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Il Movimento alla fine appoggerà Draghi. De Masi spiega perché

Il docente emerito della Sapienza analizza le spaccature nell’ambito del Movimento 5 Stelle. Da barricadero a partito di sistema, il percorso è (quasi) compiuto. L’esempio lampante di questa maturazione? Luigi Di Maio”

“Credo che la figura di Mario Draghi non crei problemi solo al Movimento 5 Stelle. Gli unici a reputarlo oro colato sono il Pd e Forza Italia”. Il monito di Domenico De Masi, professore emerito di sociologia del lavoro all’università ‘La Sapienza’ suona come un campanello d’allarme. Il giro di consultazioni per trovare una configurazione governativa solida, secondo De Masi, rischia di partire azzoppata. “Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia – dice – ha dichiarato l’astensione di Fratelli d’Italia e, Matteo Salvini, si trova il un cul de sac: osserva guardingo, proiettato al voto anticipato”.

Ben consapevole, dice il docente, “che sostenere Draghi per lui significherebbe ritardare di due anni il voto con la possibile conseguenza di assottigliare ulteriormente un consenso già molto meno folto rispetto al periodo precedente la pandemia”. Ma torniamo ai grillini. “E’ evidente – riprende – che il Movimento 5 Stelle abbia più problemi di altri partiti a convergere su Mario Draghi per una serie di motivi a partire, ad esempio, dal fatto che l’arrivo dell’ex vertice della Bce ha coinciso con la destituzione del loro premier”.

Non solo. Non va dimenticato che quando ci si addentra nella galassia dei 5 Stelle, ci si avventura in un ginepraio in cui le correnti di pensieri, seppur mal viste, ci sono. Le due anime, in questa fase, sono emerse in maniera lampante e hanno inchiodato il Movimento ad una scelta. Un bivio fondamentale “anche per il futuro del movimento stesso”. Draghi rappresenta, seppur in modo prestigioso e riconosciuto a livello internazionale, “una visione neoliberista a cui i 5 Stelle sono sempre stati avversi. Per lui non sarebbero concepibili misure come il reddito di cittadinanza, la riduzione dell’orario lavorativo e il welfare in generale”. Il rischio è che con l’appoggio al banchiere “il Movimento si veda erodere un’altra consistente fetta di elettorato”.

In più, a De Masi non sfugge che l’ala dibattistiana, in queste ore più che mai, rumoreggia pesantemente. Questo aspetto però, secondo lui, si ricollega a un problema più profondo che attanaglia il Movimento: il processo di trasformazione da schieramento d’impronta movimentista a partito. Magari di Governo. Sicuramente di sistema. Con buona pace delle dichiarazioni d’intenti accolte da piazze sguaiate, che hanno benedetto gli albori di una rivoluzione abortita.

“Nel percorso di trasformazione da movimento a partito – spiega De Masi, che ha anche curato un saggio su questo tema nell’imminenza degli Stati Generali – ci sono elementi all’interno dei 5 Stelle che senza dubbio hanno fatto passi avanti. Direi che quelli che hanno fatto esperienze di Governo hanno virato su posizioni europeiste, antipopuliste, filo sindacali e hanno soprattutto allargato il ventaglio dei ragionamenti sulla geopolitica internazionale. L’esempio lampante di questa maturazione è Luigi Di Maio”.

Quindi questa, secondo De Masi, è la parte grillina più istituzionalizzata. E quella che, probabilmente, “per evitare di cedere quartiere alla destra, appoggerà Draghi: prevarrà la linea del ministro degli Esteri”. O quantomeno “non voterà contro di lui”. Sì perché, in fondo, c’è ancora chi coltiva nei meandri più reconditi dei giochi di palazzo, il desiderio “di un ritorno di Conte. Sebbene sia un’ipotesi alquanto improbabile”. Eppure anche il docente, per Conte, nutre ammirazione e stima.

“Mi ha sorpreso vedere una persona catapultata dalla sua professione alla politica, uscire da un G8 dopo soli 12 giorni dall’incarico, non prima di aver intessuto ottimi rapporti con i Capi di Stato delle principali potenze mondiali”. Indiscutibili, a detta del cattedratico, le doti di Conte nell’ambito delle trattative europee. “Per ottenere i 209 miliardi – rimarca De Masi – il premier ha lavorato egregiamente, di concerto col ministro Gualtieri”.

Tanto che, dice il professore, “fossi in Draghi chiamerei Conte e Gualtieri tutti i giorni”. E Renzi? “E’ una persona che ha avuto molte delusioni nella sua vita – così il docente – e come tutti i giovani delusi, è molto pericoloso: qualsiasi Governo nel quale i renziani contano ma Renzi non è il Premier è un Esecutivo debole”.

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