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Il golpe in Myanmar è un nuovo 11 settembre (cileno)

Santiago, Kabul, Varsavia. Il golpe in Myanmar, con l’arresto del Premio Nobel Aung San Suu Kyi e migliaia di militari scesi in strada, fa riaffiorare le pagine più buie del ‘900. Ma in Europa e Italia troppi rimangono in silenzio. Il commento di Marco Mayer

Da quando ho saputo del colpo di stato in Birmania non riesco a togliermi dalla testa la data dell’11 settembre. Non parlo dell’undici settembre 2001 (quando a New York i terroristi di Al Quaeda hanno distrutto le torri gemelle), ma di un altro 11 settembre, quello del 1973, quando a Santiago le forze armate presero il potere nel Cile guidato da Salvador Allende.

Oltre all’assalto del palazzo della Moneda di Santiago e alla morte del Presidente Allende, il golpe di Yangon (con l’arresto del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi e dei principali esponenti del governo birmano) mi ha riportato alla mente altri casi di golpe in cui il rovesciamento violento del potere ha segnato la storia del secondo novecento e pesa ancora oggi drammaticamente in alcune aree di crisi.

In Afghanistan sono passati più di 40 anni dal golpe del 28 aprile 1978 quando il governo fu rovesciato con la forza. Quel giorno i militari assalirono il palazzo del governo e uccisero Mohammed Daud Khan, capo del Partito Nazionale Rivoluzionario dell’Afghanistan, il leader che aveva abolito la monarchia afghana. Dopo una serie di tensioni il golpe aprì la strada all’invasione militare dell’Armata Rossa del 26 dicembre 1979.

Un altro golpe destinato ad entrare nella storia è quello in Polonia. Di fronte alle proteste operaie nelle fabbriche e nei cantieri di Danzica e soprattutto alla crescita esponenziale delle proteste di Solidarnosc (movimento politico di matrice cattolica) il 3 dicembre 1981 il Generale Wojciech Jaruzelsky forma una giunta militare e decreta lo stato di assedio destinato a durare sino al 22 luglio del 1983.

A neppure 24 ore dal golpe di Yangoon è impossibile valutarne le conseguenze. Ma ho voluto richiamare all’attenzione dei lettori di Formiche.net e soprattutto della classe politica italiana le tragiche vicende di Santiago, Kabul e Vasarvia per lanciare un monito.

I fatti che ho richiamato sin qui costituiscono episodi cruciali della guerra fredda, del bipolarismo Usa/Urss, della divisione tra mondo libero e regimi autoritari. Certo, molta acqua è passata sotto i ponti. Ma non è un caso se le immagini e i filmati di Yangon piena di soldati e di mezzi militari mi abbiano riportato alla mente i colpi di stato di Santiago, Kabul e Varsavia.

É senz’altro vero che le analogie intuitive (come peraltro le associazioni di idee) hanno un valore euristico limitato, ma – per parafrasare John Locke – esse sono preziose fonti di ispirazione per la ricerca della verità fondata sull’esperienza.

Quando la politica italiana condanna il colpo di stato in Birmania tutti devono guardarsi allo specchio e non dimenticare che siamo entrati nuovamente in una fase storica di carattere bipolare, tra Stati Uniti e Cina.

Per fortuna il mondo resta variegato e non si riduce soltanto alla competizione di due grandi potenze economiche e militari. Tuttavia non c’è spazio per l’equidistanza. L’europeismo non è una foglia di fico (o di Fico che dir si voglia).

Da una parte governano le ferree logiche del totalitarismo, dall’altra i valori della democrazia e delle libertà. Basta leggere i commenti ufficiali delle autorità cinesi al colpo di stato in Birmania per capire da che parte stare. Cosa pensa Giuseppe Conte dell’arresto di Aung San Suu Kyi, di ciò che avviene in Russia, della repressione di Hong Kong, del totalitarismo digitale di Pechino? A buon intenditor poche parole.

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