Skip to main content

Libia, il primo ministro (designato) c’è, ma non la fiducia

Il primo ministro libico designato dal Foro di dialogo organizzato dall’Onu ha pronta la squadra di governo, e dovrebbe annunciarla domani, ma è ancora lontano dalla fiducia. Una rottura sul luogo della votazione segna distanze profonde tra i parlamentari

Il primo ministro designato libico, Abdulhamid Dabaiba, ha avuto giorni molto impegnati. Da quando è stato eletto con la votazione del Foro di dialogo costruito dalle Nazioni Unite il misuratino si è mosso molto. È scivolato in delicatezze come la visita a Bengasi – dal ribelle dell’Est Khalifa Haftar – prima di aver avuto contatti con stakeholder tripolini (che non hanno gradito); ha avuto a che fare con la vicenda opaca che ha coinvolto l’attuale ministro dell’Interno Fathi Bashaga (vittima di un attentato per niente chiaro); ha dovuto gestire una crisi di sicurezza a Tripoli; è stato criticato per gli investimenti (frutto dell’attività da businessman condotta finora) tra Turchia, Cipro, Malta e Regno Unito; ha avuto incontri internazionali (privilegiando quelli regionali, come il viaggio al Cairo) e molti interni (a cominciare con i concorrenti sconfitti, come Agila Saleh, presidente del parlamento HoR che dovrà accordare la fiducia al premier.

Quelle che sembrano tre settimane serrate, con tanto di attentati e occupazioni militari al centro di Tripoli, sono la normalità in Libia. Domani, giovedì 25 febbraio, a venti giorni dall’elezione, Dabaiba annuncerà come previsto la sua squadra di governo, ossia quella che comporranno il Gnu, acronimo inglese per Governo di unità nazionale – che sostituisce l’attuale Gna (acronimo per Governo di accordo nazionale). La nuova autorità esecutiva ha un compito ad interim ben definito: dovrà traghettare il paese fino alle elezioni del 24 dicembre. Ma la sua funzione non sarà solo transitoria, perché dovrà gestire gli assestamenti in atto tra i gangli del potere e il processo di contatto e costruzione di fiducia tra Est e Ovest, che da anni si combattono. Il processo è in corso e attualmente guidato dal presidente del Consiglio presidenziale libico, Ahmed Maiteeg, che ha ricevuto l’incarico apicale in forma transitoria da Fayez al Serraj, attualmente ancora a Roma per riprendersi da un lungo intervento chirurgico.

Se l’approvazione di un bilancio unificato è uno dei passaggi che Dabaiba riceverà in eredità sulla strada – complicatissima – della stabilizzazione del paese, sarà lui e i suoi ministri a dover portare avanti il resto del processo. Secondo le informazioni di Agenzia Nova la lista sarà composta da “28 ministri e circa 40 sottosegretari, nel tentativo di accontentare tutte le componenti politiche e tribali della Libia”. Sui nomi ci sono i tipici rumors delle fasi di formazione di un governo, con l’addizionale che nel caso della Libia riempire le caselle – in questo momento soprattutto – significa anche dare ruolo e peso a certi attori esterni. Per esempio: chi prenderà il dicastero della Difesa, attualmente occupato da Salah Namroush, considerato il capofila degli uomini della Turchia nel paese? Chi sostituirà – se sarà sostituito – Bashaga, sconfitto con Saleh alle elezioni del Foro dopo essere stato considerato per lungo tempo il successore designato di Serraj, con cui poi ha rotto?

Il tema del governo, della sua composizione e della sua fiducia politica, è stato al centro di un summit convocato dall’attuale capo del Consiglio presidenziale, Mohammad Menfi, anch’egli uscito dalle elezioni del Foro insieme a due vice. Alla riunione, oltre al premier designato, hanno partecipato rappresentati parlamentari della Cirenaica, perché il rischio è che anche questo nuovo esecutivo finisca come il precedente di Serraj: appeso, senza fiducia della Camera – condizione che manderebbe il percorso in stallo. Distanze ci sono, a cominciare dal luogo in cui riunirsi – e non è solo un problema di location, ma di simboli. Tobruk nell’Est (sede del parlamento HoR dal 2014); Sabratha dove si vedono i dissidenti tripolitani; Sirte nel mezzo (città in cui corre una linea di separazione Est-Ovest tracciata con un fossato di settanta chilometri che corre fino ad al Jufra, fatto recentemente dai mercenari russi della Wagner, uomini pro-Haftar).

I deputati della Tripolitania ritengono troppo rischioso recarsi nella città del golfo omonimo – che fu tra l’altro patria natale del rais Gheddafi – perché temono per la loro sicurezza, visto che a garantirla sarebbero forze haftariane (uomini della Wagner e Janjaweed sudanesi al soldo degli Emirati, mandati nel corso dell’ultima guerra a rinfoltire le linee del capo miliziano). Quelli di Tobruk vorrebbero usare Sirte perché a metà strada – sebbene consapevoli che è un territorio più amico e dunque del valore simbolico. “Abbiamo due opzioni nel processo di scelta della forma di governo, e il disaccordo dei parlamentari ci spinge ad adottare la seconda opzione”, ha scritto Dabaiba su Twitter riferendosi alla possibilità che la palla passi in mano al Foro anche per quel che riguarda l’approvazione della fiducia politica. Un passaggio che però potrebbe letto da alcune forze all’interno della Libia come una delegittimazione di sovranità.


×

Iscriviti alla newsletter