Toccherà all’impulso diretto del presidente del Consiglio saper coniugare qualità della spesa, coesione sociale, crescita della ricchezza e del lavoro. L’analisi di Maurizio Sacconi
Mario Draghi formerà con ogni probabilità un governo largamente sostenuto in Parlamento. Egli si troverà a gestire la fase della ripresa non solo attraverso il piano straordinario di investimenti ma anche mediante opportune scelte di regolazione del lavoro e dell’impresa. Recentemente ha sottolineato la necessità di transitare da forme indifferenziate di protezione delle produzioni a meccanismi selettivi in favore di quelle che hanno i fondamentali idonei a consentirne la sopravvivenza e la crescita. Nel seno della sua coalizione vi saranno peraltro anche i sostenitori dell’assistenzialismo senza limiti. Sarà così chiamato a vincere la sfida delle politiche attive dopo l’ennesima fase di largo impiego delle politiche passive.
Prima di affrontare ulteriori ipotesi di riforma degli ammortizzatori sociali, che la complessità della realtà si è sempre incaricata di mettere in discussione, dovrà far funzionare l’accompagnamento al lavoro di disoccupati e inoccupati attraverso i servizi di riqualificazione professionale liberamente scelti dal beneficiario e remunerati a risultato. Così come la auspicabile volontà di rinnovamento dei metodi e contenuti pedagogici dell’istruzione pubblica entrerà in conflitto con il rifiuto di ogni valutazione da parte di molti docenti che usano il principio della libertà educativa per coprire l’autoreferenzialità corporativa.
Nondimeno, Mario Draghi dovrà affrontare il nodo della produttività finora bloccato da un vecchio modello contrattuale che si esaurisce nella dimensione nazionale per definizione egualitaria e indipendente dai parametri misurabili solo in azienda e, al più, nei diversi territori. Perfino la visione coraggiosamente sussidiaria del vecchio contratto dei metalmeccanici, in sede di rinnovo, si è dovuta arrendere al ritorno dell’aumento centralizzato per assenza di un contesto ad essa favorevole. Egli sa che vi è un solo modo per cambiare. Quello della riproposizione di una incentivazione fiscale semplice e automatica per tutti gli incrementi salariali decisi dagli accordi di prossimità. Riuscirà a imporlo alle componenti sindacali ideologizzate?
Infine, esaurito con l’anno in corso il modulo di “quota 100”, il nuovo governo dovrà introdurre una flessibilità strutturale del sistema previdenziale per evitare lo “scalone” e corrispondere al ricambio generazionale che la crisi pandemica e la digitalizzazione hanno evidenziato. Le deroghe alla riforma Fornero della trascorsa legislatura sono state tuttavia molte e segmentate suscitando insoddisfazione sociale nei più che non vi accedono. Serviranno invece norme semplici e generalizzate.
Toccherà all’impulso diretto del Presidente del Consiglio saper coniugare qualità della spesa, coesione sociale, crescita della ricchezza e del lavoro.