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Memetic Warfare, l’ironia nera che può diventare terrorismo. La ricerca di Antinori

Di Arije Antinori
Memetic Warfare

La portata strategica dell’uso militarizzato del meme sta nella capacità di trasformare i cittadini in armi di una guerriglia xenofoba, islamofoba, antisemita e, in generale, di odio nei confronti delle minoranze. I social media sono il principale ambiente di coltivazione radicale a livello globale, tra information warfare e cyberwarfare. Il primo capitolo della ricerca di Arije Antinori, Professore di “Criminologia e Sociologia della Devianza” alla Sapienza di Roma

Quello che segue è il primo capitolo del paper su “Memetic Warfare” di Arije Antinori. 

Qui potete trovare il II Capitolo e il III e ultimo Capitolo 

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Avvertenza: le immagini contenute in questo articolo sono state convertite in bassa qualità e marchiate con il watermark “contenuto violento” per impedirne l’ulteriore diffusione a scopo propagandistico. Sono proposte ai lettori di Formiche.net per capire di cosa si parla quando il prof. Antinori spiega il fenomeno oggetto della sua ricerca accademica. Abbiamo scelto quelli meno scioccanti e violenti (figuratevi il resto)

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L’idea è di creare battute che possiamo memificare e produrre in massa.

Queste hanno fortemente bisogno di fare appello all’emotività.

Dobbiamo letteralmente essere la macchina dell’odio che conosciamo.

[Saint Obamas Momjeans, Intermediate Meme Magic, 2016]

Nel corso della presidenza Trump si è assistito alla memificazione della politica che ha progressivamente interessato l’infosfera estremistico-violenta, conducendo gli USA in uno scenario di conflitto sociale, culturale e politico mai visto prima in epoca contemporanea.

Le immagini dei politici che, durante l’assalto, si mettono al riparo tra gli scranni di Capitol Hill vengono sfruttate per lanciare, parafrasando il celebre slogan elettorale Make America Great Again (MAGA), il Make Tyrants Afraid Again, uno degli ultimi trend meme della propaganda violenta pro-Trump.

INTRODUZIONE

Nell’ultimo decennio, Pepe The Frog, uno dei meme più popolari dell’imageboard 4Chan, è divenuto il simbolo indiscusso della memetica estremistica alt-right attraverso cui veicolare le narrazioni dell’odio xenofobo, antisemita e islamofobo. Le imageboard 8chan, prima della chiusura, 4chan e Reddit hanno rappresentato in questi anni lo spazio-tempo di “normalizzazione” della retorica e delle narrazioni estremistico-violente che in questo modo sono state ampiamente socializzate, fino a “contaminare” l’intero ecosistema (cyber-)sociale, grazie alla produzione e disseminazione massiva di meme. In questa terra dell'”odio creativo” anche i giovani NEET – Not in Education, Employment, or Training – possono trovare un loro riconoscimento “militarizzato” tra le fila della guerriglia memetica. Il carattere ironico e ambiguo del meme rappresenta la soluzione più favorevole per veicolare, a livello globale, odio, rabbia, violenza ideologizzata e soprattutto cristallizzare in modo sintetico una visione estrema del mondo.

È trascorso mezzo secolo da quando Marshall McLuhan, nel suo celebre Culture Is Our Business affermò che la Terza Guerra Mondiale sarebbe stata una guerrilla information war  senza alcuna separazione tra le forze armate e la partecipazione civile.

Il meme digitale è un’unità di senso, un condensato culturale, in grado di combinarsi con un altro simile, attestandosi, modificandosi, evolvendosi e replicandosi in modo (para-)virale, catalizzando così l’attenzione dei soggetti interconnessi e generando in questi un impatto in termini di reazione emotiva. Una delle caratteristiche principali del meme è quella di essere percepito dal soggetto come un frutto “organico”, un prodotto naturale dell’infosfera in cui viene disseminato. Ciò implica che il meme venga accolto dal soggetto con fiducia e “intimità” (cyber-)sociale. Il meme rientra nei cosiddetti User Generated Contents (UGCs), è immediato, emozionalmente efficace, semplice da confezionare, anche attraverso l’utilizzo di open tool e servizi gratuiti online.

Stiamo vivendo una vera e propria “memedemia”, una produzione e diffusione globale di memi, grazie anche alla crescita di trend topic socio-culturali e politico-economici, relativi allo scenario di crisi globalizzata, che l’epidemia COVID-19 ha determinato in quanto acceleratore di una crescente “radicalizzazione della società”  e weaponizzazione mediale nell’era della post-verità.

In particolare, la portata strategica dell’uso militarizzato del meme sta nella capacità di weaponizzare direttamente i cittadini, modificando il loro framing, ossia il processo attraverso il quale, a seconda della prospettiva con cui l’informazione è presentata, questi interpretano la realtà, l’esistente, gli accadimenti. Sono, quindi, evidenti le preoccupanti implicazioni in termini di percezione/contestualizzazione dell’informazione, soprattutto in relazione alle tematiche relative alla sicurezza.

I social (mobile) media costituiscono il principale ambiente di coltivazione radicale a livello globale, lo spazio-tempo di interconnessione tra information warfare e cyberwarfare, all’interno di un ecosistema (cyber-)sociale che si struttura attorno alla centralità della dimensione esperienziale, nella crescente prospettiva di una vita compiutamente onlife.

Premettendo che risulta completamente inapplicabile il concetto di “piattaforma indipendente”  nell’osservazione della complessità dell’ecosistema (cyber-)sociale, il Memetic Warfare rappresenta ad oggi una delle espressioni più significative del Fifth Generation Warfare (5GW), in particolare per il primato ecosistemico, per il ruolo centrale di identità e cultura, per il potere di informazioni e narrazioni e, non ultimo, per il coinvolgimento diretto dei cittadini, poiché i memi racchiudono in sé l’esclusività del rapporto noi/loro.

Ciò costituisce l’elemento di maggior rischio in termini di vulnerabilità del sistema democratico. I memi, entrati ormai a far parte in modo organico delle strategie e tattiche di Information Warfare, sono utilizzati per strutturare campagne social di influenza che hanno l’obiettivo di indurre cambiamenti del comportamento nell’audience sempre più individualizzata.

La natura ecosistemica e (cyber-)sociale di ciò che oggi si continua superficialmente a definire internet e social media o web e social media, consente di espandere a livello globale il piano d’attacco del Memetic Warfare.

Sfruttando dal punto di vista strutturale, la disintermediazione e il prosuming, e l’emotività digitale, a livello individuale, il Memetic Warfare è in grado di catturare “i cuori e le menti”, prendendo il controllo dello spazio psicologico e sociale delle narrazioni, generando centri di gravità multipli e dinamici in cui la creatività del singolo diviene il vettore epidemico per condurre attacchi multidimensionali in direzione di target specifici; il modello multilivello di diffusione memetica (M3D), strutturato sull’evoluzionismo darwiniano, ne spiega la capacità di penetrazione e diffusione.

Il Memetic Warfare, quindi, contaminando la cittadinanza sempre più digitalizzata, riesce a raggiungere in poco tempo la dimensione più elevata della comunicazione strategica – da sempre prerogativa esclusiva dei governi – talvolta sollecitando reazioni istituzionali e centralizzate che possono: a) innescare l’accelerazione del conflitto sociale, culturale, politico ed economico on/offline; b) generare effetti controproducenti sul piano reputazionale in quanto l’interlocutore istituzionale è inevitabilmente condotto ad intervenire, a comunicare, tra le “sabbie paludose” dell’ambiguità ibrida, o ancor peggio ad ignorare ogni tipo segnale esterno, così rafforzando nell’entità estremistica la percezione di censura e dispotismo, con il risultato di rafforzarne l’identità, la coesione interna e le narrazioni.

Non è un caso che il Memetic Warfare sia una delle strategie di interferenza più efficaci utilizzate dagli attori internazionali a danno dei loro competitor, anche attraverso l’integrazione di astroturfing campaigns, più o meno localizzate, volte a manipolare le percezioni, polarizzare e motivare l’audience all’azione dal/sul campo.

L’avvento del tribalismo digitale intorno al quale è via via maturato l’ecosistema (cyber-)sociale, ha segnato l’aumento esponenziale della capacità di influenzare il comportamento del singolo, grazie alla triangolazione linguaggio-cultura-organizzazione. Tutte le tribù digitali hanno un loro meta-linguaggio che definisce l’esistente attraverso la disseminazione di seducenti narrazioni che definiscono i confini socioculturali dell’infosfera entro cui ci si (ri-)conosce e organizza, in termini di azioni on/offline, intorno alle fiamme ipnotiche della propaganda digitale, tra conoscenza, cooperazione e comunicazione.

Poiché la verità è data, in estrema sintesi, dall’incontro, dalla relazione tra mente e fatti, appare evidente quanto possa essere efficace il Memetic Warfare nel ridefinire la realtà, soprattutto trovando terreno fertile nella società dello scandalo, dello shitstorming, della pornografia della violenza attraverso i social mobile media, in cui l’overload informativo e la compulsività fruitiva sovraespongono il soggetto a nuove vulnerabilità.

La capacità espansiva, di colonizzare territori altri è una delle principali caratteristiche della culture war che si combatte ogni giorno su molteplici fronti, ove decentramento e disintermediazione creano la frammentazione del reale in più realtà. Ne consegue l’incapacità reciproca delle tribù memetiche di comprendersi sul significato stesso di conflitto, in termini strategici, da qui la facile e (in-)mediata convergenza tattico-operativa sul target comune.

  

1. ESTREMEMISMO: MEMETIC WARFARE ED ESTREMISMO VIOLENTO

Il Memetic Warfare è divenuto negli ultimi anni una delle modalità di attacco privilegiate del Racially and Ethnically Motivated Terrorism (REMT) che rappresenta il contenitore semantico in cui inserire le diverse entità dell’estremismo violento e del terrorismo neo-nazista e neo-fascista, ormai ampiamente (cyber-)socializzate, i cui elementi di caratterizzazione primaria sono: xenofobia, islamofobia, antisemitismo e, in senso più generale, odio nei confronti delle minoranze che riconoscono come target privilegiato, ma non esclusivo, delle loro azioni violente.

Se nel framework del conflitto tradizionale il mimetismo risulta essere uno degli elementi che caratterizza l’essenza stessa dell’entità asimmetrica, oggi è la capacità memetica una delle risorse indispensabili, dell’estremismo violento, al fine di poter competere nell’ecosistema (cyber-)sociale, creando e/o rafforzando identità deviante o criminale con l’obiettivo di agire sul terreno, destabilizzando e sovvertendo l’ordine democratico, attraverso l’insorgenza.

Gli estremisti si servono del Memetic Warfare per condurre operazioni ibride multidominio – principalmente sociale, culturale e politico – di medio/lungo raggio attraverso l’infosfera con l’obiettivo di attivare campagne di propaganda dell’odio e della violenza targettizzata. Il ricorrente utilizzo di stereotipi per identificare, esplicitare, etichettare, stigmatizzare negativamente il Nemico, attraverso narrazioni disinformative – nel senso di dare forma in modo artefatto alla realtà – di profondità variabile, con l’obiettivo di dilatare esponenzialmente lo spettro dell’information disorder, innescando azioni reattive eversive/sovversive, destabilizzando e disgregando le comunità. Il Memetic Warfare, inoltre, grazie alla sua natura, consente di “socializzare” tattiche di aggressione/combattimento sul campo, tanto in modalità indiretta, attraverso boicottaggi, manifestazioni, riot e occupazioni, quanto  diretta, tra cui atti vandalici, sabotaggi, devastazioni ingaggio armato, azioni di guerriglia, intrappolamenti, sequestri di persona.

Il Memetic Warfare estremistico origina da cyber unit, i cui membri pre-installati in micro-reti, in corrispondenza dei tre livelli principali di utenza social, rispettivamente simpatizzanti, attivisti e passionari, creano in modo decentralizzato e semi-autonomo memi di frame – hanno la funzione di definire i confini del conflitto e, di conseguenza, dell’appartenenza identitaria -, e memi di spinta che favoriscono le tematizzazioni convergenti necessarie per consentire la “spontanea” interconnessione funzionale-operativa tra le singole entità all’interno del movimento connettivo, nonché mantenere vivo il conflitto, sia online che proiettandolo orizzontalmente sulla cittadinanza, con l’obiettivo ulteriore di minare il trust, la fiducia, tra cittadinanza e istituzioni, a livello locale e nazionale.

Si assiste, quindi, allo sviluppo strutturato del Memetic Warfare nell’infosfera pro-Trump, come modalità irregolare di Information Warfare in cui la triangolazione tra informazione, identità e individualizzazione (cyber-)sociale diventa cruciale nel ribadire che nulla è al di fuori della nostra portata, come recita un celebre slogan memetico della Rexsphere – l’infosfera del right-wing extremism – un vero e proprio “reame dell’odio“. Qui, si sta compiendo una tanto ampia quanto capillare operazione di “culture jamming“, sabotaggio culturale, concetto mutuato dall’esperienza del radio jamming, nato nel corso della Seconda Guerra Mondiale come azione di pirateria di frequenze radio pubbliche volta a sovvertire la comunicazione con l’obiettivo di veicolare contenuti indipendenti e/o interrompere le comunicazioni in essere.

Oggi, anche in considerazione della possibilità di condurre attacchi ibridi con il contestuale ricorso a cyborg/bots/trolling tactics, ritengo che sia più idoneo configurare questo tipo di operazioni, in termini strategici, come vere e proprie interferenze, seppur interne. In tale ambito, il Memetic Warfare ha anche la peculiarità di produrre interconnessione di senso tra il mondo socio-culturale e quello dell’attivismo politico, in cui la necessaria ridefinizione della propaganda in “propulsione“, grazie all’individualizzazione globalizzata, amplifica il livello della minaccia in termini di determinazione sul territorio.

L’efficacia del Memetic Warfare per l’estremismo violento all’interno dell’ecosistema (cyber-)sociale, può essere sinteticamente riassunta in quello che ho inteso definire come modello “CTRL+ALT+MARCH”, ossia una strategia integrata di engagement, manipolazione e innesco che si articola attraverso le seguenti fasi: 1) CTRL – Controlla, attraverso l’influenza dell’audience; 2) ALT – Altera la realtà, il corso della storia reale, indicando il target; 3) MARCH – Marcia, dimostra protestando contro il target.

Tutto ciò è favorito, dalla “mediamorfosi del terrorismo“, che ha impattato in termini trasformativi, seppur con un certo ritardo ma in modo significativo, anche sugli estremismi violenti, probabilmente per via della minore centralità dell’elemento di “spettacolarizzazione” dell’azione sul campo – a fronte di una maggiore contestualizzazione nazionale e di una pervasività sociale, culturale, ma soprattutto politica che conserva le sue radici, con una marcata continuità, nel secolo scorso, quello analogico.

In tal senso, occorre osservare con continuità la profondità socio-culturale del fenomeno dei memi anche in considerazione della capacità di intercettare mondi “altri”, come nel caso del Memetic/Pepe Coin, la cryptovaluta parodisticamente, ma concretamente, creata come risposta indipendente alla crescente isituzionalizzazione del Bitcoin.

Si sottolinea che la maggior parte dei circa 160 milioni  di memi scambiati su Gab, Twitter, 4chan e Reddit, sono nati su 4chan o Reddit che rappresentano le piattaforme in cui hanno avuto origine la community dell’estremismo “occidentale” online e quella delle cryptovalute, che trovano un’ulteriore radicamento nel Deep Web. È importante, quindi, considerare il livello di interconnessione, quantomeno socio-culturale, tra i distinti fenomeni, sia per valutarne le prospettive evolutive che per individuare possibili attività criminali eventualmente celate in campagne di crowdfunding, utili al reclutamento, finanziamento, riciclaggio e/o autoriciclaggio.

Fine della prima parte. La prossima settimana: “Infosfera Trumpiana e Memetic Warfare”


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