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Dal calcio agli scacchi, così cambia il linguaggio della politica

La mossa del cavallo di Renzi, l’arrocco di Conte, l’avanzata del pedone di Zingaretti e la difesa siciliana di Mattarella. Quale sarà la mossa di Draghi?

La scaletta di questi giorni delle breaking news è di quelle già viste: dimissioni del primo ministro e a seguire le consultazioni del presidente.

La liturgia costituzionale è iniziata e proseguita, con i suoi sacerdoti laici a riempire dirette televisive, sempre uguali a se stesse da decenni, con fiumi di parole spesi a spiegare l’inspiegabile. O l’ovvio, a seconda dei punti di vista.

Sono tornate le usate nebbie in cui la politica italiana tende a occultarsi, per storia e tradizione, da scolari ripetenti della democrazia.

Ma c’è qualcosa di nuovo, quest’anno: la politica ha scoperto nuove metafore, attinte al gioco degli scacchi. Arrocco, scacco o scacco matto e, ovviamente, sacrificio del pedone. Anzi dei pedoni. O di chi si riteneva il Re.

Prima, dal romanista Andreotti al milanista Berlusconi, era in voga l’uso di figure retoriche legate al calcio, più consone a far capire al popolo cosa stava succedendo.

Questo nuovo corso che nasconde manovre di potere dietro alla mossa del cavallo o agli arrocchi, con i peones del Parlamento che diventano i pedoni – e qui l’assonanza ci aiuta a capire – denuncia un cambio antropologico per noi politici nostrani: gli scacchi ai più appaiono come una pratica oscura, esoterica, un gioco per iniziati con manie e stravaganze più o meno vistose.

Il sospetto è che anche alcuni politici abbiano cambiato gusti televisivi, passando dalla Domenica Sportiva o da Controcampo alle piattaforme in abbonamento che stanno dominando le programmazioni.

Proprio la pandemia ha certificato il successo di Netflix e simili, ormai diventati i padroni delle nostre serate. E una delle serie più di successo degli ultimi mesi, guarda caso, ha come protagonista proprio una giocatrice di scacchi. The Queen’s gambit, tradotta in italiano con La Regina degli scacchi. Ecco dove maturano i mutamenti del linguaggio, dove nascono le nuove metafore: nelle serie televisive (e per fortuna che almeno il Trono di spade è finito).

È il magico potere di Netflix, dove la finzione è più reale della realtà. Come è successo in Ucraina, dove l’attore che interpretava il Presidente della Repubblica nella serie tv Servant of the People (Servitore del popolo) si è presentato alle elezioni ed è diventato sconfiggendo l’ex Presidente Poloshenko, un silovik ucraino di lungo corso, il Presidente della Repubblica. Sostenuto da un partito che si chiama come la serie televisiva, creato nel marzo 2018 dalla società di produzione televisiva Kvartal 95. E il programma? Lo stesso del finto presidente divenuto quello del presidente vero.

Il candidato impossibile Volodymyr Zelensky, il protagonista della serie Netflix, è diventato presidente dell’Ucraina. Mentre Donald Trump… beh quella è un’altra storia, ma non tanto differente (ricordate The celebrity apprentice?). Non ci stupiamo dell’impossibile che diventa possibile perché come insegnava Edmondo Berselli la politica è sempre più un format Tv. Quindi anche il suo linguaggio.
To be continued…

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