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Draghi c’è, l’agenda pure. Ora serve solo coraggio. Parla Messori

L’economista e docente della Luiss: da Mattarella la migliore scelta possibile, la fiducia di cui gode Draghi in Europa è incondizionata. I partiti devono sostenerlo, non si può sprecare un’occasione simile. Recovery Plan e debito per la crescita sono le priorità. Le banche? Servono cartolarizzazioni e bad bank

Forse Mario Draghi può davvero farcela. Ma la sfida è di quelle difficili, di cui non c’è certezza di vittoria. Si sa, quando c’è di mezzo il pallottoliere del Parlamento, nulla è scontato. 24 ore fa l’ex presidente della Bce che fu allievo di Federico Caffè ha accettato l’incarico conferitogli da Sergio Mattarella. Draghi è Draghi, diverso da Giulio Einaudi, diverso da Carlo Azeglio Ciampi.

Personalità che hanno agito in altre epoche e in altri contesti. Ma è perfettamente all’altezza del compito, dice a Formiche.net Marcello Messori, economista e docente alla Luiss che di cose europee se ne intende. E comunque, si trattava anche di dare un segnale all’esterno.

Messori, ieri è suonata l’ora di Mario Draghi. Sappiamo tutti che non sarà facile formare un governo, eppure la scelta di Mattarella è parsa saggia, ai più. Lei che dice?

Nel suo penetrante discorso di martedì sera che ha preceduto il conferimento dell’incarico a Mario Draghi, il Presidente della Repubblica è stato molto netto: il fallimento dell’accordo fra i partiti, che rappresentano la maggioranza degli eletti nei due rami del Parlamento, in una fase tanto drammatica per il Paese non consente alternative rispetto alla costruzione di un governo istituzionale di alto profilo.

Scelta azzeccata, insomma…

Sì. Avendo assunto decisioni cruciali per la tenuta dell’euro area in almeno quattro occasioni, dicembre 2011, luglio 2012, gennaio 2015 e marzo 2016 e avendo maturato una lunga esperienza nazionale e internazionale, il presidente incaricato ha dimostrato di avere le capacità innovative per affrontare i gravi problemi economici e sociali che caratterizzano oggi l’Italia.

Bene. Però c’è la politica, il palazzo, i partiti. E nulla è scontato. D’altra parte però, c’è un’Europa che ci guarda, insieme ai mercati…

Se la maggioranza del Parlamento gli consentirà di formare un nuovo governo, il segnale per le istituzioni europee sarà molto positivo. La reputazione di Draghi in Europa è così elevata da far riguadagnare all’Italia una fiducia che si stava sgretolando. Si tratterà poi di approntare, in tempi molto ristretti, un Piano nazionale per la ripresa e la resilienza che – insieme al contrasto della pandemia – sarà la sfida che l’auspicabile governo Draghi dovrà vincere.

Ecco appunto, la crescita. I problemi qui sembrano essere due, al netto della questione sanitaria. Il Recovery Plan e gestire un debito a rischio esplosione. Che si fa?

L’Italia deve tornare a crescere come condizione necessaria per ricollocarsi su un sentiero di sviluppo sostenibile (sotto il profilo economico, sociale e ambientale). E, dato l’invecchiamento della popolazione, la molla della crescita non può che essere una dinamica positiva delle varie forme di produttività che – in media – ristagna dalla metà degli anni Novanta. Gli ostacoli al rilancio delle varie forme di produttività in Italia sono molteplici.

Quali sono?

Due fra i più rilevanti sono l’ambiente economico inefficiente, a causa della Pubblica amministrazione e delle procedure giudiziarie farraginose, la distorta protezione della proprietà, l’inefficiente organizzazione dei mercati e la mancanza di innovazioni diffuse nei vari settori produttivi. Le riforme e gli investimenti innovativi, che il nuovo programma europeo di Next Generation Eu rende possibili, potrebbero essere decisivi.

Draghi sostiene da diverso tempo l’esigenza di fare del buon debito. Spendere sì, ma per crescere, insomma. 

La scommessa è duplice: spendere in modo efficace le risorse europee per superare i ‘colli di bottiglia’ segnalati; combinare in modi più efficienti la spesa pubblica per l’emergenza con quella per la ripresa. Fino a oggi l’emergenza. è stata così pesante da non consentire interventi selettivi. I progressi nella lotta contro la pandemia e le risorse europee dovrebbero, d’ora in poi, aprire la possibilità di un uso migliore della spesa pubblica nazionale. Crescita e sviluppo sono, del resto, condizioni necessarie per rendere sostenibile nel lungo termine l’abnorme debito pubblico italiano.

Messori, parliamo di banche. Si moltiplicano gli allarmi sulla valanga di Npl che rischia di zavorrare i bilanci, finendo col travolgere il sistema. Non possiamo stare molto tranquilli. O no?

Gli Npl e, in particolare, la componente degli Unlikely to Pay (inadempienza probabile, ndr) rappresentano una spada di Damocle per i futuri bilanci bancari. Per questo è necessario evitare che il problema freni l’erogazione di finanziamenti a un’economia reale che deve espandersi e, soprattutto, realizzare le innovazioni per la crescita, sopra esaminate. Questo problema è di particolare rilevanza in Italia e nell’euro area perché il settore produttivo è molto dipendente dal credito bancario.

Altri suggerimenti?

Sì. Si tratta, quindi, di utilizzare il mercato delle cartolarizzazioni e di rafforzarlo con la creazione di banche cattive nazionali per gestire i futuri flussi di Npl e, in particolare, di UtP. Ma si tratta anche di rafforzare i segmenti non-bancari dei mercati finanziari per fare sì che le piccole e le medie imprese abbiano convenienza ad accedere ai debiti di mercato e alle azioni anche, se non soprattutto, in forma indiretta.



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