello di due anni prima contro l’ambasciata israeliana sempre a Buenos Aires in cui persero la vita 25 cittadini argentini e quattro israeliani (oltre all’attentatore suicida).
Inoltre, Hezbollah può contare su un Dipartimento relazioni esterne (Foreign Relations Department, Frd), il cui compito è mantenere i rapporti con le comunità sciite nel globali, diffondere l’ideologia di Hezbollah e raccogliere fondi. Ma grazie a questi contatti, la Frd opera assieme alla Eso per reclutare operativi e possibili attentatori. E il numero uno del dipartimento, Khalil Rizk, è stato a Roma nel gennaio 2019 su invito dell’Associazione Onlus italo-araba Assadakah. Nel corso del suo soggiorno nella capitale ha visitato il Centro Islamico Imam Mahdi e incontrato, tra gli altri, l’ambasciatore libanese in Italia Mira Dahir.
Qualcosa sta cambiando, dicevamo. Dal giugno 2013, in seguito all’attentato in Bulgaria, l’Unione europea ha inserito, su proposta britannica, la sola componente militare di Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche. Tuttavia, Hezbollah continua a operare con discreta sicurezza di sé su suolo europeo a giudicare da ciò che è capitato dopo: per esempio la pianificazione di un attentato a Cipro nel 2015, i traffici di nitrato di ammonio o anche, in Italia, l’indagine Araba Fenice, anch’essa datata 2015, coordinata dal pm Antonio Rinaudo a cui collaborarono l’Fbi e l’Europol, su un giro di riciclaggio di denaro per Hezbollah (una movimentazione di capitali pari a 70 milioni di euro, in entrata e in uscita) in Piemonte, Liguria e Toscana.
Ma nell’aprile dell’anno scorso la Germania ha deciso di mettere al bando l’intera Hezbollah seguendo quanto fatto da Regno Unito, Lituania e Paesi Bassi in Europa (e da Lega Araba, Israele, Stati Uniti, Canada e diversi Paesi dell’America Latina, in cui è stata l’Argentina a indicare la vista). Alla scelta tedesca sono seguite, nel solo 2020, quelle simili di Austria, Lituania, Repubblica Ceca, Slovenia, Serbia ed Estonia (quest’ultima ha vietato l’ingresso nel Paese ai membri di Hezbollah). Si è mossa persino la “neutrale” Svizzera: a settembre il Parlamento ha chiesto al governo di avviare un’analisi delle attività di Hezbollah per avviare il processo che porterà al ban dell’organizzazione.
E l’Italia, diventata crocevia di spie e traffici illeciti, che cosa aspetta? Il tema è stato sempre al centro dei colloqui tra Roma e Gerusalemme ma anche tra Roma e Washington durante l’amministrazione di Donald Trump. E lo sarà, anche se con minor intensità da parte statunitense, con Joe Biden e il suo segretario di Stato Antony Blinken, che portato nella sua azioni politica gli insegnamenti del patrigno sopravvissuto all’Olocausto.
Spesso la politica italiana sottolinea il ruolo del nostro Paese in Unifil, la missione delle Nazioni Unite in Libano che guidiamo per la quarta volta dall’agosto 2018 con il generale Stefano Del Col. Mettere al bando l’intera Hezbollah potrebbe mettere a rischio i nostri uomini, i nostri contatti con il governo libanese e la nostra sicurezza interna, è il timore. Ma per seguire senza paure la via indicata da Berlino è sufficiente guardare a ciò che (non) è accaduto proprio alla Germania, Paese che partecipa alla missione Unifil (dal 15 gennaio guida addirittura la Maritime Task Force). Che continua ad avere importanti relazioni con il Libano e con il Parlamento libanese (in cui Hezbollah occupa su 13 seggi su 120), come dimostrato dalla visita ad agosto del ministro degli Esteri Heiko Maas a pochi giorni dall’esplosione nel porto di Beirut. E in cui la minoranza musulmana è molto forte e presente.
Dunque, se non ora, quando?