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Libia, ombre sul voto all’Onu

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Il Foro di dialogo libico va al voto, ma ci sono ombre e ritiri importanti dal processo elettivo che fanno temere ulteriori, e rischiosi, sviluppi

È il giorno della Libia. I delegati delle varie anime regionali che compongono il Paese votano — a Ginevra, sotto egida Onu — la nuova autorità esecutiva. Liste composte da un presidente, un premier e due vice, che avranno il compito di traghettare il Paese fino al 24 dicembre 2021 — data in cui le Nazioni Unite sono riuscite a fissare le elezioni a suffragio popolare.

È possibile che il corpo costituzionale scelto oggi possa arrivare più in là, con le elezioni che facilmente potrebbero subire rinvii. È possibile che incontri problemi di legittimità (ci arriveremo). È certo che l’autorità ad interim si trova in mano sfide e opportunità importanti, con il Paese da ricostruire dopo anni di guerre interne. È per questo che il ruolo è ambito; è per questo che tanto quanto i candidati pesano le assenze. Soprattutto quelle saltate all’ultimo momento.

L’attuale vicepremier e vicepresidente, Ahmed Maiteeg; il ministro della Difesa, Salah Eddine Namroush; il presidente del Consiglio di Stato, Khaled al Mishri: si sono ritirati tutti e e tre dalla corsa dopo aver preso parte a un primo step elettivo. A questo punto il presidente del parlamento HoR, Agila Saleh, e il ministro degli Interni, Fathi Bashaga, rappresentano l’accoppiata presidente-premier della lista favorita, ma la domanda da farsi è: cosa c’è dietro ai ritiri?

Da tempo il tandem Saleh-Bashaga viene considerato quello sponsorizzato dall’Onu, in particolare dalla delegata facente funzione, Stephanie Williams, ma la soluzione ha delle problematiche. Pare che la Russia e gli Emirati non accettino Bashaga, un misuratino considerato troppo vicino all’organizzazione panaraba della Fratellanza musulmana; pare che gli haftariani a Bengasi storcano il naso sul ministro per le stesse ragioni, e non abbiano nemmeno troppo a simpatia Saleh, che per lungo tempo è stato il braccio politico del capo miliziano ribelle, Khalifa Haftar, ma poi ha diviso le sue sorti scegliendo la via negoziale che ha ulteriormente indebolito l’Est e innescato un confronto Tobruk-Bengasi in Cirenaica; pare, ancora, che la componente tripolina sia infuriata, perché nessuno della capitale è rappresentato nei quattro nomi che compongono la lista favorita.

In queste ore si susseguono i messaggi acidi dalle milizie che compongono il complicato schema di sicurezza politica attorno al governo onusiano Gna. Zawiya (da cui viene Mishri, membro della Fratellanza, e Namroush, considerato l’uomo della Turchia nel governo libico) non si sente rappresentata. Le forze di Tripoli sono in subbuglio, perché vedono in Saleh un nemico, in Bashaga un rivale interno alla Tripolitania, e non hanno contrappesi da muovere nei vice designati nella lista. Non bastasse, Haftar non si pronuncia, ma diffonde immagini dei suoi miliziani che si addestrano.

Ci sono rischi, c’è preoccupazione tra le cancellerie europee — compreso in Italia, dove al di là della crisi di governo, la Farnesina e l’ambasciata in Libia stanno seguendo l’andamento della situazione arrivata alla fase critica del voto. L’uscita di scena di quei big potrebbe significare che ci saranno sviluppi. Quali difficile dirlo, in un Paese che passa facilmente dalla dialettica politica allo scontro armato. Uno scenario potrebbe vedere la lista vincente non trovare la fiducia al Parlamento — dove Saleh ha perso consensi tanto che fino a poche settimane fa si parlava di una sua sostituzione.

In questo caso si innescherebbe una crisi di legittimità: i vincitori avrebbero ottenuto il successo dal processo esterno di Ginevra, ma resterebbero senza appoggio e fiducia in Libia. A quel punto è possibile che il boccino torni in mano al presidente del Consiglio presidenziale, il premier Fayez al Serraj, che si occuperà di portare il Paese verso le nuove elezioni (di dicembre?), magari lasciando il doppio ruolo e incaricando un nuovo premier che goda del consenso in Tripolitania e in Cirenaica e abbia appeal internazionale.



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