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Iran, da Israele la porta è chiusa. Dentice spiega perché

Israele non intende intraprendere alcuna forma di contatto con l’Iran. La posizione è condivisa da tutte le forze politiche, con poche sfumature, e trova consenso nelle strutture (che si contendono le trattative con gli Usa) e nell’attuale e nel futuro governo. Per ora la porta è chiusa, spiega Dentice (CeSI) a Formiche.net

Il tema del nucleare iraniano è stato uno dei vari affrontati nella tanto attesa telefonata tra il presidente Usa, Joe Biden, e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu arrivata, non senza polemiche, a settimane dall’insediamento del primo nello Studio Ovale. La questione è scottante per Tel Aviv, visto l’inimicizia con Teheran e visti i rapporti con gli Usa, attuali e futuri. Anche per questo Washington ha tenuto l’alleato comunque informato in anticipo sulle mosse che intende intraprendere con l’Iran.

Su Axios, l’informatissimo giornalista israeliano Barack Ravid racconta che nell’apparato di intelligence israeliano c’è una competizione tra Mossad e Shin Bet per l’esclusiva nel trattare – al ribasso – il dossier Iran con gli Stati Uniti, sintomo di come la questione riguardi anche le potentissime strutture interne allo stato ebraico. Questione che si allarga chiaramente allo scenario politico, come dimostra Michal Shir Segman – fondatrice e candidata del partito New Hope – in un’intervista esclusiva concessa a Sara Ibrahimi Zijno per l’Osservatorio sul Mediterraneo Allargato della Lumsa.

“L’Iran, e un Iran nucleare, è una minaccia per il mondo intero. [… Per questo] non crediamo che gli Stati Uniti debbano tornare al Jcpoa così com’era”, dice Shir Segman, leader di un partito che dovrebbe chiudere le elezioni del 23 marzo con un alto numero di seggi (stando ad alcuni sondaggi, forse il secondo partito dopo il Likud di Netanyahu, di cui è concorrente). L’idea di non avere nessun genere di apertura nei confronti della Repubblica islamica è una caratteristica comune, sebbene con alcune sfumature, di tutti i partiti israeliani in questo momento, spiega Giuseppe Dentice, Head del Mena Desk del CeSI.

“Ci sono soggetti politici più moderati che prendono in considerazione la possibilità di intavolare un colloquio con Teheran in futuro, ma sono sfumature: sostanzialmente in questo momento nessuno in Israele considera l’Iran come un interlocutore affidabile, e immagino per questo che poco cambierà con il nuovo governo che uscirà dalle urne tra un mese”, commenta Dentice con Formiche.net.

La posizione di Israele è un elemento molto interessante in questa fase di approccio negoziale attorno al dossier nucleare, ossia al rientro degli Stati Uniti nell’accordo Jcpoa per il congelamento del programma atomico di Teheran. “Il governo israeliano si è espresso ufficialmente sia prima dell’insediamento di Joe Biden, sia nella fase di transizione, sia dopo, seguendo una costante: non c’è un’ipotesi di accordo con l’Iran, perché non è convinto della buona fede di Teheran”, aggiunge l’esperto del CeSI.

Israele teme che l’Iran voglia fare del nucleare un’arma offensiva, e Netanyahu ha già diffuso dimostrazioni pubbliche spettacolari di queste preoccupazioni, cercando di fornire prove a sostegno della propria posizione. “Al di là delle questioni regionali, la posizione israeliana è basata sulla scarsa reputazione di cui gode l’Iran all’interno del Paese – continua Dentice – costruita anche su divisioni storiche. Non c’è apertura di credito, anche davanti a proposte importanti come quella del presidente francese, Emmanuel Macron, che ha avanzato l’idea di includere Arabia Saudita e Israele nel sistema negoziale sul nucleare iraniano”.

“Questo – sottolinea l’analista italiano – non significa comunque che gli Stati Uniti non procederanno nei propri piani. Anzi questo avverrà  nonostante Israele, come d’altronde successo in occasione del Jcpoa”.

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