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Il Recovery Plan è (anche) questione di contabilità. L’analisi di Balducci

Un errore imputare solo ai politici del passato governo gialloverde il fatto che ancora l’Italia non sia stata in grado di mettere a punto un piano nazionale di Recovery e resilience (Pnr) adeguato. Temiamo che il problema risieda soprattutto nella tecnostruttura di supporto ai vertici politici, cioè a dire nella macchina amministrativa. L’analisi di Massimo Balducci

Non pensiamo che sia da imputare solo ai politici del passato governo gialloverde il fatto che ancora l’Italia non sia stata in grado di mettere a punto un piano nazionale di recovery e resilience (Pnr) adeguato. Temiamo che il problema risieda soprattutto nella tecnostruttura di supporto ai vertici politici, cioè a dire nella macchina amministrativa.

Non possiamo fare a meno di rimarcare che il dlgs 91 del 2011 è ancora lungi dall’essere realmente messo in opera. Per chi ne avesse perso la memoria, il dlgs 91/2011 è lo strumento di implementazione al livello della amministrazione centrale dello Stato della contabilità per missioni. Rammentiamo rapidamente che questo significa articolare la spesa non tanto per la natura di quello che compero ma per la destinazione per cui realizzo la spesa. Non stanzio soldi per comperare pisellini, carote e merluzzi ma per erogare un certo numero di pasti contenenti un tot di calorie, proteine, vitamine etc.

Oppure che non stanzio denari per comperare antibiotici, epatoprotettori, cortisonici e disinfettanti ma per realizzare interventi di appendicectomia o di inserimento di pace makers cardiaci. Importante è notare che le spese per il personale non possono, nel piano dei conti per missioni, far parte di una voce di spesa a sé stante ma devono rientrare nelle varie missioni. Il costo del pasto, così come quello dell’intervento chirurgico, è determinato anche dal costo uomo.

A questo passaggio, previsto dalla legge 42 del 2009, è stata data formale esecuzione con il citato Dlgs 91/2011, che però è rimasto a tutt’oggi lettera morta. Alla nostra Ragioneria sembra infatti che ancora concepiscano la spesa per il personale come una spesa a corpo non derivabile dalle necessità delle singole missioni. Quando si lavora per natura della spesa e non per missioni il muro maestro è rappresentato dallo stanziamento.

Tutta l’attività è determinata dallo stanziamento. Ma le cifre stanziate non sono frutto di un’analisi quantitativa basata sulla previsione dei costi a sua volta basa su uno studio di fattibilità degli obiettivi delle singole missioni- ma di scelte politiche motivate dalla scala di priorità del livello decisionale politico. Esemplare è il modo di gestire le risorse del fondo sociale Ue. Anziché usare queste risorse per mettere in piedi un sistema di formazione simile a quelli del nord Europa (cui si ispira il progetto Eu Esco) le regioni si sono limitate a finanziare quei corsi proposti da agenzie formative in grado di portare un numero sufficiente di iscritti. Non c’è da meravigliarsi se poteva capitare di finanziare corsi per “direttori d’orchestra” da realizzarsi sul Monte Amiata.

Il Pnrr messo a punto dal governo giallo-verde risponde proprio a queste caratteristiche. Su l’Avvenire del 5 febbraio Giuseppe Pennisi ricorda che Draghi, nel periodo passato alla Banca Mondiale (dal 1984 al ’90), collaborò alla definizione concettuale ed operativa dei “programmi di riassetto strutturale”. Ricorda Pennisi che Il “Next Generation Eu” e, nel suo ambito, la “Resilience and Recovery Facility” hanno a loro modello il finanziamento di “programmi di riassetto strutturale”.

I programmi di riassetto strutturale erano stati proposti da una commissione presieduta da Willy Brandt, il quale, rammenta sempre Pennisi, aveva evidenziato che, per promuovere la crescita, in molti casi non sarebbe bastato finanziare dei progetti ma sarebbe stato necessario promuovere delle riforme strutturali. Oltre che finanziare progetti si sarebbero dovute promuovere riforme, così come fa la Commissione Ue nel Next Generation Eu.

Qui va rammentata l’esperienza del piano Marshall che aveva accompagnato gli aiuti finanziari con una poderosa attività di capacity building. La promozione delle riforme fatta dalla Commissione manca della gamba del capacity building. Sono sicuro che il nuovo governo saprà reperire nell’ambito della varie ramificazioni della nostra amministrazioni quelle professionalità necessarie per mettere a punto un Pnrr orientato a obiettivi chiaramente definiti e declinati in tappe altrettanto chiare. Anche se il lavoro richiederà molta creatività, dal momento che la nostra amministrazione non ha sin qui accumulato i dati in grado di produrre le informazioni necessarie per mettere in piedi un PNRR tecnicamente accettabile.

Il problema si ripresenterà in maniera più drammatica al momento dell’implementazione. Le risorse della Resilience and Recovery Facility (calcolate secondo dei parametri fissi e non abilmente negoziate dal governo gialloverde – la Resilience and Recovery Facility non è stata creata per aiutare i paesi più colpiti dalla pandemia ma per dare un impulso alla ripartenza dopo la crisi di tutta la Ue) verranno erogate a stato di avanzamento lavori. Questo significa che il rischio di vedersi sfumare buona parte dei mitici 209 miliardi di euro è molto alto così come di fatto non siamo in grado di spendere più del 30% dei fondi strutturali che ci spetterebbero e che vengono suddivisi, come delle spoglie sul campo di battaglia dell’incompetenza, tra gli altri eligible Member States (Polonia in testa).

Qui si tratta di imparare a cavalcare la tigre mentre corre. In parole povere si tratta di modernizzare l’amministrazione in corso d’opera, mentre spende i soldi destinati al nostro sviluppo e, in prima linea (anche se non quantitativamente di prima grandezza) a modernizzare il meccanismo amministrativo che realizza la spesa stessa.
Due suggerimenti vengono in mente a questo punto.

Il primo suggerimento riguarda il meccanismo gestore delle risorse. Questo meccanismo non può essere la macchina che in via prioritaria deve essere modificata. Tra le tante proposte fatte (cabina di regia, Cipe etc.) appare interessante quella avanzata dal presidente Prodi. Prodi (che ha una ottima conoscenza sia dell’amministrazione italiana che del meccanismo Ue) ha proposto una agenzia.

L’agenzia potrebbe reperire, nell’amministrazione stessa ma anche all’esterno dell’amministrazione, le capacità operative oggi assenti nella Pubblica Amministrazione e far leva su di esse, sia per spendere le risorse sia per modernizzare l’amministrazione spendendo le risorse. Una agenzia, cioè l’agente nella apposita teoria, presuppone un principal, in nome del quale l’agenzia opera. Orbene occorre fare attenzione. Molte delle competenze in cui si estrinsecherà il Next Generation EU sono regionali. Qui non è il luogo di rimpiangere lo stato accentrato perché il decentramento degli anno 70-90 non ha visto protagonista solo l’Italia ma l’intero mondo occidentale.

Tale decentramento non è una moda ma una risposta a problemi concreti, dal momento che l’incremento delle funzioni dello Stato (che, alla funzione tradizionale di garante della legalità e dell’ordine pubblica, aveva aggiunto quella di fornitore di servizi) ha richiesto giocoforza lo spostamento verso la periferia di molte decisioni, ad evitare che il centro diventasse un collo di bottiglia. Bisogna prendere atto di questo fatto e gestirlo. Concretamente è necessario che il principale dell’agenzia ipoteticamente chiamata a gestire i fondi Ue sia la Conferenza Stato-Regioni o che, comunque, la Conferenza Stato Regioni faccia parte del board del principale.

Il processo di riforma della contabilità pubblica attivato dalla legge 42/90 ha portato anche alla uniformizzazione della contabilità pubblica attraverso tutte le amministrazioni e i livelli di governo, uniformizzazione realizzata attraverso la riforma costituzionale dell’art. 81 (cfr. Rendre des comptes pour rendre compte: l’évolution de la comptabilité des collectivitéslocales en Italie, Revue Française d’Administration Publique, 2016, n° 160, pages 1079-1092).

Ma tale uniformizzazione è stata realizzata solo in parte, sostanzialmente a livello formale. L’occasione potrebbe essere quella giusta per spingere la modernizzazione reale della contabilità e, attraverso la contabilità, la modernizzazione dell’intero approccio gestionale delle varie branche delle nostre pubbliche amministrazioni. Il secondo suggerimento riguarda il fatto che, con tutta probabilità, anche una agenzia di professionisti molto competenti potrebbe trovarsi di fronte a grandi difficoltà ad affrontare il problema della modernizzazione della nostra amministrazione.

Fare appello all’aiuto di partners europei non mi sembra affatto disdicevole. Non penso tanto alla Ue quanto al Consiglio d’Europa e alla sua ultradecennale esperienza maturata nei processi di peers review grazie ai quali riesce a far emergere nelle amministrazioni che affianca le esperienze positive e a favorirne la generalizzazione. E di esperienze positive nelle amministrazioni italiane ce ne sono (Inps, Inail, Comune di Prato, Comune di Bologna etc.).


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